Leone d’oro
Abbiamo dovuto aspettare l’ultimo giorno, ma il titolo che sembra mettere d’accordo pubblico e critici forse è arrivato: Nomadland. Anche solo a sentire lo scroscio di applausi riservatogli alla fine della proiezione stampa: sicuramente era un atto liberatorio dopo giorni e giorni di visioni non esattamente memorabili, ma i consensi questo film li merita tutti. La regista cinese Chloé Zhao, già autrice dell’indie-western The Rider e ora in rampissima di lancio con il nuovo colosso “made in Marvel” The Eternals (lo vedremo l’anno prossimo), ritrae ancora una volta una storia di frontiera costruita sul fallimento del Sogno Americano, ma dimostra un’empatia profonda nel catturare lo spirito nomade di un popolo forse ancora alla scoperta di sé. L’interpretazione come sempre totale di Frances McDormand fa il resto. Tra gli altri titoli lanciati verso il Leone, la distopia militare Nuevo orden del messicano Michel Franco: vedere un affresco di lotta di classe così teorico (e violento) dopo Parasite non produce lo stesso effetto del capolavoro di Bong Joon-ho, ma la forza del risultato non si discute. Tra gli italiani, l’album di sorellanza in tre atti delle Sorelle Macaluso della drammaturga palermitana Emma Dante sarebbe un altro possibile Leone “rosa”. Del resto, la presidente Cate Blanchett viene dal teatro, e con questa decisione potrebbe lasciare la sua firma sul palmarès.
Leone d’argento per la regia
Stando ai buzz dalla Mostra, il verdetto è certo: Andrej Končalovskij. Sai che novità. Certo è che, a 83 anni, il grande vecchio del cinema russo ha ancora la mano svelta e ispirata, e il suo Cari compagni! è impeccabile, con quel magnifico 4:3 in bianco e nero vintage. Ma forse è tempo di cambiare un po’ i giochi. Tra i nomi appena sbarcati nel concorso veneziano, si segnala soprattutto la nostra Susanna Nicchiarelli, che con Miss Marx potrebbe finire nell’albo della sezione principale dopo la vittoria tre anni fa nella sezione Orizzonti con il bellissimo Nico, 1988. Sarà Leonessa anche qui?
Premi della giuria
Quelli della giuria sono sempre trofei imperscrutabili e imprevedibili, ma non per questo vanno considerati come i premi consolazione per chi non vince il Leone. Gira voce che alla squadra guidata da Blanchett sia piaciuto parecchio The Disciple, musical-drama su un suonatore di rag indiano che annovera tra i produttori esecutivi Alfonso Cuarón, che a Venezia è di casa. Questo forse basterebbe da solo come endorsement extra-lusso. L’altro titolo che dovrebbe andare a premio è Notturno di Gianfranco Rosi, sull’eterna guerra del Medioriente: il più internazionalmente acclamato dei nostri documentaristi è già Leone d’oro 2013, per volere dell’allora presidente Bernardo Bertolucci (il film era Sacro GRA). Il bis pare difficile, ma tra i nomi riconosciuti a questo giro ce lo vediamo bene.
Coppa Volpi alla miglior attrice
Certo, Frances McDormand meriterebbe la Coppa Volpi (al centro di recenti contestazioni perché intitolata a un conte fascista) che qui non ha mai avuto: no, nemmeno per il poi Oscar Tre manifesti a Ebbing, Missouri (gliel’ha scippato Charlotte Rampling con il dimenticato Hannah). E Jasna Đuričić (grazie copia-e-incolla) sarebbe la quota terzomondista-impegnata che fa contenta qualsiasi giuria: ma il drammone bosniaco Quo vadis, Aida? non è tra i nostri titoli favoriti. E poi ci sono le dodici (!) attrici protagoniste delle Sorelle Macaluso di Emma Dante, per cui qualcuno prevede un trofeo collettivo. Ma il nome da consacrare quest’anno è uno soltanto: Vanessa Kirby. È in gara con due film, ma in uno (cioè Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó), è semplicemente clamorosa. L’abbiamo detto e lo ripetiamo: è nata una stella. Consacriamola.
