C’è qualcosa in Rocco Schiavone. Anzi, c’è tutto. Il personaggio: il vicequestore più politicamente scorretto, malinconico e figo d’Italia. L’attore: il grande Marco Giallini, che ormai con Rocco è tutt’uno. Lo scrittore: Antonio Manzini, che quel protagonista l’ha creato nei suoi romanzi e lo pennella stagione dopo stagione per la tv. Il regista: Simone Spada che, entrato nel corso della terza stagione, ne ha capito l’anima. La casa di produzione: Cross Productions di Rosario Rinaldo, che con progetti come Schiavone stesso, ma pure SKAM Italia e Il cacciatore, sta contribuendo a rivoluzionare la serialità di casa nostra. Ecco, abbiamo provato a capire cosa rende Rocco Schiavone quello che è in una chiacchierata allargata su Zoom per il debutto delle nuove puntate (il 17 e il 24 marzo su Rai 2). A partire dalla dinamica unica (ed evidentissima anche durante le interviste) che si è creata tra Giallini, Spada e Manzini: «Ah, che roba bella che hai detto», commenta subito Giallini.
«Io però sul set non ci vado», spiega Manzini. «Manco io», cazzeggia Marco. Lo scrittore lo zittisce, Giallini ride. Capite? È tutto bellissimo.
«Non c’è bisogno dell’autore mentre girano, è un rompipalle, per cui è meglio che resti a casa e che faccia il suo lavoro: scrivere», prosegue Antonio. «Avere Marco e Simone è una benedizione: la fiction solitamente è fatta un po’ da mestieranti. Loro invece non sono un attore e un regista, sono due artisti che raramente si prestano alla tv, hanno un cuore immenso e se non lo vedi nel prodotto finale è perché sei un alieno». Spada si emoziona: «Antonio guarda le puntate dopo: lui crea dei mondi che noi dobbiamo far diventare visione, e credo che quando poi riesce a ritrovare i pensieri e le atmosfere che avevano ispirato le sue pagine sia bellissimo».
Un attimo però: dove eravamo rimasti? Avevamo lasciato Schiavone in fuga, lo ritroviamo ai Caraibi. Nei nuovi episodi – «solo due perché non c’era materiale, sono finiti i libri, il prossimo dovrebbe uscire a maggio», anticipa Manzini –, Rien ne va plus e Ah, l’amore l’amore, Rocco deve chiudere un caso che era iniziato nel libro precedente e che riguarda il casinò di Saint-Vincent. In quello successivo invece viene ricoverato per una sparatoria, e proprio all’interno dell’ospedale, si apre un’indagine. Aspettando le nuove puntate, con l’aiuto del trio delle meraviglie di cui sopra, abbiamo messo giù qualche lemma del vocabolario di Rocco Schiavone.
La felicità secondo Rocco Schiavone. «Penso che sia felice quando sta da solo e quando aspetta persone che lo fanno stare bene. Ma non l’ho mai visto tanto felice, forse in alcuni momenti, c’ha sempre qualcosa… A prescindere da quello che gli è successo, è quel suo camminare sempre così, un po’ vittima di Dio», ride Giallini. «Tiè, questa era forte, Antonio, volevo vedere la vostra faccia». Manzini conferma: «La parola felicità nel dizionario di Rocco non c’è».
L’amore secondo Rocco Schiavone. «Ahia, non c’è evoluzione del personaggio, c’è un’involuzione», sempre Giallini. «Cioè non so, non me ricordo quello che fa, un po’ son diventato lui, lo sento molto vicino, di conseguenza non mi ricordo quello che ho fatto ieri, mi dovrei andare a rileggere il libro. Ma di chi m’ennamoro, giuro che non me ricordo: diciamo che non m’ennamoro, faccio l’amore. Pure questa non era male eh». Manzini aggiunge: «Marco ha profondamente ragione, per il resto bisognerebbe chiederlo a Rocco». Conclude Spada: «Scoprirete tutto nelle puntate, però lui nella sua depressione è sempre un po’ innamorato, perché vive molto le cose, le persone, per cui sì, probabilmente un giorno incontrerà qualcuno, però non credo che sarà un amore felice, che alla fine lo renderà sereno, non è quello che cerca… sono amori tumultuosi i suoi, passionali, impetuosi».
L’amicizia secondo Rocco Schiavone. «Sono molto empatico e mi rivedo nella sua concezione, quella per cui contano le cose che hai condiviso, le sensazioni più degli anni. In caserma con i colleghi cerca dei rapporti e allo stesso tempo li respinge, fa di tutto per stare antipatico a tutti, compreso il personaggio di Ernesto D’Argenio», sottolinea Giallini. «Però, ecco, la relazione con i suoi amici storici trasteverini, che lo riportano a un retaggio non proprio pulito, è importantissima, è proprio legato a loro perché hanno vissuto tanto insieme da ragazzi». Interviene Spada: «La relazione con i suoi vecchi compagni d’infanzia romani fa parte dell’identità di Rocco: si riconoscono, si annusano, sono una parte che si porta sempre dietro. E poi la contraddizione: i grandi amici di Rocco, che è un vicequestore, sono dei delinquenti». Conclude Manzini: «Condividono un linguaggio da 50 anni e credo che quello sia il senso dell’appartenenza, fatta anche di emozioni, Penso che l’unica armatura che abbiamo per affrontare questa vita sia quella dell’amicizia».
Aosta secondo Rocco Schiavone (o secondo Giallini, che è la stessa cosa). «Io non vado mai in montagna, la famosa aria fina mi ammazza, quell’erba verde attaccata per terra un po’ me mette… è troppo bona l’aria. Però amo Aosta città e gli aostani, che mi hanno accolto proprio come Schiavone, e mi piace anche guardare i monti. Ma se c’è da cammina’, non fa per me».
L’invasione di commissari (e simili) secondo Rocco Schiavone. «Da Rocco ho imparato che si può fare un prodotto televisivo bello e fruibile, per me è una delle cose migliori a cui ho lavorato, perché sono appassionato del genere crime e poliziesco, ma non ne ho visti molti di poliziotti, vicequestori, commissari, comandanti, brigadieri così». Manzini scherza: «L’affollamento non c’è solo in tv, è successo anche in ambito editoriale. Si è riempito il mondo di gente che cerca assassini e fa sorridere. Ho chiesto all’ufficio turistico di Aosta se possono aumentare il numero di omicidi perché li vedo un po’ blandi, vorrei che si ammazzassero un po’ di più per renderci più aderenti alla realtà… Sto cazzeggiando, sì, ma è vero: ce ne sono tantissimi di poliziotti e vicequestori, mi piace però pensare che i necessari siano pochi. E che nella vostra opinione Rocco sia tra questi».