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Tutto quello che non funziona in ‘Luna Park’

La nuova serie italiana Netflix si muove tra mystery, crime-comedy e racconto femminista. Ma spreca il cast e non centra le ambizioni: ecco perché

Foto: Andrea Miconi/Netflix

La trama mystery senza mystery

C’è un Grande Mistero che avvolge il primo incontro tra Nora (Simona Tabasco), cartomante per eredità matriarcale al parco divertimenti fuori Roma del titolo, e Rosa (Lia Grieco), ragazza di buona famiglia che è lì solo per passare una serata spensierata in periferia. Sì: l’enigma che avete in mente dopo il primo scambio di battute tra le due sarà svelato dopo centordici puntate, ma ci si arriva subito. Non stiamo spoilerando nulla: se cercate “Luna Park” su Google, quasi tutti nelle recensioni (o addirittura nei titoli) hanno già dato la soluzione di questo giallo della Settimana Enigmistica. Tornando alla trama della nuova serie “made in Netflix Italia” created by Isabella Aguilar (già dietro Baby): ci sono le due fanciulle – la ricca e la povera – e le rispettive famiglie. Cioè quella altoborghese con altri Grandi Misteri (telefonatissimi) chiusi nei cassetti di radica; e quella dei circensi pure non esenti da segreti e bugie. La soap è servita…

Il cast troppo affollato

Da sinistra: Lia Grieco, Guglielmo Poggi, Alessio Lapice e Edoardo Coen. Foto: Andrea Miconi/Netflix

Quando si dice cast corale, persino troppo. Uno dei problemi di Luna Park è che ci sono tantissimi personaggi e non c’è però nemmeno lontanamente il tempo sufficiente per dare il giusto spazio a tutti. Risultato: la storyline di Nora e Rosa perde di centralità e forza perché soffocata da altri spunti, registri e necessità. Nel cast poi ci sono un sacco di giovani attori davvero interessanti, da Simona Tabasco ad Alessio Lapice, da Guglielmo Poggi a Lia Greco. Peccato però che il casting non sia sempre ugualmente centrato e che regia e (soprattutto) scrittura spesso non aiutino a creare personaggi sfaccettati. Conseguenza: non tutte le performance sono sempre all’altezza di una serie Netflix (vedi più avanti). Detto questo, God save il nostro adorato Tommaso Ragno e un’istituzione come Milvia Marigliano.

La confusione di registri

Ludovica Martino è Stella. Foto: Andrea Miconi/Netflix

Che cos’è Luna Park? Un mystery? No, a questo domanda abbiamo già risposto. Un crime? Mah. Un (post) teen drama? Forse. Un mélo di e per famiglie? Anche. Un racconto femminista? Perché no: mettiamoci anche quello, i trending topic ringraziano. Un feuilleton sospeso tra fantasy ed epos bellico? Sì, se guardiamo alla backstory – con echi, mal riusciti, dell’imminente Freaks Out di Gabriele Mainetti – con protagonista Ludovica Martino. Luna Park, ma quello con la zingara Cloris Brosca? Ok, questa era troppo facile. Una soap opera? Abbiamo stabilito che quella forse è la chiave migliore attraverso cui prendere e guardare la serie, che però si prende troppo sul serio per voler passare per semplice racconto tele-novelistico. Ecco, tra i problemi maggiori c’è proprio questo: la confusione identitaria, il pastiche (no: pasticcio) di generi, il cambio continuo di registri quasi mai governato a dovere. Un po’ come quando si va al luna park, quello vero: scendi dall’ottovolante e ti ritrovi dentro la casa stregata. Ma non crediamo che questo saltare di qua e di là fosse nelle intenzioni degli autori.

La povertà della confezione

Simona Tabasco balla con ‘papà’ Tommaso Ragno. Foto: Andrea Miconi/Netflix

Se vuoi fare una serie in costume (no, oggi si dice: period) con un sacco di interni ed esterni (il luna park, certo, ma anche la Roma stile Dolce vita, le villozze sull’Appia, gli studi televisivi di Mamma Rai, le suburre d’antan popolate da criminali da strapazzo) ci vogliono i soldi. C’è un bellissimo sketch del Saturday Night Live di qualche anno fa che prende per il culo Netflix e la sua smania di produrre La Qualsiasi: una tizia chiama i produttori con un pitch (anche questo oggi si dice così) a caso e quelli le danno tutto il budget che vuole. Ecco, qua l’impressione è che le ambizioni – di produzione, confezione, realizzazione – fossero altissime, ma che l’esito sia decisamente inferiore alle aspettative. Soprattutto quelle di noi spettatori, che vorremmo essere davvero trasportati in un universo “larger than life”: qua, invece, pare il solito piccolo mondo italico. Per i progetti futuri, il consiglio è prendere esempio dalla Spagna (pure restando su Netflix): per quanto truzzissimi, i cugini iberici – per mezzi, décor, post-produzione – i soldi ce li sbattono sempre in faccia. E bene.

L’indecisione sul target: teen o pubblico generalista?

Fabrizia Sacchi e Paolo Calabresi (al centro) sono i genitori di Rosa/Lia Grieco (a sinistra). Foto: Andrea Miconi/Netflix

Saremo brutali: Netflix Italia si merita serie migliori di Luna Park. Che, nel suo essere così sgangherata, può anche fare simpatia (anche se non fa mai il famoso “giro”, diventando un cult kitsch). Ma che non è all’altezza di un network con (giuste) ambizioni e sguardo “in grande”. O forse la strada è quella di diventare una grande rete generalista e basta: al di là dei risultati, ci sta riuscendo alla grande. Ecco, il punto è forse proprio questo: queste serie (e film) sono pensati per una platea grandissima e generalistissima oppure – come nelle intenzioni, quantomeno sulla carta, di Luna Park – vogliono portare avanti un discorso più sofisticato di e sul genere (vedi sopra)? Hanno in mente il gusto della famigerata casalinga di Voghera oppure – come, in parte, in questo caso – il pubblico giovane è ancora il principale riferimento? Forse i tarocchi daranno a tutti la giusta risposta.

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