«Ti posso chiamare Frank o preferisci camerata Canaletti?». Frank Matano scoppia a ridere: «Chiamami come vuoi, dipende da quanto ti senti Mussolini, oggi». Perché a rivolgersi così al suo personaggio, il giornalista e videomaker Andrea Canaletti, è il Duce in carne e ossa, che ricompare a distanza di ottant’anni a piazza Vittorio. È questo lo spunto di Sono tornato, la commedia diretta da Luca Miniero e scritta con Nicola Guaglianone. Dopo Hitler in Lui è tornato, il film tedesco a cui questo è ispirato, adesso tocca a Mussolini che, scambiato per un comico, viaggia per lo Stivale sulle note de L’italiano, il brano di un altro “camerata”, come lo definisce lui: Toto Cutugno.
Mascella volitiva e mani sui fianchi, per impersonare il Duce «non bastava uno che fosse calvo, ma serviva un attore che battendo il pugno sul tavolo ci spaventasse», spiega Guaglianone. E così Massimo Popolizio è diventato «più Mussolini di Mussolini», come rivela lui stesso: «Avevo ben chiaro cosa non dovevo fare e cioè dare vita a una macchietta. C’era da inventarsi com’era nel privato: ci siamo immaginati qualcosa di più umano e anche di un pochino più patologico».
Mussolini is back, dicevamo, e per stare al passo con i tempi deve farsi l’indirizzo mail. Seduto davanti a un computer con Frank alla sua sinistra (lui che pure per strada “A sinistra mai! Facciamo il giro largo”) cerca lo username per la posta elettronica, ma “Benito Mussolini” è occupato. “Proviamo con Dux”. “Già preso”. Come anche Duce, l’Infallibile, Messia, Superuomo, Fascio, Camicia Nera, Eccellenza Lui. “L’Extracosciente intuitivo che ha il senso estemporaneo del presente”, invece, è troppo lungo. Alla fine il dittatore perde la pazienza, esclama un “E che cazzo!” e si opta per quello.
Si ride certo, perché c’è una leggerezza di fondo, ma il sottotesto è inquietante: dal film alla realtà basta questa sequenza per testimoniare come gli estremismi di ritorno oggi abbiano come territorio privilegiato il web. «Siamo partiti da questa idea: qual è il superpotere per un dittatore? Il consenso. E la Rete oggi è il punto di partenza per acquisirlo, per costruirsi una base. Si dà credibilità anche al nulla, sul web», racconta Guaglianone. «Nella pellicola c’è anche una forte critica ai nuovi media da parte di uno che i media di allora li utilizzava con spregiudicatezza, anche più di Hitler. La riflessione sui mezzi di comunicazione è l’anima del film: pure Berlusconi li ha sfruttati, no? Cavalcarli è il nuovo sistema di potere», afferma Miniero. «Si dovrebbero usare in maniera più sana e più intelligente i giornali, i social network e qualsiasi altro strumento di diffusione», continua Matano. «C’è una scena in cui Mussolini ha in mano un telecomando, cambia canale e in tv ci sono solo cuochi: “Ma non fate altro che mangiare in questo Paese?! Usate uno strumento di straordinaria potenza come questo per fare cucina?!”», spiega Popolizio.
Sono tornato mette in campo due esperimenti molto interessanti: il primo è che il 50% delle frasi pronunciate dal Mussolini cinematografico è tratto da suoi discorsi «trasferiti di contesto, per renderli più efficaci e creare un effetto comico con un retrogusto amarissimo», commenta lo sceneggiatore; «un’intuizione che diventa esplosiva in una realtà come quella attuale», secondo il regista. L’altro colpaccio è unire la fiction al documentario: Popolizio è andato tra le persone con una telecamera al seguito, che ha immortalato reazioni della gente, selfie (tanti selfie) e dichiarazioni che a confronto Salvini è nessuno: «Impiegavano qualche secondo a capire, ma poi da quelle bocche usciva la qualunque: si rivolgevano a me non più come a un attore che impersonava Mussolini, ma come se fossi il vero Duce (Ride, nda). Si parla di un pericolo, quello del fascismo, che esiste, di una violenza che ormai non è nemmeno più tanto latente e sta venendo a galla». Al punto che di recente è servita una norma per ribadire il concetto di apologia di fascismo: «Questo film fa riflettere sul fatto che si tratti di una legge giustissima».
