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‘Succession’ finisce qui. E va benissimo così

Caso più unico che raro, una serie bellissima e di grandissimo successo sceglie di chiudere nel suo momento d’oro. Una lezione che tutti dovrebbero imparare. Del resto, l’indegna e meravigliosa famiglia Roy ci ha insegnato come (non) si sta al mondo. Fino alla fine

Foto: HBO/Sky

«Ultimamente mi fermano per strada e mi chiedono di mandarli a fare in culo come farebbe Logan Roy. Ma in che mondo viviamo? Siamo ancora degli esseri umani, dopotutto». Parole di Brian Cox, alias Logan Roy, alla proiezione speciale del primo episodio della quarta stagione di Succession (disponibile da noi su Sky e in streaming su NOW) organizzata al British Museum di Londra. Non poteva esserci location più indicata, il patriarca della Waystar RoyCo nelle sale del museo ci avrebbe organizzato una celebrazione di sé chiedendo di spostare la stele di Rosetta per metterci un ritratto di famiglia.

Quarta e ultima stagione, annuncio arrivato anche un po’ a sorpresa qualche mese fa, ma Jesse Armstrong deve avere evidentemente capito che questa saga shakesperiana (Re Lear, nello specifico) non poteva durare a lungo, e che stiracchiarla per mere questioni di convenienza avrebbe corrotto uno dei migliori prodotti seriali degli ultimi anni. Armstrong sa costruire successi a lungo termine, il suo Peep Show è un cult della tv britannica andato avanti per nove stagioni (con soli sei episodi l’una, a onor del vero). Ma cosa ancora più importante, sa creare personaggi interessanti e farli interagire tra loro, svelandone fragilità e, soprattutto, meschinità. È in gran parte dovuto a questo elemento il favore che ha goduto in questi anni Succession.

La famiglia Roy fa schifo. Logan, il mostruoso padre padrone, è paradossalmente il migliore della schiatta: sa perfettamente chi è, ha i suoi demoni e le sue debolezze e li nasconde molto bene. Ha messo al mondo quattro figli a cui non ha saputo insegnare quello che voleva, ovvero a comandare e a essere dei figli di puttana. Invece sono venuti fuori degli inetti, terrorizzati dal padre che al contempo amano più di qualunque altra cosa al mondo, fondamentalmente perché li ha riempiti di soldi e hanno potuto fare tutto quello che volevano senza assumersi alcuna responsabilità. L’unico che ha davvero il desiderio di seguire le orme di Logan è il povero Kendall (Jeremy Strong), reo di non avere abbastanza palle, tanto che quando finalmente al termine della seconda stagione lo pugnala alla schiena, al buon padre scappa un sorrisetto compiaciuto.

La dinastia Roy assomiglia terribilmente a quella dei Murdoch, d’altronde anche lì la partita per succedere al sempiterno Rupert (ha da poco annunciato che ha intenzione di convolare a nozze per la quinta volta, ad appena 92 anni) va avanti da anni e ha creato una faida familiare fatta di bassezze da competizione. Proprio in questa quarta stagione c’è un riferimento diretto al proprietario di News Corp, una scena ispirata a un fatto realmente accaduto e che è contenuta nel secondo episodio (non roviniamo la sorpresa a chi ancora non lo ha visto).

I Roy vivono nel lusso, viaggiano solo con aerei privati, non guidano, anzi, sono pure piuttosto pericolosi al volante, nessuno di loro ha sviluppato particolari talenti. La bella Siobhan (Sarah Snook) ha cercato di farsi largo nella comunicazione politica, non è brava, ma è sempre comodo avere l’erede di un impero della comunicazione dalla propria parte. Roman (Kieran Culkin) è un annoiato rampollo con non poche turbe che ha praticamente inventato un dialetto fatto di offese gratuite e colorite parolacce per difendersi dal mondo, da cui è terrorizzato. Connor (Alan Ruck), il maggiore, è un cretino, convinto di poter correre per la presidenza degli Stati Uniti dopo avere esposto per cinque minuti le sue perplessità al candidato democratico di turno (disegnato a immagine e somiglianza di Bernie Sanders). E poi, come dicevamo, il povero Kendall, cocainomane, divorziato, segnato da casuali tragedie che lo legano al padre che vorrebbe uccidere, almeno professionalmente. Un ricco convinto che i soldi possano fare di te una rockstar.

Brian Cox è il patriarca Logan Roy. Foto: HBO/Sky

Succession racconta quanto elevato sia il grado di corruzione del potere e del denaro. Tutto quello che c’è intorno sparisce, non c’è cultura nelle vite di queste persone, non c’è amore, non c’è giustizia, quello che conta è solo poter mettere le dorate terga sul trono di un impero sui cui non tramonta mai il sole. E attorno alla famiglia reale ruotano i cortigiani, dai parenti e affini. Il cugino Greg (Nicholas Braun), forse il personaggio più ignobile mai scritto nella storia della serialità, che non a caso viene preso sotto l’ala di Tom (Matthew Macfadyen), il marito di Siobhan, la sintesi dell’uomo senza qualità. E poi ci sono le persone che lavorano per i Roy, devoti alla causa non per fedeltà, ma solo per poter bere alla ricca tetta della famiglia.

Di storie di questo tipo se ne raccontano dalla notte dei tempi, la televisione ci ha sguazzato per decenni, dai petrolieri di Dallas e Dynasty, le famiglie Ewing e Carrington che fecero sognare le casalinghe di Voghera degli anni Ottanta. Oggi ci sono i Dutton di Yellowstone, creati da quel geniaccio di Taylor Sheridan che ha costruito un vero e proprio universo, con due prequel già in onda e una serie di spin-off in sviluppo. Succession invece finisce qui ed è un bene, perché i continui tira e molla all’interno della famiglia già nella terza stagione stavano cominciando a diventare ripetitivi, anche se Armstrong è bravissimo a creare colpi di scena, a sviluppare i personaggi e le dinamiche tra loro, a equilibrare i toni e i generi, dal grottesco al dramma, dalla commedia, molto dark, al thriller con tracce di horror.

Nicholas Braun alias Greg e Matthew Macfadyen nei panni di Tom Wambsgans. Foto: HBO/Sky

Non facile, ma agevolato da un cast sempre in stato di grazia, a partire da Brian Cox, che non ha nascosto la soddisfazione di essere arrivato al termine del suo viaggio nei panni di Logan Roy, ben consapevole che ogni cosa dovrebbe chiudersi al momento opportuno. Ma al fianco del grande attore scozzese (ricordiamolo sempre, il primo Hannibal Lecter del grande schermo in Manhunter di Michael Mann) ruotano altri grandissimi talenti, su tutti Jeremy Strong, interprete che lascerà un segno importante nei prossimi anni (andate al cinema a scoprirlo in Armageddon Time di James Gray), e Kieran Culkin, una volta semplicemente il fratello di Macaulay, che tratteggia Roman con una perfezione dialettica maniacale.

Non ci mancherà Succession, ma semplicemente perché ha scelto il giusto momento per congedarsi, offrendo un destino – più o meno fortunato – a ognuna di queste ignobili persone che abbiamo conosciuto negli anni. Ma per quanto male gli potrà andare e miserabile possa essere la loro vita, continueranno a non sapere mai quanto costa un litro di latte.

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