La (non) sospensione dell’incredulità
Lo diciamo fin da subito: siamo dispiaciutissimi. Tristissimi. Affranti. Un adattamento di Stephen King – La storia di Lisey, romanzo del 2006 ora diventato una serie di Apple TV+ (per ora sono disponibili i primi tre episodi) – firmato da King stesso. Il cileno Pablo Larraín (Tony Manero, No – I giorni dell’arcobaleno, Neruda, eccetera: praticamente uno che ha girato solo capolavori) alla regia. Julianne Moore nel ruolo del titolo. C’è più Serie A di questa? Probabilmente no. Per questo il risultato delude il doppio. Non che sia brutto, per carità. Ma della parabola di Lisey – che ha perso il marito scrittore di bestseller in un attentato alla John Lennon e ora deve seguire una vera e propria caccia al tesoro che l’uomo le ha lasciato, per così dire, in eredità e sbrogliare misteri insoluti – non te ne frega mai per davvero. È tutto freddo, posticcio, distante. È uno psycho-horror sopra le righe, direte voi. Certamente. Ma, di fronte agli spaventi (pochissimi), non si riesce nemmeno a sospendere l’incredulità: quella di vedere letteralmente sprecati tutti i nomi in campo.
Julianne, dove sei?
Ormai, se non hai una miniserie d’autore nel curriculum (e l’ipoteca di un Emmy futuro), non sei una vera diva. Dopo Nicole Kidman, Reese Witherspoon, Jennifer Aniston e, adesso, Kate Winslet, ecco Julianne Moore entrare nel campo della serialità deluxe. Con un progetto cucito (e prodotto) su misura. Sulla carta, è tutto impeccabile (vedi sopra). Ma l’esito fa l’effetto di un vanity project confezionato su sé stessa, con più testa che cuore. Julianne resta tra le più brave in circolazione (no: tra le più brave di sempre). Tutte queste faccette da scream queen (però cinéphile) non le rendono giustizia.
L’effetto déjà-vu
I problemi, forse, sono già alla base del soggetto: i manoscritti mai pubblicati del Grande Scrittore di Bestseller; i fan e gli stalker che gli danno la caccia; il cortocircuito tra realtà è finzione (no: orrore). Stephen King resta il più grande narratore pop-dark di sempre, probabilmente, ma La storia di Lisey non è forse il suo esito più alto. Cantine, laghetti, fari, manicomi, case vagamente stregate: un armamentario che, anche visivamente, abbiamo già visto e rivisto. E che non aiuta a entrare in quelle che vorrebbero essere le pieghe segrete di una storia inquietante.
State calmi!
Non solo King-Larraín-Moore: anche il resto del cast è stellare. Felicissimi di ritrovare Joan Allen, volto anni ’90 da molti dimenticato, ma purtroppo la parte che le tocca (quella della sorella “pazza” di Lisey) è piuttosto ingrata: la recitazione esagitata ed esagerata fa il resto. Lo stesso vale per Jennifer Jason Leigh, sottoutilizzata (almeno negli episodi visti finora) e quasi poco convinta di quello che si ritrova a fare. Mentre è fin troppo convinto Dane DeHaan, dopo La cura dal benessere e ZeroZeroZero sempre più avvezzo a ruoli “tossici” (e conseguenti performance senza freni). Ma il più spaesato di tutti è Clive Owen, alias lo scrittore defunto: «Che ci faccio qui?», sembra domandarsi di continuo. Tranquillo, è quello che ci chiediamo anche noi.