«Tutti discutevano delle proprie preoccupazioni manco si trovassero davanti a un confessore, in un viaggio tipo quello che ha fatto Renzi con il treno, però naturalmente con altri risvolti storici», ride Miniero. Matano è rimasto colpito da un episodio: «C’era chi diceva a Mussolini “mi manchi,” chi invece “sei un buffone”, ma sembrava che la gente fosse persino più cattiva di un cattivo per eccellenza come Darth Vader: mi ha davvero agghiacciato sentire una signora, che era pure mamma, affermare: “Bisogna affogare gli immigrati che arrivano in Italia”». Si potrebbe sostenere che i nuovi ebrei oggi sono gli extracomunitari: sono loro il capro espiatorio di tutto ciò che non va. Dalle per- sona emerge delusione ma anche proposte un po’ confuse: alcuni invocano una “dittatura democratica”, ma «non si rendono conto che una dittatura è una dittatura. Quello che ne esce non è un Paese fascista, ma è sicuramente un Paese che ha dimenticato cosa sia il fascismo», afferma Miniero.
Guaglianone racconta della scena del film, in stile candid camera, girata nello studio di Alessandro Cattelan a EPCC: «Mussolini entra e il pubblico sulle prime è basito, poi piano piano inizia a ridere e tutto finisce a selfie, applausi e “Duce, Duce, Duce!”. Non è Mussolini quello che fa paura, siamo noi, perché senza di noi lui non sarebbe altro che un poveretto che si ritrova in un’epoca che non riconosce più. Queste figure storiche non erano che il frutto dei desideri della popolazione». E oggi che classe politica produrremmo? «Non lo so, forse una rivoluzione? Sì, ma a colpi di cultura pop. C’è una voglia incredibile di meritocrazia. Gli ideali sono finiti, trovo ridicolo seguire ancora quelli della sinistra o della destra. La mia è una generazione post-ideologica».
Nella pellicola il Duce incontra un partito neofascista «e si rende conto di quanto poco possano essere rivoluzionari anche gli estremisti, in Italia», racconta Miniero. «Si tratta di un gruppo fittizio, perché tutti i partiti ci hanno voltato le spalle. Li abbiamo cercati, ma hanno preferito non incontrare il nostro Popolizio».
A proposito di partiti: con le elezioni alle porte, cosa può dire Sono tornato alla politica? «Come afferma Mussolini nel film: “Non è difficile governare gli Italiani: è impossibile”», scherza Popolizio. «Credo che possa spiegarci qualcosa sul vuoto di potere», continua Miniero, «sulla difficoltà che hanno gli stessi politici nel mantenere il consenso. Usciamo al cinema in piena campagna elettorale, ma non penso che Mussolini si candidi (Ride). Magari ci riprova, ma senza elezioni, è più nel suo
stile». Di fatto però si stanno riproducendo le stesse condizioni di delusione e allontanamento dalla cosa pubblica che c’erano in quegli anni. «E non dimentichiamo che in America c’è Trump, che ha inneggiato a Mussolini poco tempo fa, mentre in Corea c’è un altro pazzo: non siamo così lontani dall’assistere a nuovi problemi della democrazia», continua il regista. L’assist per la chiusa perfetta ce lo fornisce Guaglianone: «Il film rispecchia quello che scriveva David Mamet in Hollywood, Vermont: “Non c’è la seconda chance, nella vita. L’unica che ci è data è fare lo stesso sbaglio due volte”. Se ricomparisse Mussolini, che cosa accadrebbe? Succederebbe che, grazie a noi teste di cazzo, tornerebbe al potere».