L’egotrip è nel codice del rap. Guè Pequeno lo insegna dal giorno uno, da quando le zarre si son messe le prime Buffalo. Si può fare una carriera sull’autocelebrazione del sé, è oramai ovvio, e i trapper lo hanno imparato troppo presto, per nostra sfortuna. «Mi davano del coglione quando parlavo di money, cash, ora lo fanno tutti. Sono stato un precursore», ci ha raccontato Pequeno nella nostra ultima intervista assieme. Basterebbe questo a spiegare cosa c’è dietro Sinatra, serie di tre episodi in anteprima su TIMVision che, oltre ad essere ispirata all’omonimo ultimo disco de la G la U la E, vede il nostro Cosimo Fini in veste di attore… nella parte di se stesso. Un gigantesco cortocircuito di coerenza. Guè scrive di Guè che racconta Guè interpretato da Guè. Su musiche di Guè, basandosi sull’ultimo disco di Guè. Guè Guè Guè.
Tre episodi dalla durata media di dieci minuti, in bilico tra videoclip e fiction. Girata a Napoli, e in particolare nell’affascinante ambientazione noir della Napoli Sotterranea, Sinatra è diretta da Jansen & Rodriguez e Pepsy Romanoff, quest’ultimo fedele collaboratore di Pequeno, per cui ha firmato videoclip come Business, Tornare Indietro, Brivido. È la storia (spoiler alert) di un rapimento ai danni – naturalmente – del nostro rapper preferito. Racconta di criminalità e fanatismi disperati, di soldi, money, cash, in poco più di mezz’ora. La regia ci regala i suoi momenti migliori quando pende su un taglio da videoclip (come nella splendida scena del secondo episodio che vorrei, ma non posso, spoilerarvi) faticano invece i monologhi che forzano su un’analogia stentata tra trama, vita de Il Guercio e quella di Sinatra. Anche perché se nel disco l’utilizzo di Sinatra era un pretesto per una sboronata, qui si cerca di instaurare un dialogo narrativo tra i due artisti, con risultati tirati un po’ per i capelli. In sostanza: quando Guè rappa ci si gasa, quando Guè recita, mmh, un po’ meno.
Non siamo nella terra dell’american dream, dove chiunque può riuscire. Siamo nel più provinciale italian dream (qui rappresentato nel voiceover narrante le cronache di resistenza di Cosimo), dove a farcela è uno su mille, tra furbetti e furbastri, tra il gatto e la volpe e la pistola, tra chi vuole prendere una scorciatoia e chi si prostra per una raccomandazione (al politico, al parente, a Gesù). Per questo l’analogia tra il grande crooner e il rapper milanese fatica a funzionare per contesto e momento storico. Non siamo a New York, qui sulla penisola non possiamo distrarci, non possiamo fermarci a pisciare in uno spiazzo: il nostro sogno è sempre a rischio di sequestro.
Sinatra è una serie veloce, godibile, ben musicata. Non è Suburra, non è Gomorra, ma nemmeno Zeta di Cosimo Alemà. Sta tra Senza Filtro, il film degli Articolo 31 che, in tutti i suoi difetti, possedeva una dignità naif, e l’immaginario dei videoclip di Guè. Proprio lì in mezzo. Sinatra è una tappa nel percorso di auto-affermazione dell’ex Club Dogo, rimasto, insieme a Fabri Fibra, tra i pochi superstiti della generazione rap di inizio millennio. C’è ancora tutta quella voglia di rivalsa, di proclamarsi numero uno, di essere pioniere. Il ragazzo d’oro non vuole smettere di brillare. Guè Pequeno è qui per ricordarci che rimarrà e crescerà ancora, essendo davvero l’unico che potrebbe vantarsi su Facebook con un realissimo lavoro presso me stesso. Chi ha mai detto che l’egotrip non stimola la creatività?