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‘The Madness’ avrebbe dovuto osare un po’ di più

La nuova serie Netflix starring Colman Domingo è un buon thriller politico in cui si sente la mano del regista di ‘The Wire’. Ma nonostante i tanti (forse troppi?) temi “caldi” in campo, resta un prodotto piuttosto convenzionale

Foto: Netflix

Nel nuovo thriller politico di Netflix The Madness, l’opinionista della CNN Muncie Daniels (Colman Domingo) viene incastrato per l’omicidio di un leader nazionalista bianco e diventa una pedina in un gioco pericoloso condotto tra i seguaci del morto, una violenta colonia di appassionati di armi che viene descritta come “fondamentalmente antifa sotto metanfetamina” e diversi miliardari e agenzie governative.

Creata dal drammaturgo Stephen Belber, The Madness ha molte tesi riguardo le relazioni razziali, l’attivismo e i pericoli della disinformazione che permette alle corporazioni di, come dice l’agente dell’FBI Franco Quinones (John Ortiz), “giocare a tre carte con la mente delle persone”. Forse ha troppe tesi, o forse non ne ha abbastanza. Lo spettacolo funziona più nei singoli pezzi che nel suo insieme, mescolando momenti emozionanti ad altri a bassissimo voltaggio.

A volte, la trama di suspense è abbastanza avvincente, o almeno caotica, da tenere desta l’attenzione. Belber e i suoi collaboratori, tra cui il regista Clement Virgo (*), hanno messo insieme alcune sequenze che scoppiano di tensione o che si spingono in luoghi oscuri. Ma The Madness spesso fatica a trasmettere esattamente il pericolo in cui Muncie, suo figlio Demetrius (Thaddeus J. Mixson), la sua ex moglie Elena (Marsha Stephanie Blake) e i loro amici (**) si trovano in ogni momento. E dopo che alcuni episodi centrali hanno aumentato la posta in gioco e la portata della storia, il finale è stranamente in sordina, come se tutte le persone coinvolte avessero esaurito la loro carica.

(*) Virgo è stato uno dei registi originali di The Wire, di cui questa serie ruba diverse citazioni, tra cui Muncie che guarda con nostalgia l’iconica scena diretta da Virgo in cui McNulty e Bunk si dicono solo “cazzo” per quattro minuti, e un’altra scena in cui Muncie e il suo avvocato Kwesi (Deon Cole) discutono di Stringer Bell. Il risultato è che The Wire è ora inequivocabilmente un vecchio ma eccezionale prodotto, e anche voi non diventerete più giovani.

(**) Uno di questi amici è interpretato da Stephen McKinley Henderson, che sta vivendo un periodo intenso su Netflix, tra The Madness e il suo delizioso ruolo in A Man on the Inside.

Nel frattempo, le varie questioni sociologiche in gioco – tra cui la mancanza di capacità, o addirittura di interesse, da parte dei mezzi di informazione a lottare contro gli status quo oppressivi – sono il fulcro della trama thriller, ma si ha la sensazione che la storia debba continuamente fermarsi per permettere a Muncie e Franco di discutere di politica per qualche minuto.

Tuttavia, ci sono abbastanza idee interessanti. E Domingo è una presenza imponente in un ruolo da protagonista convenzionale come probabilmente mai gli capiterà di vedere. Non interpreta, per prendere in prestito una frase che usa a un certo punto, “Stringer Bell con una laurea in Giurisprudenza”, ma è un buon eroe tradizionale, sia che stia combattendo contro gli avversari, sia che stia scappando dalla legge, sia che stia semplicemente fissando persone con abbastanza soldi e potere da cancellarlo dalla faccia del pianeta senza conseguenze. Lui e Alison “Poor Martha” Wright, che interpreta una fixer specializzata in cattivi, insieme a The Americans mantengono il divertimento per un po’. Ma alla fine non c’è abbastanza follia per tutti.

Da Rolling Stone US

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