‘The Studio’ è la risposta di Hollywood a ‘Boris’ (e quindi è bellissima) | Rolling Stone Italia
Dai Dai Dai (di piano sequenza)

‘The Studio’ è la risposta di Hollywood a ‘Boris’ (e quindi è bellissima)

La satira selvaggia di Seth Rogen & C. sfotte meravigliosamente contraddizioni e assurdità dell'industry (come già anni fa la 'fuoriserie' italiana e 'Dix pour cent'), ma sempre 'with love'. Un esempio? Il cazzeggio sul piano sequenza in tempi in cui si grida al miracolo per 'Adolescence'. Chapeau

‘The Studio’ è la risposta di Hollywood a ‘Boris’ (e quindi è bellissima)

Ike Barinholtz, Seth Rogen e Martin Scorsese in 'The Studio'

Foto: Apple TV+

Di certo non era già tutto previsto, ma in The Studio c’è un episodio intitolato “Il piano sequenza” girato manco a dirlo in piano sequenza (e ce n’è uno in ogni puntata), in cui un personaggio (poi ci torniamo) dice: “Il piano sequenza è soltanto un regista che si fa le pippe mentre rende la vita impossibile a tutti gli altri, al pubblico non frega un cavolo di questa roba”. E in tempi in cui si grida al miracolo per i piani sequenza (di nuovo, sorry) di Adolescence, capite quanto la satira dell’industry hollywoodiana da un’idea di Seth Rogen e Evan Goldberg – che scrivono, producono, girano e interpretano pure (nel primo caso) – possa aver fatto centrissimo.

È tutto divertentissimo, giustissimo, altissimo e bassissimo insieme, quasi commovente soprattutto per chi fa il nostro lavoro (gli perdoniamo lo scivolone su Woody Allen – sì, ancora – proprio perché spacca), segnalo una chicca per tutte: il produttore cinematografico interpretato da Bryan Cranston si chiama Griffin Mill come il personaggio di Tim Robbins nei Protagonisti di Robert Altman, chapeau. È proprio Mill a promuovere Matt Remick (lo stesso Rogen) a capo dei Continental Studios, una società ormai in crisi, e a imporgli nello stesso tempo di fare un film sui Kool-Aid, i preparati in polvere per bevande, sostanzialmente la cosa più americana e meno cool (pardon) che si possa trovare in circolazione (per la cronaca: “drinking the Kool-Aid” significa proprio bersi quello che ti vendono), al grido di: “Se la Warner Bros. può fare un miliardo con le tette di plastica di una bambola senza fica, noi dovremmo essere in grado di farne due con un brand storico come questo”. Sbam.

Bryan Cranston e Seth Rogen in The Studio. Foto: Apple TV+

Matt però ovviamente è un uomo di cinema d’auteur (“artsy-fartsy filmmaking bullshit”, come la chiama Mill, LOL) e non ci sta a produrre una cosa orribilmente commerciale e basta. Pensando appunto a Barbie, ovvero “la visione di una filmmaker come Greta Gerwig”, decide che inseguirà il sogno: fare un film di prestigio senza rinunciare agli incassi al botteghino. Un agente lo avverte: “Non succederà MAI e manderai tutto a puttane provandoci”, ma tutto sembra avverarsi quando Scorsese (sì, Marty in persona!) gli propone un soggetto sul massacro di Jonestown, dove 913 membri di una setta religiosa si suicidarono bevendo veleno mescolato a… indovinate. Ovviamente andrà tutto male, malissimo. E c’è un altro momento magnifico su sfondo del panorama di LA: Matt va a trovare il suo ex capo Patty Leigh (pare basata sull’ex co-presidente alla Sony Pictures Entertainment Amy Pascal e interpretata da Catherine O’Hara), della quale ha preso il posto: “Come ti senti?”, gli chiede lei. “Sinceramente, sono davvero infelice. Io amo i film, ma ora temo che il mio lavoro sia rovinarli”. È l’industry, bellezza. Ma è la risposta di Patty a racchiudere l’essenza dell’approccio di Rogen & C.: ”Una settimana guardi il tuo idolo negli occhi e gli spezzi il cuore, quella dopo firmi un assegno in bianco per qualche prepotente nepo-baby con la cuffia. Ma quando tutto si allinea e fai un bel film è per sempre”. Awww. Perché The Studio è sì una satira selvaggia della Hollywood più assurda – “Hollywood è come essere in nessun posto e parlare a nessuno di niente”, diceva Antonioni – ma nello stesso tempo: “There’s no place like home”, cit. Dorothy del Mago di Oz, e casa di Seth e soci è proprio Tinseltown, che guardano con gli occhi del cuore e lo spirito critico di chi vuole combattere per renderla migliore. Ecco, scrivere, dirigere e interpretare una serie così di certo aiuta.

