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Buon compleanno, Giancarlo Giannini. Dopo la stella sulla Walk of Fame di Hollywood, l’attore nato a La Spezia il 1° agosto del 1942 resta il volto italiano oggi più amato e celebrato all’estero (vedi anche la recente serie Catch-22 di George Clooney). Ecco i suoi ruoli più belli. Nel segno di Lina, ma non solo…
Lui, lei, l’altro. E che triangolo: Mastroianni-Vitti-Giannini. Il terzo incomodo aveva già fatto un po’ di film, ma è la farsa-romance by Scola (feat. i soliti Age & Scarpelli) a consacrarlo. E a tirarne fuori la vibe sexy-proletaria che sarà il suo marchio di fabbrica (letteralmente).
Altro giro, altro operaio di culto. E terzo film con l’amata Lina, che però vale come vero 1° della premiata ditta (prima c’erano stati Rita la zanzara e relativo sequel). Il manovale siculo innamorato della lombarda comunista Mariangela Melato è un altro antieroe da manuale: d’amore e di risate.
Ancora Wertmüller, ancora Melato, ancora un poveraccio, stavolta però contadino del Nord: l’indimenticabile Tunin. E un “Prolet Lives Matter” (pardon) gridato forte e chiaro. Che gli vale il premio per la migliore interpretazione maschile a Cannes.
Mollata momentaneamente la sua Lina (e passato da Lattuada e Risi), è con Bolognini che Giannini svela la sua magnifica vena drammatica. In questa cronaca di un amore (e di una morte) ispirata a un fattaccio dei primi del ’900. Una sontuosa Catherine Deneuve fa il resto.
Il destino del film, invece, è noto: instant cult sulla guerra dei sessi e sulla lotta di classe con le donne della sua vita professionale (Lina e Mariangela, e chi se no). E un remake – interpretato dal figlio Adriano e da Madonna – non all’altezza dell’originale: ma era impossibile.
Al sesto (di nove) film insieme, Giancarlo e Lina trovano il capolavoro definitivo. E il film che li consacra a livello internazionale: entrambi vengono candidati all’Oscar (lei, perlatro, come prima regista donna della Storia). Il gagà più bello di sempre. Nell’immensità.
Dal romanzo di Giuseppe Berto, un altro dei ruoli più tragi(comi)ci del nostro. Anche se a firmare il film c’è il genio della commedia Monicelli. L’equilibrio tra i due è perfetto, nella parabola dello sceneggiatore depresso: uno psycho-viaggio da recuperare.
Il più bel mafia movie italiano degli anni ’90 non poteva che contare sulla prova di un gigantesco Giannini, alias il “ragioniere” di Cosa Nostra Fausto Turi Arcangelo Leofonte: basta il nome. Fragasso poi si è perso (e anche il sequel non è come l’originale). Ma qui il colpo è perfetto.
Delle tante partecipazioni “ammerigane” (vedi anche Mimic e Hannibal), questa resta la più di culto. E un ruolo nel Bond della resurrezione è un vanto nel curriculum. A chi chiede consiglio il brand new 007 Daniel Craig? All’agente veterano René Mathis di Giannini. Si impara sempre dai maestri.
L’omaggio al “dietro le quinte” della commedia all’italiana di Virzì è stato (ingiustamente) sottovalutato. Ma nessuno ha messo in discussione la monumentale performance di Giancarlo, nei panni del produttore vecchia scuola Leandro Saponaro. Un omaggio a ieri, con (ancora) il ruggito del leone di oggi.
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