C’è qualcosa di più anni ’90 di Juliette Lewis in Assassini nati e Christina Ricci in The Opposite of Sex? Ma certo, diranno i più fissati: Juliette Lewis in Strange Days e Christina Ricci in Buffalo ’66! Ovvio, chiaro, sacrosanto – io c’aggiungo pure Winona Ryder in Giovani, carini e disoccupati, ma questa è un’altra storia, Winona l’hanno già resuscitata i ragazzi di Stranger Things. Torniamo per un attimo a Juliette e Christina: provate a immaginarvele insieme, oggi, in una serie tv. Vi sta per esplodere il cervello? Bene, anche a me quando ho scoperto dell’esistenza di Yellowjackets, e ho deciso di darle una chance.
Parto con una premessa: non amo né gli horror né i survival drama in stile Alive – Sopravvissuti, e la serie creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson per Showtime (in Italia la trasmette Sky Atlantic) è un mix delle due cose, condita con un pizzico di temi coming of age e di echi da chick flick stronzetto. Sembra che abbia buttato un po’ di inglesismi a cazzo, ma giuro che non è così. Innanzitutto la storia, molto in breve: nel 1996, la brillante squadra di calcio femminile di un liceo del New Jersey viaggia verso Seattle per disputare un importante torneo nazionale. Mentre volano sul Canada, l’aereo precipita tra i selvaggi boschi dell’Ontario e i sopravvissuti vengono abbandonati a loro stessi per diciannove mesi. Pian piano prendono a dilagare paura, follia, paranoia, fino al riemergere degli istinti primordiali di ognuno, cannibalismo incluso. Venticinque anni dopo, nonostante abbiano tentato di ricostruirsi una vita, i pochi superstiti all’incidente dovranno confrontarsi per giungere a patti con la loro amicizia e il loro traumatizzante passato, che puntualmente si ripropone come una cena mal digerita.
Utilizzo il maschile non a caso, perché oltre alle suddette calciatrici non mancano un paio di presenze maschili che naturalmente surriscaldano l’atmosfera, tra gelosie, tradimenti, e tutte quelle grandi, piccole meschinità che hanno puntellato l’adolescenza di qualsiasi liceale. Le ragazze – da segnalare Jasmin Savoy Brown, già vista in quel gioiello di The Leftovers, e Sophie Thatcher, impeccabile nel ruolo della punk-ribelle-alternativa-problematica – sono delle serpi, come soltanto un gruppo di sedicenni negli anni ’90 poteva essere. La stessa Ashley Lyle ha spiegato al New York Times che «una mia compagna di liceo avvelenò il cibo di un’altra per divertimento. Mostrare soltanto ragazze che vanno d’accordo sarebbe stato come dipingere un quadro incompleto». Ed è proprio questo il bello di Yellowjackets: nella sua assurdità (ma vi sembra che venticinque anni fa nessuno avesse i mezzi, le attrezzature, mettetela come volete, per recuperare ‘ste poverette disperse in messo alla foresta in massimo un paio di giorni?), riesce comunque a risultare umanamente e “socialmente” plausibile.
Mi spiego meglio: le dinamiche e i rapporti che legano le teenager – replicati poi paro paro dalle versioni adulte, e qui incontriamo finalmente Juliette Lewis e Christina Ricci – non sono affatto solidali, corretti o educati, anzi. C’è la reginetta perfettina bravissima a scuola, a giocare a calcio, auto-nominatasi leader carismatica del gruppetto, fidanzata col belloccio della scuola che però la cornifica con la di lei migliore amica, la quale non si fa il minimo scrupolo a piantarle un simile coltello nella schiena. C’è la punk-ribelle-alternativa-problematica (vedi sopra) che gira con la fiaschetta di whisky nel bomber e s’infratta puntualmente col caso umano di turno, causando un misto di finto imbarazzo, invidia e orrore nelle compagne di squadra. C’è la stronza per antonomasia che sceglie deliberatamente di falciare una gamba durante gli allenamenti alla giocatrice più scarsa per escluderla dal torneo nazionale, ma che non ha le palle per ammettere pubblicamente di essere lesbica. C’è la picchiatella bruttina ghettizzata dal cerchio magico delle strafighe, che si rivelerà il vero genio del male della comitiva.
Non ha alcun obiettivo didattico o pedagogico, Yellowjackets, il che fa tirare un gran sospiro di sollievo in un mare di produzioni televisive e cinematografiche che mirano sempre a volerci insegnare qualcosa o a volerci tesserare nel club dei buoni e dei benpensanti. Candidata nella categoria Best Drama ai prossimi Critics’ Choice Awards (le possibilità di vittoria alla luce dei contendenti sono scarse, ma la soddisfazione comunque rimane), la serie di Showtime vanta pure una colonna sonora destinata a mandare in brodo di giuggiole i nostalgici dell’ultimo decennio del Novecento. Qualche nome: Smashing Pumpkins, Hole, Throwing Muses, Liz Phair, Radiohead, Portishead, Jane’s Addiction, Dinosaur Jr., Prodigy, Mazzy Star. Il che, unito alla presenza di Juliette e Christina, riesce quasi ad aprire una specie di varco temporale: sto sognando, o siamo veramente tornati nel 1996? Se così fosse, vi prego di non svegliarmi.