Nella nuova miniserie HBO The Regime – Il palazzo del potere (da noi dal 4 marzo su Sky Atlantic e in streaming su NOW, ndt), Kate Winslet interpreta Elena Vernham, la leader autocratica di una piccola nazione situata da qualche parte nella Mitteleuropa. La maggior parte dell’azione si svolge all’interno del palazzo di Elena, e spesso ci ritroviamo nella sala riunioni dove la donna rimprovera i suoi consiglieri codardi. La stanza, con il suo enorme tavolo rotondo e un’illuminazione circolare, ricorda molto l’iconica “sala della guerra” disegnata da Ken Adam per il classico della Guerra Fredda Il dottor Stranamore. Probabilmente si tratta proprio di un’allusione alla più grande opera di satira politica mai girata, ma qualsiasi progetto che inviti apertamente al paragone con il capolavoro di Stanley Kubrick è destinato a non essere all’altezza.
La serie, composta da sei episodi in totale, è stata creata da Will Tracy, già collaboratore di Succession, Last Week Tonight with John Oliver e The Onion News Network, nonché sceneggiatore del film del 2022 The Menu. Il suo curriculum è quasi interamente incentrato sulla satira. Con la regia del grande Stephen Frears (che qui divide gli episodi con Jessica Hobbs) e un cast che comprende Winslet, Andrea Riseborough e, in ruoli minori, Hugh Grant e Martha Plimpton, i talenti in campo non mancano. Ma Tracy e i suoi collaboratori non sembrano sapere sempre bene cosa stiano satireggiando, né quale sia il tono che vogliono raggiungere.
Realizzare nel 2024 una serie la cui tesi fondamentale è che le autocrazie sono un male per tutti tranne che per gli autocrati, e talvolta per i loro amici, non sembra esattamente un’affermazione nuova o coraggiosa. Il comportamento di Elena ha qualche eco di Putin (invade un Paese vicino che un tempo faceva parte del suo, sostenendo che tutti i soggetti coinvolti sono favorevoli alla riunificazione) e di Trump (è instabile, soggetta a bizzarri capricci e ampiamente scollegata dalla realtà). Ma oltre a questo, non c’è nulla. Verso il finale, un personaggio ripensa a tutti gli eventi turbolenti che il comportamento di Elena ha provocato e si chiede con un filo di voce: “Secondo te, cos’era tutto questo?”. Non riescono ad articolare cosa sia successo, o cosa significhi, e The Regime rischia talvolta lo stesso esito.
Ancora più frustrante è lo sforzo della serie per raggiungere l’equilibrio tra assurdità e pathos che ha fatto sì che satire come Stranamore funzionassero così tanto negli anni Sessanta. La storia inizia con il caporale Herbert Zubak (Matthias Schoenaerts), un bruto proveniente dalla zona rurale più retrograda del Paese (*), che viene assegnato come nuovo bodyguard di Elena. Il suo compito principale è quello di scansionare ogni stanza in cui entra alla ricerca di umidità, perché la sua attuale fissazione è la muffa. Herbert è stato accusato di aver istigato il recente massacro di manifestanti politici e commette continuamente atti di autolesionismo fisico ed emotivo quando pensa che gli altri non stiano guardando. Più tempo passa in compagnia della mercuriale cancelliera, più influenza inizia ad esercitare su di lei, al punto che sembra essere lui a dirigere le cose.
(*) Quasi tutti i personaggi di spicco parlano con un accento britannico, tranne il marito di Elena, Nicholas (Guillaume Gallienne), conosciuto in Francia, e Herbert, che Schoenaerts interpreta con un dialetto da cortina di ferro un po’ fumettistico. L’idea sembra essere quella di suggerire che il mondo in cui si muove Elena non ha nulla a che vedere con quello da cui proviene Herbert, ma la giustapposizione non funziona mai del tutto.
Attraverso Herbert e la “maggiordoma” di palazzo Agnes (Riseborough), The Regime cerca di inserire un certo livello di drammaticità. Ma le scene sulla rabbia repressa di Herbert o sulla paura di Agnes dell’influenza di Elena su suo figlio Oskar (*) sono decisamente fuori sincrono rispetto a quelle in cui Elena diventa ossessionata dal “vapore di patate” come cura per i suoi molti disturbi o in cui i suoi vari intercambiabili tirapiedi commiserano ubriachi la loro vita da quando sono sotto il suo controllo. Per i primi cinque episodi, Winslet offre una performance totalmente comica, ma poi nel finale si fa improvvisamente seria.
(*) In una scena dei primi episodi, Elena è contenta di vedere Oskar che fa combattere i suoi giocattoli tra loro.
Si tratta, a onor del vero, di un’eccellente performance comica, e di gran lunga costituisce la parte migliore della serie. Winslet si impegna a fondo nel ritratto di Elena, rendendo sempre chiaro quanto sia fragile sotto la facciata che ha eretto intorno a sé. Nei momenti di stress, sviluppa un leggero difetto di pronuncia e un lato della bocca inizia a cadere un po’, come se avesse subìto un lieve ictus che si rifiuta di riconoscere (e che tutti gli altri hanno troppa paura di menzionare). È divertente e ci sono momenti in cui l’energia psico-sessuale di Elena e Herbert diventa così bizzarra che The Regime finisce per funzionare, nonostante gli altri problemi. E anche se il tentativo di Agnes di proteggere Oskar dalla “co-genitorialità” di Elena sembra far parte di un’altra storia, Riseborough interpreta il ruolo con così tanta umanità che, se non altro, vi chiederete se quel progetto vi sarebbe piaciuto di più di questo.
Il design del palazzo – un ex hotel di lusso che Elena ha scelto come residenza quando ha preso il potere – è impressionante, in particolare nell’episodio in cui Elena fa fare un tour del posto a una senatrice americana totalmente disorientata (Plimpton). Ci sono anche alcune battute taglienti qua e là – Elena dà il benvenuto a Herbert nella “zuppa di vermi conosciuta come burocrazia” e in seguito si lamenta che la cella di un prigioniero politico “puzza come l’uretra di un maiale” – ma non così tante come quelle che Will Tracy e soci hanno dato ai Roy in Succession.
Ma i paragoni con Succession sono ingiusti tanto quanto quelli con Il dottor Stranamore. Ma la serie finita l’anno scorso, grande trionfatrice agli ultimi Emmy, dimostra che in quel caso la HBO ha fatto un lavoro molto migliore per far combaciare le lati assurdi e quelli oscuri, oltre a sembrare una satira più tagliente e interessante.
A un certo punto, Elena obietta a quello che ritiene essere il comportamento insolito del suo staff. “Quando non siete normali, è come se mi diceste che non sono normale”, dice. “Mi fa diffidare di tutti voi, e mi fa desiderare che siate morti”. È uno dei momenti più divertenti sull’ipocrisia alla base di tutta questa storia. Ma quasi nulla, al di fuori della splendida protagonista, è abbastanza strambo da rendere queste sei ore interessanti o divertenti, considerati anche tutti i talenti all’appello.