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‘Un gentiluomo a Mosca’, che spasso Ewan McGregor in una prigione a quattro stelle

L’adattamento Paramount+ del romanzo di Amor Towles permette all’attore inglese di scatenarsi nei panni di un conte costretto nella Russia sovietica ai “domiciliari” in un albergo di lusso. Non tutto funziona, ma questa gita a Mosca è divertente

Foto: Paramount+

Gli alberghi sono luoghi strani, contraddittori, ma spesso meravigliosi. Sono strutture permanenti progettate principalmente per l’alloggio temporaneo. Possono offrire arredi e servizi più lussuosi di quelli di casa, ma raramente si dorme bene come nel proprio letto. I sogni negli hotel tendono a essere più strani e vividi – c’è un motivo per cui molti degli incubi più memorabili di Tony Soprano si sono verificati mentre si trovava in un hotel, o raffiguravano il suo Io inconscio che soggiornava in uno di essi – e l’ambientazione è abbastanza suggestiva da essere al centro di tantissimi classici della letteratura e del cinema, che si tratti della meraviglia di Grand Budapest Hotel, della malinconia di Lost in Translation, della farsa di Ma papà ti manda sola? o del puro terrore di Shining. Che un personaggio si trovi nel bel mezzo di un breve soggiorno o di uno apparentemente eterno, un hotel è un ottimo punto di partenza per ogni tipo di storia.

Ed ecco arrivare un nuovo esempio calzantissimo: Un gentiluomo a Mosca, il nuovo adattamento dell’acclamato romanzo di Amor Towles del 2016 (la serie è disponibile in Italia dal 17 maggio su Paramount+, ndt). Ewan McGregor interpreta il conte Alexander Rostov, un membro della vecchia aristocrazia russa che è diventata una specie in via di estinzione negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione. È il 1921 e gran parte degli amici e della famiglia del conte sono fuggiti dalla Madre Russia o sono stati allineati contro un muro e fucilati. Lui si rivela un caso più complicato. Da un lato, Rostov è un dandy spensierato che non ha mai dovuto lavorare un giorno in vita sua, ma gli viene anche attribuito il merito di aver scritto una poesia che diversi influenti comunisti considerano una grande ispirazione per la loro causa. Come “avatar” contraddittorio della vecchia Mosca e della nuova, è come il vecchio dibattito teologico sul morto che non è abbastanza buono per passare attraverso le porte del paradiso e non abbastanza cattivo per essere condannato all’inferno. Il regime sovietico lo condanna dunque agli arresti domiciliari nella sua ultima residenza conosciuta, che guarda caso è il Metropol, un hotel di lusso. Rostov deve trasferirsi dalla sua grande suite a un minuscolo alloggio per la servitù in soffitta, ma avrà cibo e riparo per il resto dei suoi giorni, a patto che non tenti mai di uscire dall’edificio.

Un hotel a quattro stelle non è male come purgatorio, soprattutto se si vive lì mentre il Paese circostante si prepara a decenni di tumulti, paranoia e violenza. Adattato da Ben Vanstone, che è stato lo sceneggiatore principale del revival di Creature grandi e piccole – Un veterinario di provincia, Un gentiluomo a Mosca è consapevole di come la reclusione di Rostov sia allo stesso tempo un’assurda maledizione e una grande benedizione, molto prima che un altro personaggio sottolinei quanto sia stata relativamente facile la vita del conte rispetto a quella di tutti coloro che sono costretti a vivere altrove rispetto alla loro madrepatria.

Ma se la serie cerca di essere in egual misura stravagante e tragica, tende a essere più efficace nella prima che nella seconda sfaccettatura. Le sequenze su come il conte impara a destreggiarsi in questo nuovo contesto sono piene di ritmo e arguzia. Rostov all’inizio sfoggia un paio di baffi a manubrio ben incerati; a metà del primo episodio, è costretto a tagliarne i bordi caratteristici, ma l’interpretazione di McGregor è così leggera e aggraziata che vi sembrerà di vederli anche quando non ci sono più. In diversi momenti, il conte si ritrova a fare da padre surrogato a due giovani residenti dell’hotel – prima Nina (Alexa Goodall) e poi Sofia (Billie Gadsdon) – ed è chiaro che vede già il Metropol come un parco giochi infinito, esattamente come quelle due ragazzine. Lo aiuta il fatto che la crème della società sovietica si riunisca proprio lì: vedi l’affascinante star del cinema muto Anna Urbanova (Mary Elizabeth Winstead), ammaliata da Alexander Rostov come sdel resto tutti gli altri (*).

(*) Gli attori che sposati nella vita reale non riescono sempre a ricreare la loro alchimia sullo schermo. Ma McGregor e Winstead, che si sono conosciuti interpretando due amanti nella terza stagione di Fargo, non hanno questo problema. Sono fantastici insieme, soprattutto nei primi episodi in cui Anna si diverte a lasciare Alexander indovinare la natura della loro relazione.

Mary Elizabeth Winstead è la star del muto Anna Urbanova. Foto: Paramount+

Il primo giorno della sua condanna all’ergastolo, Rostov fa scalpore presentandosi al suo solito tavolo nel ristorante principale dell’hotel per la cena. Quando uno degli chef si chiede cosa ci faccia lì, il capo cameriere Andrei (Lyès Salem) suggerisce: “Credo che si stia rifiutando di essere picchiato”. Questo spirito incontenibile è contagioso, sia tra il personale dell’hotel – di cui il conte finisce per far parte, non come punizione, ma perché gli piace chiaramente vivere e lavorare in mezzo a loro – sia per chiunque lo guardi.

Le parti di Un gentiluomo a Mosca che si concentrano di più sulla Russia sono invece meno efficaci. L’amico d’infanzia di Rostov, Mishka (*), continua a tornare al Metropol nel corso degli anni, fornendo ogni volta un aggiornamento sullo stato dell’esperimento comunista e discutendo con il conte su quale filosofia debba trionfare. Ma anche se il Paese continua a cambiare, rimane un’astrazione in una serie il cui personaggio è bloccato all’interno di un singolo edificio, per quanto grande e architettonicamente imponente possa essere. McGregor, Winstead e il resto del cast sono efficaci anche nei momenti più cupi; è solo che quelle scene e quelle sottotrame sembrano meno sviluppate rispetto, ad esempio, alla scoperta da parte di Nina e del conte di passaggi segreti dell’hotel a cui solo loro possono accedere, attraverso una chiave procurata dalla ragazzina.

(*) Come The Great, questa serie non ha problemi a scegliere attori neri, come Fehinti Balogun nel ruolo di Mishka, per interpretare dei russi. Le due serie hanno anche in comune il fatto che tutti parlano con un accento britannico – anche in questo caso, dove uno o due personaggi americani dovrebbero avere una cadenza diversa da quella dei russi: ma gli attori non ci riescono.

A causa di questo leggero squilibrio e del fatto che la storia, che si estende per decenni, non ha abbastanza episodi per riempire otto ore, Un gentiluomo a Mosca si rivela una relativa rarità: il prestige drama “da compagnia”. Può essere divertente a tratti, profondamente triste in altri momenti, e a volte persino sorprendente. Ma funziona soprattutto perché il conte e la famiglia improvvisata che è costretto a creare tra le mura del Metropol sono così affascinanti. Per Alexander Rostov, un anno dopo l’altro bloccato in questo hotel non è proprio quello che voleva dalla vita. Per i telespettatori alla ricerca di una nuova destinazione esotica e divertente, un viaggio a Mosca potrebbe fare al caso loro.

Da Rolling Stone US

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