The Studio — Official Trailer | Apple TV+

Certo, è impossibile non notare che noi che vogliamo sempre fa’ gli americani qua siamo arrivati quasi una ventina d’anni in anticipo con il miglior dietro le quinte di Cinecittà: Boris, la “fuoriserie” cult che non solo è una lezione di comicità pensante sullo show-biz senza eguali, ma che è stata in grado anche di raccontare il nostro Paese come nessun prodotto prima di ora e di allora. Ecco lo spirito meravigliosamente politically scorrect di The Studio è in fondo lo stesso, ovviamente Rogen c’ha i mezzi e il tone of voice di una major e allora dai dai dai di piano sequenza neo-western sulla neve starring Paul Dano o in piscina al tramonto con la protagonista di Past Lives Greta Lee, che il boss Matt Remick riesce involontariamente a rovinare in ogni modo possibile. Se da “bimbi di Boris” vi ricorda qualcosa, sì, pure su questo Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo sono stati dei pionieri: impossibile dimenticare in Boris: il film il piano sequenza che Stanis La Rochelle continua a invadere perché ha deciso di interpretare a tutti i costi Gianfranco Fini nel lungometraggio tratto dal libro-inchiesta La casta.

Boris : Il film - Piano sequenza con Gianfranco Fini ( Stanis Larochelle )

Se René Ferretti e compagnia cinematografara però centravano perfettamente (e con un registro unico) le idiosincrasie italiane prima ancora che quelle del nostro intrattenimento (ed erano dunque davvero per tutti), per apprezzare davvero a pieno The Studio essere del mestiere, be’, aiuta parecchio. Ma – d’altra parte – lo stesso vale per un’altra serie deliziosa a cui questa deve parecchio (e che, in effetti, una versione americana non l’ha avuta): Dix pour cent, che racconta le peripezie di un’agenzia di spettacolo parigina, guest starring gli attori e divi più celebri di Francia. Ecco, a proposito di guest star, come dicevamo qui c’è uno Scorsese as himself favoloso: per chi ha visto Call My Agent 2 Marty (lo dico?!) è il Gabriele Muccino di The Studio. E poi Ron Howard, Steve Buscemi, Olivia Wilde, Zac Efron, Ice Cube, Zoë Kravitz e Adam Scott di Scissione, ma anche camei di pochi secondi come quello di Steve Buscemi o Charlize Theron, che pare organizzi party imperdibili.

Martin Scorsese in ‘The Studio’. Foto: Apple TV+

Il resto lo fa un cast davvero azzeccato: Rogen riesce a essere insopportabile e insieme a fare tenerezza nella sua goffaggine, dando modo al pubblico di calarsi nei panni impossibili di uno studio executive; l’ormai onnipresente Catherine O’Hara è più misurata del solito, la sua ex boss è forse il personaggio con più gravitas per evitare che la satira risulti troppo farsesca (tranne almeno una battuta su Ray Liotta, no spoiler); Kathryn Hahn (l’Agatha di WandaVision, pure lei ormai praticamente ovunque) invece è la caustica e decisamente sopra le righe (il look!) responsabile marketing, una battuta per tutte: “La prossima volta che Variety vuole intervistarti perché non ne parli con noi, così possiamo trovare una tua foto decente?”; e poi Ike Barinholtz, l’incarnazione del perfetto party animal nella parte del vice di Rogen che fa questo lavoro “per i soldi, il sesso e la droga” e che fa firmare contratti a Pedro Pascal dove essersi ubriacato pesantissimo con lui. Ovviamente è sua la citazione sul piano sequenza dell’inizio. Ma poi prepara due Martini e si siede sul divano con Matt a vedere ammirato quello dell’ingresso al Copacabana di Liotta e Lorraine Bracco. W Marty, W il scìnema.