Dal 29 giugno su Netflix c’è la prima parte della terza stagione di The Witcher, cinque episodi a cui se ne aggiungeranno altri tre il 27 luglio. Saranno gli ultimi fuochi di Henry Cavill nei panni di Geralt di Rivia, dato che l’ex Superman ha già annunciato da tempo che avrebbe lasciato il personaggio, che sarà poi ereditato da Liam Hemsworth. Ma questo è il futuro, il presente è vedere che la serie fantasy su cui Netflix ha investito molte risorse, e anche molta della sua credibilità, sembra non conoscere declino.
Le due stagioni precedenti sono rimaste di media sei settimane nella Top 10 globale delle visioni della piattaforma (secondo i sistemi di rilevamento da loro stessi decisi, quindi tocca fidarsi), e anche il prequel con protagonista il fresco premio Oscar Michelle Yeoh e la serie animata hanno dato piacevoli soddisfazioni alla piattaforma di Los Gatos. Tratta dai romanzi dello scrittore fantasy polacco Andrzej Sapkowski, serie il cui successo è poi effettivamente esploso grazie al franchise videoludico firmato da CD Projekt Red, The Witcher contiene tutti gli elementi classici del genere, e con tutti intendo proprio tutti. Magia, creature mutanti, regni in conflitto, intrighi politici, sesso, violenza, mostri, dimensioni parallele, spiriti, amuleti, pozioni, Aldilà, Aldiquà, Aldisù e Aldigiù. Potremmo continuare all’infinito, il tutto impacchettato in una confezione dalla qualità non sempre produttivamente irreprensibile. Non siamo mai dalle parti di Fantaghirò, ma nemmeno da quelle di Game of Thrones, ma a dirla tutta questo look che cammina sulla sottilissima linea che divide il naïf dal trash ha un suo fascino, che contribuisce a rendere The Witcher il più classico dei guilty pleasure.
E a Lauren Schmidt Hissrich, showrunner della serie, bisogna rendere il merito di avere cercato nuove strade per ogni stagione di un titolo che, come mi aveva detto un paio d’anni fa in occasione dell’uscita della seconda stagione, «credo mi abbia scelta. Il fantasy non è il mio genere, ma qualcosa mi intrigava nella struttura narrativa, e una volta capito cosa fosse ci sono entrata dentro, da come gli eventi della serie si sviluppano ai tre personaggi principali, Geralt, Yennefer e Ciri, una vera famiglia disfunzionale».
Una progressione partita con la definizione di tutti i personaggi, dai tre principali a tutti quelli di contorno che, a meno di morte violenta (perché nel fantasy è raro morire di vecchiaia) ci hanno accompagnato fino a oggi. Nella seconda stagione l’approccio è stato più geopolitico, non a caso, dato che Lauren ha un passato nel team di scrittura di West Wing. Si sono quindi costruiti tutti i rapporti di forza tra le diverse fazioni in corsa per il potere, guardando anche alla Storia e alla contemporaneità. Gli elfi perseguitati e popolo eletto, i maghi che tirano i fili e manipolano i sovrani, le forze oscure che operano nell’ombra, mentre Geralt, Ciri e Yenn devono combattere un nemico ancora più grande, il cui immenso potere viene alimentato dal dolore e dalla sofferenza. Insomma, traslate tutto nella nostra realtà di tutti i giorni e vi accorgerete che il Continente è un posto tranquillo rispetto al nostro mondo.
Nel mentre, il rapporto tra il witcher e la giovane erede al trono di Cintra, Ciri, diventa quello tra un padre e una figlia, e il ritorno della strega ribelle Yennefer è il preludio a un passione destinata inevitabilmente a riaccendersi già nella prima parte della terza stagione, in cui la nostra compagnia (non dell’Anello) è costretta a vagare, cambiando casa di continuo, perché praticamente tutto il Continente è alla ricerca di Ciri, colei che porterà l’equilibrio. Lo sono gli elfi, il cui sangue scorre nelle vene della ragazza, i maghi e le streghe, dato che la sua magia è più potente di quella di chiunque altro, e soprattutto… ma per chi non avesse visto la seconda stagione non sveliamo di più.
In più, vengono introdotti elementi LGBTQ+ come parte integrante del racconto, si ritrovano ammiccamenti sessuali che erano progressivamente spariti nel corso delle puntate precedenti e la percentuale di azione in ogni episodio aumenta, complice anche la scapestrata impulsività dettata dalla gioventù di Ciri. Per gli appassionati di fantasy c’è tutto quello che serve per continuare la visione, con tanto di cliffhanger al termine dell’ultimo episodio di questa prima parte che rende l’attesa per quanto accadrà nel finale di stagione ancora più appassionante.
Henry Cavill è sempre a suo agio sotto la canuta parrucca di Geralt, e il fatto che venga aumentata la dose romance rende il personaggio meno ruvido e tormentato (ed era pure ora). La giovane Freya Allan dopo tre stagioni sembra avere una maggiore consapevolezza di quello che vuol dire interpretare Ciri, mentre Anya Chalotra è ancora la sensualissima strega Yennefer.
Alla fine della fiera, The Witcher è da vedere? Se siete appassionati di fantasy sì, anche perché, a fronte di budget decisamente differenti, il risultato finale non è poi così lontano da Gli anelli del potere, la serie Amazon tratta dai racconti della Terra di Mezzo di Tolkien. Non ci sono molti prodotti per gli appassionati del genere, quindi va benissimo quello che passa il convento. Se non vi piace il genere ma amate gli intrighi politici e di corte, The Witcher non è diversa da una delle tante serie in costume che hanno imperversato negli ultimi anni, da I Tudor a I Borgia, fino a prodotti ancor più celebrati come Bridgerton e The Crown. Si aggiunge solo un pizzico di magia. E, a dirla tutta, la saga di Geralt di Rivia ha poco da invidiare anche a molte delle ben più celebrate varie serie Marvel e Star Wars (qualcuno ha detto The Book of Boba Fett?).
Come diceva l’impresario teatrale di Shakespeare in Love:
“Sarà un successo.”
“Come lo sai?”
“Non si sa, è un mistero.”
Appunto.