Lo incontriamo al Tiff 2018, sorridente e sornione come sempre, e sebbene siano più di 30 anni che calca sets e palcoscenici, è conosciuto principalmente per essere stato il volto ‘cool e iconico’ della generazione post brat pack anni ’80. Christian Slater, 49 anni, dopo una carriera fulminante – all’età di 1 anno appare in tv per la prima volta, a 8 vince ruolo nella famosa soap opera One Life to Live – di alti (bravissimo in True Romance) e bassi (problemi giuridici) riprende il controllo della propria carriera, coronata dal Golden Globe per la serie tv Mr. Robot. Slater torna al cinema con due film: The Wife – Vivere nell’Ombra, tratto dal romano omonimo di Meg Wolitzer, con Glenn Close e Jonathan Pryce (in Italia ad ottobre), e The Public, diretto da Emilio Estevez, presentato al recente Festival del cinema di Toronto.
Che storia è The Wife?
Conosci il detto di Virginia Woolf: “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna“? La storia, anche se leggermente più complessa, racconta la relazione tra una coppia di scrittori: lui è un famoso scrittore, lei ha sacrificato il suo talento per i figli e il matrimonio, che implode durante la cerimonia di premiazione del Premio Nobel, vinto dal marito.
Nel film sei un giornalista. Farsi intervistare è un onore o un dovere?
Un onore, mi piace parlare con la gente, mia moglie dice che sono un gran chiaccherone! Parlare con voi giornalisti mi da l’opportunità di raccontare ciò che faccio, cosa ci succede intorno. In questo caso mi è anche servito come ricerca per ritrarre Nathaniel Bone, il mio personaggio: uno che non molla mai, molto arguto, intuitivo, molto insistente come tanti giornalisti che ho incontrato. Vi ho rubato anche alcuni pezzi del look di Nathaniel, anche se gli occhiali sono i miei. Mi piace essere coinvolto nella creazione dei miei personaggi, lo trovo il lato più divertente del mio mestiere.
Nathaniel é anche un bravo manipolatore…
Si, ovviamente scoprire la verità fa parte del suo mestiere. Nonostante sia un grande ammiratore di Joseph Castleman, sa che il suo passato non è proprio senza macchia come vorrebbe far credere, e quindi cerca di scoprire i suoi segreti tramite la moglie Joan. In fondo, i bravi reporter sono sempre alla ricerca di fatti che possano cambiare lo svolgersi degli eventi. Non posso né voglio svelarvi nulla di più. Vi divertirete.
Una domanda personale: è vero che Glenn Close incute timore?
Assolutamente, c’è poco da scherzare. Tutti sanno che è un attrice a cui non piace perdere tempo. Quello che tremava era il regista, sapeva benissimo che la sua carriera in quel di Hollywood dipendeva dalla riuscita di questo film. E se l’è cavata alla grande.
E veniamo a Mr. Robot, dove sei un bastardissimo hacker. Ti assomiglia nella vita?
No! Prima di questo ruolo evitavo i social media e quando avevo problemi con i computer chiedevo aiuto a mia moglie. Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre lavorato nello show business, i miei genitori hanno sempre avuto qualcuno che li aiutava con i problemi tecnici, che si occupava di loro, soprattutto dell’aspetto finanziario. Grazie allo show sono migliorato, adesso cambio da solo la password del mio conto in banca. Ho imparato che e’ meglio non fidarsi troppo!
E’ vero che la quarta stagione sarà l’ultima?
Così ha sempre voluto Sam Esmail, il creatore dello show. In questa stagione siamo contro l’élite, quelli che sono al top dell’1%, quelli che si credono intoccabili e al di sopra della legge. Vista l’attuale situazione socio-politica mondiale, lo show è più attuale e rilevante che mai, in un mondo inquietante.
Madre e padre attori, sei un predestinato?
Sì, devo dire di sì. Mia madre è direttrice di casting e ha lavorato come attrice in varie soap operas, tra cui One Life to Live. Sono cresciuto circondato da attori, ero spesso alle audizioni con mia madre e invece di studiare ripetevo le battute dei copioni. Mio padre ha lavorato in televisione a teatro, anche con tanti attori famosi, tra cui Yul Brynner e Robert De Niro.
Hai sempre voluto diventare attore?
Si, anche perché odiavo studiare e la recitazione mi ha dato l’opportunità di avere un lavoro che mi piaceva e piace tutt’ora. Non sono mai stato un bravo studente, odiavo fare i compiti e preferivo viaggiare. La prima volta che sono andato in tour per gli Stati Uniti avevo nove anni. Per me la troupe era come una famiglia, ed è stato molto triste abbandonarli alla fine della produzione.
Il film che hai presentato a Toronto?
Public, di Emilio Estevez. Credo che la tempistica del film sia perfetta per descrivere la situazione sociale in cui ci troviamo oggi. Parla di un gruppo di senza tetto che occupando una biblioteca per rifugiarsi da uno degli inverni più freddi di Cincinnati. Lì scopriranno ingiustizie, problematiche economiche ed umane: quello che succede in America adesso.