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‘The Acolyte’ è una forza da non sottovalutare, ma (per ora) non con la F maiuscola

Perché è bello vedere un'altra serie prequel di 'Star Wars' che, come 'Andor', metta in discussione alcuni dei presupposti fondamentali del franchise. Dal punto di vista dell'intrattenimento però la prima metà è sfortunatamente molto più vicina a 'The Book of Boba Fett'

Foto: CHRISTIAN BLACK/LUCASFILM LTD.

I Jedi appaiono a malapena nella trilogia originale di Star Wars. Obi-Wan e Yoda sono entrambi eremiti che si nascondono dai propri fallimenti in angoli remoti della galassia, ed entrambi muoiono dopo aver insegnato a Luke Skywalker qualcosa sulla Forza. Lo stesso Luke non completa mai tecnicamente il suo addestramento, anche se si avvicina abbastanza da essere considerato un maestro Jedi nei capitoli successivi. Quindi i Jedi esistono più come un simbolo in quei primi film e restano in qualche modo un mistero: come è possibile che un gruppo di persone così sagge e potenti abbia improvvisamente cessato di esistere?

La soluzione a quel mistero purtroppo ha privato i Jedi della maggior parte della mistica che Obi-Wan e Yoda avevano incarnato nei primi film. Si scopre che i Jedi furono spazzati via perché erano molto meno “tosti” di quello che si pensava”, autocompiaciuti e troppo attaccati a regole che facevano più male che bene. Se Mace Windu avesse detto al giovane Anakin che gli era permesso baciare Padme, per capirci, l’Impero non sarebbe mai stato creato. Clone Wars e Rebels hanno fatto un po’ meglio lato Jedi, ma nel complesso sono, come Boba Fett (*), una creazione di George Lucas che più fa, meno gasa.

(*) AKA il tizio che si è rivelato così noioso che il suo show ha dovuto trasformarsi in una stagione bonus mandaloriana.

La nuova serie di Star Wars, The Acolyte (dal 5 giugno su Disney+), tenta almeno di affrontare apertamente la realtà secondo cui i Jedi sono orgogliosi, compiaciuti e – in un certo senso – pessimi. Ma l’attuazione di quell’idea è discontinua nei quattro episodi forniti alla critica. E la decisione di ambientarlo un secolo prima dell’ascesa dell’Impero sembra vanificare lo scopo dell’intera faccenda, perché sembra che i Jedi della Minaccia fantasma non abbiano davvero imparato niente.

The Acolyte è stata ideata dalla sceneggiatrice e regista Leslye Headland, una delle co-creatrici della comedy sic-fi di Netflix Russian Doll(*). Headland ha costruito tutta la storia attorno ai fallimenti istituzionali dei Jedi. Una giovane donna di nome Mae (Amandla Stenberg) è in cerca di vendetta su un quartetto di maestri Jedi – il saggio Sol (Lee Jung-jae), la stoica Indara (Carrie-Anne Moss), il maestro Wookiee Kelnacca (Joonas Suotamo) e il giovane Torbin (Dean-Charles Chapman) — per una tragedia familiare. E più sappiamo della trama, più diventa chiaro che la legge Jedi – e le domande su chi può o può studiare la Forza – ha giocato un ruolo purtroppo enorme. Nel frattempo, la sorella gemella di Mae, Osha (di nuovo Stenberg), lavora come meccanica dopo aver abbandonato l’addestramento Jedi, e deve parlare di nuovo con il suo ex insegnante, Sol.

(*) Due degli attori di quello show qui interpretano dei Jedi. Rebecca Henderson è Vernestra, un membro di alto rango dell’ordine dalla pelle verde. Charlie Barnett è Yord, un Jedi nerd.

Lee Jung-jae (Emmy per Squid Game), porta la quantità necessaria di gravitas, calore e rimorso nei panni di Sol. La sua relazione con Osha è senza dubbio l’aspetto migliore e più realizzato di The Acolyte. Stenberg, Headland e soci faticano purtroppo a differenziare Osha e Mae l’una dall’altra, anche quando indossano abiti diversi e perseguono obiettivi diversi. (È ancora peggio nel terzo episodio, uno svogliato flashback in cui le due ragazze, interpretate da Leah e Lauren Brady, hanno uno stile identico.)

La maggior parte dei pezzi del puzzle sono nella migliore delle ipotesi irregolari, se non deludenti. Carrie-Anne Moss è usata bene in una scena d’azione iniziale (ancora una volta lavorando con effetti bullet-time, 25 anni dopo il primo Matrix) ma per il resto è sprecata, e le scene di combattimento successive non sono così dinamiche. Ci sono alcuni aspetti divertenti nelle dinamiche interpersonali tra i Jedi – a Yord mancano tutti di rispetto, al punto che persino la padawan di Sol, Jecki (Dafne Keen, già vista in Logan e His Dark Materials), si sente a suo agio nel comportarsi in modo superiore a lui –, ma non molti. E l’idea di vedere un Wookiee Jedi in azione è più emozionante di quel poco che Kelnacca riesce poi effettivamente a fare.

Manny Jacinto trasmette una bella energia da mascalzone nei panni dell’alleato di Mae, Qimir. Come Han Solo e Finn, non gli importa molto della Forza, che è un elemento che mancava parecchio nei prequel. Ed è molto utile in una storia che parla così tanto della Forza e di quali persone secondo i Jedi dovrebbero essere autorizzate a maneggiarla. Questo, ovviamente, è stato un tema chiave dei sequel, sia all’interno del raccontoche nell’imbarazzante passaggio di testimone tra gli sceneggiatori-registi J.J. Abrams e Rian Johnson.

Gli Ultimi Jedi di Johnson fa di tutto per democratizzare la Forza, anziché trattarla come una cosa degna solo di personaggi con stirpi nobili. Posiziona Rey come la figlia di nessuno e, nella scena finale, c’è un ragazzino orfano che usa casualmente la Forza per afferrare una scopa e spazzare una stalla a Canto Bight. In L’ascesa di Skywalker, Abrams rivede tutto in modo che Rey sia la nipote dell’Imperatore Palpatine e non in nessun modo è interessato a quel ragazzino.

Senza aver visto la seconda metà della stagione, è difficile sapere con certezza quale sia la posizione di Headland in questo dibattito, ma The Acolyte sembra certamente dalla parte del ragazzino finora. Anche in questi termini, il momento in cui Headland ha scelto di raccontare questa storia sembra troppo limitato. Nella Minaccia fantasma, i Jedi supervisionano una galassia pacifica e libera dai Sith da mille anni. Sono fiduciosi nella giustezza di tutte le loro decisioni. La situazione con Mae, Osha e il misterioso maestro di Mae, apparentemente il Signore dei Sith, solleva domande che si scontrano con dove siano i Jedi, filosoficamente, quando Obi-Wan e Qui-Gon trovano il piccolo Anakin nelle sabbie di Tatooine.

In altre parole, sembra un po’ un vicolo cieco dal punto di vista narrativo. Ma questo non preclude automaticamente che sia una buona serie: il fatto che nessuno impari nulla qui potrebbe essere il punto tragico della storia che Headland & C. stanno raccontando. È bello vedere un altro progetto di Star Wars che, come Andor, metta in discussione alcuni dei presupposti fondamentali del franchise. Dal punto di vista dell’intrattenimento, però la prima metà di The Acolyte è sfortunatamente molto più vicina a The Book of Boba Fett.

Da Rolling Stone US

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