In The Veil (appena arrivata su Disney+, ndt), un collega della spia britannica Imogen Salter la supplica di cambiare strategia in un nuovo incarico sotto copertura. “Per favore, non parlare con la vera me”, risponde. “È inutile”. E la serie cerca ripetutamente di capire quale sia il confine tra questo personaggio e la “vera lei”, il cui nome, ovviamente, non è nemmeno Imogen. Il problema è che la versione della serie su “Imogen” è molto più divertente, ma The Veil sembra interessata soprattutto alla sua vera identità.
Creata da Steven Knight (Mister Peaky Blinders, nonché creatore di Tutta la luce che non vediamo), The Veil presenta la sua eroina, interpretata da Elisabeth Moss, al termine di un incarico durante il quale si faceva chiamare Portia. Portato a termine il lavoro precedente, le è stato concesso questo nuovo soprannome ed è stata mandata in un campo profughi delle Nazioni Unite al confine tra Turchia e Siria, dove una donna chiamata Adilah (Yumna Marwan) viene accusata di essere un agente dell’ISIS nascosta tra le vedove e i bambini sfollati del campo. Lavorando per conto di un’operazione congiunta anglo-francese, con la spia francese Malik (Dali Benssalah) come suo referente, il compito di Imogen è capire se Adilah è il mostro che tutti dicono e, nel caso, se può fornire informazioni essenziali a prevenire un presunto attacco terroristico contro una città occidentale.
L’idea sembra abbastanza semplice. Le parti di The Veil in cui Imogen prende a calci il mondo, cambia continuamente nome e sorride maliziosamente sono appassionanti, e rappresentano un intrigante cambio di ritmo per Moss, le cui interpretazioni più recenti (The Handmaid’s Tale, Shining Girls, L’uomo invisibile), sebbene eccellenti, hanno quasi sempre ritratto donne traumatizzate che si ribellano ai loro aggressori.
Ma Knight e i suoi collaboratori (Daina Reid, direttamente da Shining Girls, ha diretto i primi tre episodi, Damon Thomas gli ultimi tre), proprio come la loro eroina con i suoi molteplici alias shakespeariani, vedono quell’approccio solo come un mezzo per raggiungere un fine. Il caso invece si rivela la chiave per svelare i tanti segreti che Imogen nasconde al mondo e quelli che il mondo ha nascosto a Imogen. Ma più The Veil esplora il suo tragico retroscena – e più tenta di giocare al gioco di We’re Not So Different, You And I tra Imogen e Adilah – più diventa impenetrabile, sia nella trama che nelle emozioni. Il climax del sesto e ultimo episodio (con James Purefoy nei panni di una figura misteriosa del passato di Imogen) è quasi del tutto senza senso, con i personaggi che prendono decisioni enormi apparentemente a caso.
C’è un approccio più superficiale alla storia, tanto da desiderare che fosse la vera The Veil, anziché una copertura per la storia che Knight voleva raccontare. Con i capelli biondo chiaro, un sorprendente rossetto rosso e una varietà di cappotti e giacche ben studiati, Moss non è mai apparsa così disinvolta e sicura di sé sullo schermo. Quando fa terra bruciata attorno alle sue controparti francesi e americane – incluso Josh Charles, perfetto nel ruolo di un compiaciuto agente della CIA che continua a cercare di portare a termine il caso – affrontando da sola diversi aggressori e sorridendo sorniona come il gatto che si è appena mangiato il canarino, The Veil sembra molto divertente e solida.
Non è difficile immaginare che Moss voglia ritornare periodicamente a personaggi di questo tipo ogni tot anni, come a volersi riprendere tra un ruolo e l’altro in cui deve distruggere psicologicamente sé stessa e/o il pubblico. Invece The Veil si trasforma rapidamente in un altro dei lavori di questo tipo, ma alla fine non funziona così bene come molti dei suoi prececessori.