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Tutto quello che non funziona in ‘Solos’

Un’idea di fantascienza vecchissima. Un cast (tra gli altri: Anne Hathaway, Helen Mirren, Morgan Freeman) sprecatissimo. Un ‘mood’ antipaticissimo. L’ultima serie di Prime Video non va da nessuna parte

Foto: Amazon Studios

L’idea di fantascienza stravecchia

Una nuova serie sci-fi su Prime Video: ok, guardiamola. Nel primo episodio – di sette: Solos è una serie antologica, come va di moda adesso, e ogni puntata è incentrata su un personaggio/racconto a sé stante, anche se ovviamente qualcosa d’intrecciato c’è – la scienziata Anne Hathaway è in un prossimo futuro, ma vorrebbe andare ancora più avanti, o forse torna indietro… Ecco, anche noi siamo disorientati: che anno è? Articolato meglio: possibile che nel 2021 esca una serie con un’idea di fantascienza così vecchia, polverosa, trita e ritrita? I soliti computeroni pieni di numeri alla Minority Report, e poi pseudo-ologrammi alla Star Wars, e capsule spaziali, cloni, e via elencando. Tutto già visto, pedante, senza sussulti o sorprese. Nulla a che vedere col pastiche – però pazzo e divertente – Hunters, il titolo precedente (sempre made in Amazon) del creatore di questa serie, David Weil, in grado di mischiare i generi e i registri con molta più originalità.

Il cast sprecato

Helen Mirren. Foto: Amazon Studios

Dopo Modern Love (anche questa su Prime Video), la citata Hathaway sembra convertita alla serialità antologica. E a ruoli in cui può gigionescamente sdoppiarsi: là era una donna bipolare tra depressione e musical (letteralmente), qui si triplica nei panni della fisica nerdissima che cerca il modo di viaggiare nel tempo. Il “problema” è il concept della serie: ogni episodio è pensato come monologo affidato a un singolo personaggio, e dunque diventa l’occasione perfetta per una masterclass di recitazione da parte di ogni attore coinvolto. Certo, ci sono Helen Mirren e Morgan Freeman, che – come diceva qualcuno un tempo – saprebbero recitare pure l’elenco del telefono. Ma anche Anthony Mackie, Uzo Aduba e Nicole Beharie se la cavano egregiamente. Il fatto è che la scrittura sci-fi (vedi sopra) non è all’altezza dei nomi coinvolti. E alla fine è tutto un grande spreco.

L’impianto New Age

Oltre alla fantascienza stravecchia, c’è un’altra questione che in parte si lega a quanto già detto: possibile che siamo ancora dalle parti della cara (insomma) vecchia New Age? Il senso della vita da romanzetto self-help, la presenza “divina” di Freeman in odor di Una settimana da Dio (ma stavolta, purtroppo, non c’è niente da ridere) e – soprattutto – la colonna sonora (firmata dal duo Patrick Jonsson e Martin Phipps) che sembra la musica di sottofondo di una spa di Bali: tutto concorre a non farci schiodare da quel décor anch’esso (tra)passato (remoto). Se questo è il futuro…

L’antipatia generale

Morgan Freeman e Dan Stevens. Foto: Amazon Studios

L’ultimo punto a sfavore della serie è del tutto soggettivo (non che i precedenti…). Detto molto semplicemente: ci sono progetti che, anche se sgangherati, ti fanno simpatia. E altri che, invece, sono solo antipatici: perché si prendono troppo sul serio, perché promettono molto di più e invece partoriscono un topolino, perché non sembrano fatti né per l’intrattenimento né per la riflessione (che invece pensano di scatenare). Solos fa ovviamente parte dei secondi. C’è un clima generale di noia, e non solo per il ritmo: si annoia chi dirige (nomi come Zach Braff e Sam Taylor-Johnson, tra gli altri), chi recita, e figuriamoci chi guarda. Alla fine, più che Solos questa sembra una collezione di “solàs” (pardon).

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