Coppa Volpi al miglior attore
Nell’anno più al femminile da che si ha memoria del festival, scompaiono i grandi ruoli maschili. Sarà un caso, ma in questa Mostra si fa parecchia fatica ad assegnare la Coppa al miglior attore. C’è il nostro amatissimo Pierfrancesco Favino, che dopo David di Donatello e Nastro d’argento per Il traditore e Hammamet potrebbe completare l’annata pigliatutto con Padrenostro: ma i veri protagonisti del film sono i bambini (vedi il Premio Mastroianni più avanti). E anche Shia LaBeouf, seppur eccezionale in Pieces of a Woman, si ritrova a fare da spalla alla gigantesca Vanessa Kirby. Tocca andare in Polonia: il massaggiatore un po’ supereroe un po’ Mary Poppins di Never Gonna Snow Again, interpretato dall’Alec Utgoff di Stranger Things, è un personaggio così strambo in un film così strambo che forse potrebbe sparigliare tutte le carte in tavola.
Premio per la migliore sceneggiatura
Qua ci sarebbero voluti i titoli rimasti misteriosamente fuori dalla competizione principale: da Mandibules di Quentin Dupieux a The Duke di Roger Michell (entrambi presentati fuori concorso), da The Man Who Sold His Skin di Kaouther Ben Hania a Mainstream di Gia Coppola (tutti e due nella sezione Orizzonti). Titoli diversissimi tra loro, ma con copioni che ti acchiappano dalla prima all’ultima battuta. Anche inteso letteralmente: vedi le gag instancabili della coppia di comici francese Grégoire Ludig-David Marsais del primo titolo. Tra le sceneggiature più insolite del concorso, c’è giusto quella di In Between Dying di Hilal Baydarov: un racconto simbolicamente kafkiano sulla morte e la sua attesa con un dead man walking nella steppa dell’Azerbaijan. Che però è anche il più classico dei “film da festival”: non certo una ventata d’aria fresca.
Premio Mastroianni per il miglior attore o attrice esordiente
La nostra preferita è Lea Favino, ma è forse troppo piccola e con una parte troppo piccola, in Padrenostro (accanto a papà Pierfrancesco). Nello stesso film ci sono però due ragazzini assai promettenti, che sembrano destinati all’alloro riservato agli esordienti: almeno uno dei due, tra il biondino Mattia Garaci e il “Lucignolo” Francesco Gheghi, anche se avrebbe più senso premiarli insieme. Il tedesco-militante And Tomorrow the Entire World di Julia von Heinz non è certo un gran film, ma la sua giovane attrice Mala Emde sa già il fatto suo, in quanto a presenza sullo schermo. E non dimentichiamoci neanche in questo caso le centordici sorelle Macaluso…
Premi della sezione Orizzonti
A fine Mostra, possiamo definitivamente confermarlo: nella sezione secondaria (si fa per dire) si sono viste alcune delle cose più belle dell’intera selezione. Il film d’apertura Apples, esordio folgorante del greco Christos Nikou, è dai primissimi giorni il candidato principale per la vittoria. L’ultimo giorno però sono arrivati anche Nowhere Special di Uberto Pasolini, dramma su una paternità rubata con protagonista un bravissimo James Norton (e un adorabile bambino), e I predatori, esplosiva opera prima che sigla la nascita di un giovane autore nostrano: Pietro Castellitto. Per non dire del già citato The Man Who Sold His Skin, registicamente meno sbalorditivo, ma di sicuro uno dei soggetti più originali e attuali di questo festival (almeno insieme a Mainstream, la social-satira di Gia Coppola). E se nella competizione ufficiale latitano le grandi interpretazioni maschili, qui invece c’è l’imbarazzo della scelta su chi premiare. Noi gradiremmo una menzione ad Andrew Garfield, che nelle mani della più giovane della dynasty capeggiata da nonno Francis Ford si lascia andare alla più debordante delle sue performance.