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‘The Umbrella Academy’ nel Multiverso della famiglia

Mentre nei cinecomic e nelle serie proliferano ucronie e mondi alternativi, il titolo Netflix giunto alla terza stagione riunisce il clan più variegato in circolazione. Per fare i conti con tutte le possibilità di un racconto che non smette di parlare dell’oggi

Tom Hopper e Elliot Page sono Luther e Viktor Hargreeves. Foto: Netflix

Tutte le famiglie felici si assomigliano. Ogni famiglia supereroica disastrata e disfunzionale è disastrata e disfunzionale a modo suo. Non chiacchieriamo di famiglia a caso, perché naturalmente, tra un numero spropositato di apocalissi sventate per un soffio e un’intensa attività di turismo spaziotemporale, è di famiglia che ci parla, più di tutto, The Umbrella Academy, la fortunata serie Netflix tratta dai fumetti di Gerard Way e Gabriel Bá editi in Italia da Bao Publishing. Ancora di più, se possibile, nella terza nuovissima stagione, appena materializzatasi sulla piattaforma, che ritrova i nostri (anti)eroi in una posizione diversa dal solito: insieme, uniti.

Contro un’altra famiglia superereroica, il loro doppio oscuro e di successo, la Sparrow Academy: come ci rivelava già il finale della seconda stagione, dopo aver evitato l’ennesima fine del mondo (e aver dato l’addio definitivo al defunto fratello Ben), i protagonisti tornano a casa, in quello che credono il presente, solo per scoprire una realtà alternativa in cui il machiavellico miliardario Hargreeves non solo non è morto, ma ha adottato altri bambini speciali e li ha trasformati in una squadra di supereroi di grande successo – capitanata da una versione viva, vegeta e cresciuta di Ben, tra l’altro.

Sì, Hollywood sembra decisamente ossessionata dal Multiverso e dalle timeline alternative, ultimamente: vale per la Fase 4 del Marvel Cinematic Universe, naturalmente, dalle mille varianti di Loki in Loki ai what if di What If…?, fino alle generosissime apoteosi di Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange nel Multiverso della follia. Ma vale anche per lavori teoricamente lontani dal mondo blockbuster, e che pure hanno recentemente guadagnato un successo notevole trasformandosi in piccoli fenomeni, come Everything Everywhere All at Once (almeno, è successo negli USA: in Italia il film con Michelle Yeoh deve ancora uscire). Per non dire della quantità di racconti cinematografici o seriali che immaginano versioni alternative della storia (le cosiddette ucronie), che siano ambientati nel passato come The Man in the High Castle, Il complotto contro l’America, Hollywood o For All Mankind, o in un presente modificato come Watchmen, The Handmaid’s Tale o Y – L’ultimo uomo.

C’è chi dice che questo proliferare di varianti sia una risposta culturale alla pervasività di internet, un luogo in cui chiunque può in effetti assumere molteplici identità e in cui – purtroppo – proliferano pure i “fatti alternativi” e le fantasie di complotto (e infatti quante celebri cospirazioni s’intrecciano nel lavoro della Commissione di The Umbrella Academy?). C’è chi si chiede se non dipenda piuttosto da un’angoscia generalizzata per il futuro, che ci porta a cercare nel passato “il momento in cui tutto è andato storto”, indirizzandoci nella timeline peggiore possibile (e a ben guardare, oggi tutte le serie ambientate dal 2020 in poi che non fanno riferimento alla pandemia sono tecnicamente delle ucronie…). Anche se la scorsa stagione di The Umbrella Academy ci ha messo in guardia: non è facile capire le conseguenze dei singoli eventi storici e sapere cosa evitare e cosa no per creare un futuro migliore, visto che una delle tante catastrofi da sventare riguarda una linea temporale in cui l’omicidio di Kennedy non è mai avvenuto.

Ma The Umbrella Academy – che del “pasticciare” con la Storia ha fatto spesso materia principale dei suoi plot twist, soprattutto nell’ultima annata in cui i protagonisti venivano “sparpagliati” in diversi momenti del passato – aderisce, anzi, è uno degli esempi più squillanti di un altro cospicuo trend degli ultimi anni, e cioè quello che rilegge i supereroi in chiave adulta e dissacrante, a volte direttamente parodica, spesso iper violenta, quasi sempre più o meno sottilmente critica e frequentemente (chissà se è una coincidenza oppure no) con dell’ottima musica in colonna sonora. Come sempre i fumetti ci sono arrivati molto prima, e infatti è il Watchmen originale di Moore e Gibbons il paradigma. Ma in questa contemporaneità dominata dai blockbuster, anzi, praticamente occupata quasi totalmente da cinecomic cinematografici o seriali, è inevitabile che proliferino le variazioni sul tema, le evoluzioni, i tentativi di smontare il mito, magari per rimontarlo in modi diversi.

