‘The White Lotus 3’: stesso copione, stessa grande serie | Rolling Stone Italia
Digital Detox

‘The White Lotus 3’: stesso copione, stessa grande serie

Questa volta il morto ci scappa in Thailandia, con la location che offre uno sfondo ancora più causticamente in contrasto con lo spirito capitalistic-sbruffone dei "soliti" ricchi e stronzi in vacanza. Mike White mette a segno un altro grande capitolo della sua commedia (dis)umana

‘The White Lotus 3’: stesso copione, stessa grande serie

Jason Isaac, Parker Posey, Patrick Schwarzenegger, Sarah Catherine Hook e Sam Nivola in 'The White Lotus 3'

Foto: HBO/SKY

Questa volta il cadavere ci scappa in Thailandia. E i fedelissimi (eccoci!) lo sanno: da che stagione è stagione, The White Lotus inizia sempre dalla fine. La liturgia ormai ritualizzata da Mike White prevede in apertura il fastforward con il morto, che galleggia (come sempre convenientemente) a faccia in giù, qui sotto lo sguardo implacabile di un monumentale Buddha.

Altra vacanza nell’immaginaria catena alberghiera del titolo, altri ricchissimi stronzi che in ferie diventano pure più stronzi (e i local che se la passano peggio che mai). È la “solita”, meravigliosa e bruciante satira sulla lotta di classe, sull’ipocrisia e le contraddizioni degli occidentali, per cui il mondo è la nostra ostrica, quindi possiamo fotterci pure le perle e (non) ci dispiace per gli altri. A questo giro però la location offre uno sfondo che è ancora più causticamente in contrasto con lo spirito capitalistic-sbruffone degli ospiti: la natura incontaminata e lussureggiante, la fauna che ha libero accesso al resort, con i lucertoloni in agguato e le scimmie che osservano (e sembrano sghignazzare) dall’alto degli alberi, la wellness, la mindfulness (pardon doppio), la filosofia e la medicina orientali che la fanno da padrone vs il milieu cafonal-occidentale che il benessere fisico e mentale pretende di inseguirlo con il cellulare costantemente in mano e mentre si ingozza di protein shake. E allora tutti pronti (ehm, non tutti) per il digital detox, per i programmi personalizzati, per lo yoga, per la stress management meditation. Togliete al gruppo vacanze white privilege tutto, ma non vino e affini. E infatti.

La formula – trionfale, vedi i 44 Emmy tra primo e secondo capitolo – per fortuna rimane sempre la stessa. Parola di Belinda (Natasha Rothwell), la responsabile della spa di Maui abbandonata da Tanya (Jennifer Coolidge, ci arriviamo) nella prima stagione dopo mille promesse imprenditoriali e arrivata qui per una sorta di scambio culturale tra resort: “In realtà è tutto molto simile. Peccato che alle Hawaii non ci siano scimmie”. E lo conferma anche il titolo del primo episodio Same Spirits, New Forms, “stessi spiriti, nuove forme”. Abbiamo pure qui la famiglia ricca annoiata e disfunzionale, più o meno l’equivalente dei Mossbacher dei primissimi episodi: Tim (Jason Isaacs) lavora nella finanza e deve gestire uno scandalo che gli sta per scoppiare tra le mani, la moglie Victoria (Parker Posey con fenomenale accento del Sud) è tutt’uno con i suoi psicofarmaci, il figlio maggiore Saxon (Patrick Schwarzenegger) è un rich brat bullo pure con i fratelli, la figlia Piper (Sarah Catherine Hook) è arrivata qui per fare ricerche sulla sua tesi di laurea e Lochlan (Sam Nivola) deve decidere a quale università iscriversi.

The White Lotus S.3 | Trailer ufficiale

Poi ci sono Rick (Walton Goggins), un lupo solitario di poche parole con un segreto in vacanza con l’esuberante e giovanissima fidanzata Chelsea (Aimee Lou Wood), e – forse la novità più interessante – le cougar in girls trip nostalgico, aka Jaclyn (Michelle Monaghan), star della Tv, Kate (Leslie Bibb), sposata con un ricco uomo d’affari del Texas, e Laurie (Carrie Coon), avvocato aziendale e mamma single. Sono BFF da sempre, che sanno essere tanto affettuose quanto perfide l’una con l’altra: è un’analisi al microscopio del classico triangolo di amicizia al femminile che prima o poi esplode.

Ah, c’è pure Greg (Jonathan Gries), lo spietato marito di Tanya che aveva complottato con i “gay malvagi” in Sicilia per farla uccidere e godersi l’eredità. Come spiega la sua nuova e (anche lei) giovanissima compagna, vive in cima alla collina e fa parte della sempre più numerosa popolazione di uomini bianchi calvi pieni di soldi che i thailandesi chiamano “losers back home“, ovvero “quelli che a casa loro non si filerebbe nessuno”. Già, perché niente della terza stagione di The White Lotus (dal 17 febbraio su Sky e NOW) sarebbe possibile senza le fondamenta gettate nelle due precedenti. Qui Mike White raccoglie quello che ha seminato e intreccia pazientemente i fili narrativi che aveva già tessuto, con una libertà che forse non si era mai concesso prima: quella di fare meno, perché less is more. Soprattutto se scrivi così.

Nell’aria c’è un misticismo buddista, con le statue che se la ridono della commedia (dis)umana in scena sotto i loro occhi, un mood zen – la prima scena inizia con una sessione di meditazione – che verrà spezzato da una sparatoria. Chi sta sparando a chi? E perché? La storia è uno slow burn che cresce di puntata in puntata, con un andamento meno feroce e più riflessivo, ma non per questo meno efficace, e il murder mystery questa volta è più che mai parte del godimento, perché White semina molte più ipotesi e molti più indizi a stuzzicare il nostro lato Signora in giallo, o alla meglio, Agatha Christie. In ogni caso, prima di pensare all’“indagine” mettetevi comodi e godetevi le miserie dei protagonisti, intrappolati in questa specie di paradiso creato dall’uomo, anzi da una donna, Sritala (Lek Patravadi), un’ex attrice diventata guru del vivere bene. Qualcuno ha scritto che è la “schadenfreude”, letteralmente: trarre piacere dalle disgrazie o dai fallimenti altrui. Anche se i protagonisti restiamo sempre noi.

Altre notizie su:  Mike White The White Lotus 3