Su, sempre più su, verso l’infinito e oltre. Potremmo riassumere così, fregandocene per un attimo dei tecnicismi, la (impressionante) curva di ascolto registrata giovedì sera da The Voice Senior, il programma “nato vecchio” di Rai 1 che nel giro di due settimane è diventato il caso televisivo del momento. O meglio, un interessante paradosso tv. The Voice Senior non è infatti quello che sembra. Sì, ci sono i quattro giudici come a The Voice of Italy (papà Al Bano e figlia Jasmine contano come una persona sola); le sediolone girevoli per non far sbirciare i giurati e valutare solo la voce; il pulsantone rosso fuoco da pigiare per opzionare un cantante e, per l’appunto, un’orda di concorrenti che avrebbero voluto fare i cantanti nella vita e sono lì, su Rai 1, per gridarlo al mondo. Però, come spiega Antonella Clerici, le qualità che servono per partecipare a The Voice Senior sono solo due: «Amare la musica e avere più di sessant’anni». E uno pensa: «Tutto qua?».
Sì, tutto qua, perché The Voice Senior non è un talent show. Anzi. È la nemesi del genere, e il suo successo sta proprio nel negare, con precisione chirurgica, tutto ciò che rende talent un talent. Tanto per cominciare, non esiste gara. Vi sembra forse che si respiri un clima di tensione in studio? Suvvia. Guardare The Voice Senior è come farsi un giro in balera: c’è un sacco di gente simpatica, ormai avanti con l’età (tra cui Giulio Todrani, padre di Giorgia), che ha voglia solo di divertirsi. Se dai un po’ di corda a qualcuno, iniziano pure a raccontarti la loro vita. Alla Clerici basta porre la domanda più banale della terra, ossia «Come ti senti in questo momento?», per ascoltare gli aneddoti più disparati. I giudici, poi, nemmeno si scomodano a fingere scazzi o tensioni: non siamo a X Factor (e meno male…). Clementino si alza spesso in piedi sulla sedia, sbracciandosi (ma per fomentare chi, se non c’è pubblico in studio?) e non perde occasione per fare battute con il compaesano Gigi D’Alessio. Se la ridono, quei due. Al Bano e figlia sono messi invece lì alla stregua dell’esperimento sociale, mentre a Loredana Bertè basta essere sé stessa per risultare irresistibile. Onestamente non conserviamo memoria delle considerazioni tecniche su voce, diaframma e melodia, formulate dai giudici in queste prime puntate: se anche le hanno fatte, sono state travolte dal clima Raul Casadei. Tra l’altro, tra una votazione e l’altra, entra la nonna del concorrente, o il figlio che ama Clementino, e si improvvisano duetti e cantatine con la giuria. È una festa, la migliore organizzata negli ultimi anni a Villa Arzilla.
The Voice Senior si disfa inoltre dell’altro grande dogma dei talent: la promessa di eterna fama. Per dire: se vinci ad Amici, sai già che riempirai almeno uno stadio. Qui no. Il premio è già essere in onda su Rai 1. Nessuno, né i diretti interessati né la produzione, immagina di scovare il nuovo fenomeno musicale: superati i sessant’anni non sarebbe effettivamente plausibile. Lo scarto però è che per la prima volta lo si dichiara apertamente: è solo un gioco. Tu vieni qui, hai il tuo momento di gloria, e noi grazie a te facciamo un sacco di soldi e resuscitiamo un format (The Voice of Italy) che pareva morto. Patti chiari, amicizia lunga (o, ci si augura, longeva). Persino il premio è simbolico: niente soldi, ma un vinile con le cover cantate dal vincitore nel corso del programma e la pubblicazione da parte della Universal di una di queste canzoni. Che, ribadiamo, è una cover. Mica un inedito. Ergo, chi se lo compra, a parte i parenti stretti?
Non ultimo, il target. I talent sono la terra promessa dei giovani: lì loro vogliono andare ed è lì, al massimo, che si sintonizzano quelle rare volte che accendono la tv. Invece The Voice Senior se ne frega dei pischelli e promuove a target privilegiato la terza età: modula lo show sul loro ritmo (lo spiegone sul meccanismo della gara rifilano a inizio di ogni santissima puntata docet), predilige il repertorio canoro classico, non nasconde rughe e capelli argentati ma anzi li esalta. Parla insomma la loro lingua, non certo quella dei millennial. Poi, certo: per sicurezza piazzano in giuria un tornado come Clementino e la giovane figlia di Jasmine. Ma sono degli specchietti per le allodole, servono a fare colore: il cuore dello show è un altro, d’antan. Il successo di The Voice Senior potrebbe dunque coincidere con la morte dei talent show: il programma svela l’usura del filone, le sue ipocrisie, e sul tradimento dei codici costruisce un format vecchio, vecchissimo e decrepito. Ma che rischia di essere quanto di più nuovo ci sia oggi in tv.