Lo scontro tra l’Umbrella Academy e la Sparrow Academy. Foto: Netflix

È il caso ovviamente di Watchmen, e in questo caso intendiamo la serie tv creata da Damon Lindelof per HBO, che della sua controparte letteraria immagina, invece che un mero adattamento, un suggestivo remix-sequel, forse la vetta di questa tendenza. Ma prima, e dopo, l’elenco è lunghissimo: Kick-Ass, Super, Legion, Powerless, The Boys, The Tick, Deadpool, Doom Patrol, The Sucide Squad e la sua serie spinoff Peacemaker, Thunder Force, Jupiter Legacy, una miriade di serie animate, e sicuramente abbiamo dimenticato qualche titolo importantissimo, risalendo fino a Misfits, uno dei migliori esperimenti sul tema (almeno nelle prime due stagioni) che, tra l’altro, aveva come protagonista Robert Sheehan, il Klaus di The Umbrella Academy (in un ruolo non poi così diverso, va detto). Vuol dire che il pubblico è stufo di supereroi? Tutt’altro! Piuttosto, significa che il genere è ormai maturo per essere dissezionato e ribaltato, per diventare terreno di rischi ed esperimenti.

Esperimenti più o meno riusciti, più o meno apprezzati, che tentano di approcciarsi alla materia supereroica in modo iper consapevole e ironico, cercando nuove strade (si sa, tra l’altro, che uno dei difetti dei cinecomic è spesso quello di adagiarsi su una formula fissa e diventare ripetitivi) e spesso anche criticando direttamente il genere, o almeno criticando quella che sembra ormai una dipendenza collettiva da questo tipo di narrazioni e di personaggi. E magari, nel frattempo, anche alzando il volume della violenza consentita a un pubblico adulto, visto che la stragrande maggioranza delle produzioni supereroiche, rivolgendosi a spettatori teen, son per forza costrette a essere edulcorate e molto poco sanguinolente (quanti alieni e/o robot senz’anima tocca sterminare ogni volta per evitare “scandalosi” spargimenti di sangue umano?). Insomma, il punto è ricordarci che tutti, anche gli eroi, hanno un lato oscuro, che il mondo in bianco e nero non esiste, e che di tanto in tanto è necessario venire a patti con verità scomode e contraddittorie.

The Umbrella Academy, però, lo fa soprattutto, come dicevamo, andando a scavare dietro l’idea di famiglia. In fondo è questo che sono, in generale, i team di supereroi, una “famiglia elettiva”: a volte i suoi super membri bisticciano come fratellini capricciosi, qualche volta costeggiano territori incestuosi, il leader è spesso una figura genitoriale (più spesso paterna che materna), qualche volta qualcuno s’allontana e si trasforma in nemico, eccetera. La serie tratta dai fumetti di Way e Bá ci dice fin dall’inizio che il vero punto, tra viaggi nel tempo, scene action ed esplosioni, è l’umanità che sta sotto la maschera, il costume o l’identità supereroica, e soprattutto che sono le relazioni tra i personaggi ciò a cui bisogna prestare davvero attenzione. E infatti, almeno in queste tre stagioni, The Umbrella Academy è la storia di un gruppo di persone inizialmente costrette a diventare una famiglia loro malgrado, quasi irrimediabilmente danneggiate da un padre putativo spietato e anaffettivo e dalla competizione reciproca cui vengono sottoposti durante gli anni cruciali della crescita; ed è poi grazie ai loro sforzi e alle svolte del destino che li portano a diventare una vera famiglia, a scegliersi l’un l’altro invece che a sopportarsi o detestarsi, scoprendo finalmente chi sono sul serio, al di là dei propri poteri, che possono diventare davvero super e salvare il mondo innumerevoli volte.

Robert Sheehan, Emmy Raver-Lampman e Elliot Page in una scena della terza stagione. Foto: Netflix

È anche in questo senso che il percorso di Viktor, interpretato da Elliot Page, si rivela ancor più significativo: Page ha fatto pubblicamente coming out a fine 2020, e il suo personaggio fa lo stesso con i membri della sua famiglia nella terza stagione di The Umbrella Academy. La sua transizione di genere viene affrontata con intelligenza e discrezione: non è il punto cruciale di una stagione in cui, ancora una volta, ai nostri tocca sventare un’apocalisse generata da un paradosso temporale, ma non è nemmeno del tutto ignorata, anzi, contribuisce ad indagare i fondamentali legami del gruppo. In particolare la relazione tra Viktor e Allison, l’unica sorella Hargreeves, è uno degli highlight dei nuovi episodi.

Una stagione in cui, come si diceva, la famiglia è tutto: non solo i nostri eroi si trovano ad affrontare un gruppo di fratelli rivali, ma per gran parte del tempo (forse anche a causa della lavorazione in pandemia?) si muovono tra l’Umbrella Academy e un misterioso hotel, offrendoci l’occasione di partecipare a svariate – e spesso molto divertenti, se non rivelatorie – riunioni familiari. A differenza di quel che può capitare a molti di noi ai pranzi di Natale o similari, a questo tavolo, insieme ai fratelli Hargreeves, ci si siede volentieri.

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