“Diciassette anni di merda!”, grida Lila a Lenù, un minuto prima di confessarle che, nonostante abbia provato con tutte le sue forze a evitarlo, è incinta. Prima, nell’ordine, Lila è stata violentata dal marito durante la prima notte di nozze, e poi ha subito immobile il silenzio omertoso della sua famiglia e di quella di lui quando è tornata a casa dal viaggio con un occhio nero. Eppure Lila, diciassette anni di merda, non molla. Di più, quando l’amica Lenù la va a trovare e le dice di stare attenta, di non esagerare nelle provocazioni, risponde: “Faccio quello che vuole lui, per poter fare quello che voglio io”. In Storia del nuovo cognome, tratta dal secondo libro della quadrilogia best seller di Elena Ferrante, tutto riprende esattamente da dove si era interrotto nel finale della prima stagione.
Lila (Gaia Girace) si è appena sposata, ed è proprio quel “nuovo cognome”, Carracci, a non andarle giù, quella prigione, una bella casa nei palazzi nuovi vicino alla ferrovia, a starle stretta. Ha colto la possibilità di riscatto più immediata, sposare un buon partito, e ha capito di aver sbagliato. Ma ora non c’è altra via d’uscita se non quella di tenere duro. È fatta così, combatte, da sempre: da diciassette lunghissimi anni di merda resiste, prima al padre, che la lanciava fuori dalla finestra perché aveva disobbedito, ora al marito che l’ha tradita nel sodalizio contro i Solara, che le fa schifo fisicamente e moralmente. Lila è una guerriera, fasciata nei tauillerini stile Jackie O. che si può permettere proprio grazie agli affari del marito Stefano, rivelatosi alla fine per ciò che è: figlio di quella bestia di don Achille.
Nei primi due episodi della seconda stagione dell’Amica geniale (al cinema il 27, 28 e 29 gennaio e in onda su Rai 1 e su RaiPlay da lunedì 10 febbraio) l’esaltazione della cultura come strumento d’emancipazione è ancora centrale nella storia ma lo diventa anche il tema della proprietà del corpo femminile. E non solo per Lila. Lenù (Margherita Mazzucco) è una studentessa diligente, che però non riesce a trovare il suo posto nel rione, e nel mondo. Sa che l’istruzione è il suo unico biglietto per una qualche libertà eppure a volte pensa di cedere, di sposarsi con Antonio e di rassegnarsi a quel luogo di miseria e di violenza. Ma, quando l’amica le confessa di aspettare un figlio che non vuole, si ferma per strada a osservare le donne del rione: sono fisicamente diverse dalle altre. Il loro corpo inizia a cambiare una gravidanza dopo l’altra, e poi finisce per curvarsi sempre di più sotto il peso delle mazzate dei mariti, con il volto che diventa sempre più scuro per la sottomissione. Insomma, non sono quasi più donne. È allora che, forse ancora inconsapevolmente, anche Lenù decide di non mollare, di non rassegnarsi al rione, sempre più sfondo volutamente pittorico, teatro di un grande racconto popolare e di un’amicizia al femminile che adesso inizia a crescere ed evolversi insieme alla Storia d’Italia.
Se Lila e Lenù stanno attraversando l’età in cui tutto cambia, quella della scoperta delle grandi passioni, della sessualità e dell’amore, in cui sognare si può (e si deve) anche se sei nata e cresciuta nel disagio, pure l’Italia vive la sua adolescenza: sono gli anni del boom economico, dove tutto è (o almeno sembra) possibile, dove il desiderio di potere, di ricchezza e di crescita sociale si traduce in lotta di classe.
Di conseguenza l’aspetto filmico, che era già potente nelle parole di Ferrante, e che Saverio Costanzo continua a portare meravigliosamente sullo schermo (piccolo, grande, ormai c’è differenza?), si evolve con la storia italiana. Se la prima stagione si ispirava a un canone neorealistico più ingenuo, posato, anche didascalico, la seconda stagione si allarga pure nel respiro cinematografico e guarda ben oltre il rione: Napoli, la costiera amalfitana, Ischia, Pisa. La rottura poi è inevitabile, nel tessuto del nostro Paese e nel rapporto indistruttibile tra le due protagoniste: durante una vacanza a Ischia qualcosa inizia a incrinarsi. E, come fossero un racconto nel racconto, gli episodi dello strappo (le puntate quattro e cinque) sono affidate allo sguardo di Alice Rohrwacher, la regista donna più importante del nostro cinema, che, come spiega Costanzo, con «la sua sensibilità poetica e anarchica, accompagna le ragazze nel loro tempo». Per scoprire se, oltre quei diciassette anni di merda, vale ancora la pena combattere. Studiare, e resistere.