Lunga vita al Master of the Swans e allo Yeoman of the Bed Chamber, almeno nella serie. Perché quell’episodio, Ruritania, ci riporta finalmente ai fasti di The Crown, dentro l’eterna lotta fra tradizione e modernità che Elisabetta II ha provato a decifrare per tutta la vita, con quella corona, pesantissima, che ovviamente la sbilanciava sempre verso la prima, e la Storia che intanto andava avanti, a volte malgrado lei, malgrado tutti loro: i royal. Finché snobbare nobilmente la realtà non è stato più possibile, leggi la morte di Diana.
Già, perché una delle serie più belle di sempre aveva prevedibilmente e inesorabilmente traballato (che comunque avercene, eh) nell’approcciarsi all’incidente fatale di Lady D: Mohamed Al-Fayed villain da cartoon, wannabe royal e burattinaio spietato, soprattutto del figlio Dodi, senza se e senza ma il personaggio peggio scritto di un coro british impeccabile, i paparazzi e i media, pure loro cattivi certificatissimi della situazione (citofonare anche Meghan Markle e Harry, che in Spare scrive che “il Palazzo” è tuttora in buoni rapporti con quegli stessi tabloid), davanti invece all’assoluzione pressoché totale dei Windsor (sì, c’è qualquadra che non cosa), il simbolismo estremo – il campo minato che Diana attraversa, il primo cervo cacciato da William. Poi – #tuttovero – i fantasmi di Diana e di Dodi che facevano un po’ resurrezione di Taylor in Beautiful, roba da soap insomma, in una serie raffinatissima, altissima, inglesissima. E quando abitui pubblico e – soprattutto – critica a quei livelli, poi nulla si perdona.
Pare brutto scriverlo, ma archiviata “la cosa più grossa che ognuno di noi avrà mai visto”, cit. il principe Carlo di Dominic West, vero eroe tragico nella versione by Peter Morgan, nel mondo post-Diana, dove potenzialmente tutto poteva cambiare perché nulla cambiasse, The Crown è tornata ad essere The Crown. Con il rapporto travagliato tra la regina e il Primo Ministro del momento, Tony Blair (Bertie Carvel, forse il meno forte delle new entry), il “rottamatore” la cui popolarità porta Her Majesty a mettere per un attimo in discussione il suo ancien régime, i privilegi polverosi e i deliziosi colletti vittoriani (sì, nel 2023). E ci ha catapultato di nuovo a quelle bellissime origini grazie a Margaret (Lesley Manville, da lacrimuccia l’episodio della sua morte), che ricorda la royal night out quando finì la Seconda guerra mondiale in Europa, mostrandoci chi avrebbe potuto Elisabetta se non fosse diventata sovrana.
Il futuro della monarchia però è William (un ottimo Ed McVey), e allora avanti con la mania beatlesiana per il secondo in linea di successione al trono (oggi principe di Galles), che è in conflitto con il padre e soffre per la perdita della madre, ma è più bravo di lei a gestire la pressione di essere un simbolo (variazione sul tema “reali si nasce”). Il prince charming di una generazione chiama la parte rom-com gossippara (forse un filo troppo), l’incontro e l’amore con Kate (Meg Bellamy). Che, certo, è una love story come tante (courtesy of il nude dress di lei alla sfilata universitaria), a parte la leggendaria volontà di ferro della calcolatrice Carole Middleton (perfetta Eve Best), pronta a tutto purché la figlia sposasse William. Ma è anche giusto dare a Peter Morgan quello che è di Peter Morgan: riuscire elegantemente a scongiurare un effetto Hallmark movie che era praticamente garantito.
Il Margaret del nuovo corso invece è ovviamente Harry (Luther Ford), che sul quel trono non ci è mai voluto salire, ma ha combattuto tutta la vita con l’idea di essere “un casino” per non eclissare William e non incasinare così la linea di successione. The Crown copre anche l’affaire dell’uniforme nazista indossata dal ginger più amato del Regno Unito a una festa, più negli occhi dell’opinione pubblica che in quelli del protagonista. Peccato che Harry poi il fratello l’abbia eclissato davvero, thanks to Megxit & friends. Ma questa è un’altra storia.
The Crown inizia da Lilibet che diventa regina anzitempo e, dopo aver reso protagonisti del royal drama quelli che nella Storia sono stati supporting, non può che finire con Elisabetta (splendida Imelda Staunton) che pianifica il suo funerale, riunendo anche le sue incarnazioni precedenti (Claire Foy, Olivia Colman) in un saluto solenne e comprensibilmente commosso. Perché non esisterebbe The Crown senza The Queen, anche se lo stesso Morgan qua e là sembra esserselo dimenticato.