Jacopo Venturiero: da ‘Suburra’ a ‘Rocketman’, con il teatro dentro
Faccia a faccia con il poliedrico attore romano, che dalla gavetta con Albertazzi non si è più fermato. Ora è nella serie Netflix, e ha prestato la voce a Seth Rogen e all’Elton John di Taron Egerton
Stylist: Francesca Piovano. Foto: Viola Rolando. Total look: Imperial
La prima cosa che noti di Jacopo Venturiero è che ha la faccia e il sorriso da bravo ragazzo: «È un’etichetta che mi sono sempre portato dietro, ho fatto il provino per Suburra pensando: “Figurati se mi prendono”, ma ci sono andato con una proposta forte, un look molto spinto. E ha funzionato». La seconda è che assomiglia a Leonardo Bonucci: «Di calcio non so davvero nulla (ride), ma il primo giorno di riprese Filippo Nigro mi guarda e mi fa: “Ma sei uguale!”. E poi hanno continuato a dirmelo in tanti. Qualcuno l’ha pure taggato su Instagram».
La terza è che ha una passione per i drammaturghi, gli attori e le serie tv inglesi, «sono grandi osservatori e sanno riprodurre la vita», e che quando parla di teatro ha la pelle d’oca, soprattutto se racconta di spettacoli come Costellazioni di Nick Payne: «È un capolavoro. Mi emoziono perché di teatro ne ho fatto tanto, è tutto, ti insegna a recitare. Ma il cinema è una mia grande passione».
Romano, 33 anni, nella seconda stagione di Suburra Jacopo è Adriano, il radiocronista di estrema destra figlioccio di Samurai. Ma la prima serie made in Italy di Netflix è solo l’ultima tappa di una carriera nata per caso quando era bambino: «Il primo film l’ho fatto a 10 anni con Franco Nero, si chiamava La medaglia, l’abbiamo portato a Venezia». Venturiero ha respirato teatro fin da piccolo, perché la madre attrice lo portava spesso con sé dietro le quinte. Da ragazzino poi ha lavorato parecchio con Massimo Dapporto: «Erano gli anni in cui la fiction Rai aveva una potenza di fuoco notevole. Si girava a Cinecittà, era tutto finto, un mondo meraviglioso che profumava di legno». Poi, uscito dall’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, Jacopo è andato in tournée con un certo Giorgio Albertazzi.
Hai un ricordo, un momento che avete condiviso?
Abbiamo fatto insieme il suo ultimo Memorie di Adriano a Tivoli (sorride). Facevo lui da giovane e ricordo la potenza che aveva nella semplicità più totale. Eravamo impegnati nelle prove e lui diceva: “È bravo ‘sto ragazzo, bravo”, a bassa voce alla sua assistente, ma indossava il microfono e non si accorgeva di essere amplificato in tutto la villa: è stato molto gratificante ma enormemente imbarazzante. E poi lui era un grande amante delle donne: una volta disse che la cosa che lo meravigliava di più del corpo femminile era la vastità. Non so quanto ci fosse di pornografico, ma lo disse in un modo così ispirato e dannunziano che sembrava una cosa poetica.
Ti manca quel tipo di teatro?
Sono stato in tournée per tanto tempo ed ero molto giovane. Mi piaceva, ma un po’ ci soffrivo perché mi mancava fare l’università, stare con i miei amici, cazzeggiare. Mi divertivo molto ma erano tutte compagnie di adulti, a volte erano attori di 80 anni, cazzaroni in un modo… dei pazzi totali (ride) però un conto è stare con loro e un altro passare il tempo con i tuoi coetanei, mi sono perso tante cose. Non mi manca stare così lontano, ma fare grosse produzioni, quello sì.
La prima cosa che hai pensato quando ti hanno detto che saresti stato nel cast di Suburra, che per un attore significare essere visto in 190 paesi in tutto il mondo.
I 190 paesi sono veramente l’ultima cosa a cui pensi, perché sai che un prodotto seriale come quello è lo standard migliore a cui un attore possa ambire in Italia. E poi ho i piedi ben piantati per terra, faccio questo lavoro da tanto tempo e sono abituato prendere tutto con la giusta importanza: c’è stato il momento dell’incredulità e della gioia, ma subito dopo ho pensato: “Ok, ora devo prepararmi bene”.
Con l’inserimento del tuo personaggio e lo sviluppo della storia la seconda stagione di Suburra è diventata più politica?
Posso dire la verità? Non l’ho vista (ride).
E perché?
Faccio molta fatica a rivedermi. E non lo dico per atteggiarmi, giuro. Lo farò prima di girare la terza stagione per capire un po’ di cose. Sono molto critico e so già che non mi piacerebbe niente. E ho scoperto che molti attori non si rivedono per non rinunciare al fine ultimo del nostro lavoro, quella spontaneità per cui non ti senti osservato dalla macchina da presa.
Che personaggio è Adriano?
È un puro: ha dei grandi ideali, giusti o sbagliati che siano. La cosa bella di Suburra è che non ci sono buoni o cattivi. Anche Samurai aveva dei grandi ideali, si vede tantissimo nel romanzo di De Cataldo, a cui mi sono ispirato per molte cose.
Per la serie:“forse non tutti sanno che:, sei tra i doppiatori più impegnati che abbiamo in Italia…
A dispetto di quelli che dicono che il doppiaggio è una casta, io sono la testimonianza vivente che se i direttori pensano che tu sia in grado, lo fai, non gliene frega niente di chi sei. Credo di aver avuto anche fortuna con ruoli subito da protagonista, perché non ci sono più attori nel doppiaggio. Prima era una cosa normale: ai tempi d’oro gli attori di teatro doppiavano, facevano radio. Oggi non più.
Ma come ci sei arrivato?
Avevo sempre pensato di provarci come piano B parallelo. Tre anni fa, in un momento in cui non ero impegnato, ho fatto delle audizioni e ho iniziato subito a lavorare con il grande Alessandro Rossi, la voce dei trailer, di Schwarzenegger. Il primo film importante è stato Steve Jobs con Michael Fassbender, in cui doppiavo Seth Rogen.
È stato un bel lancio.
Sì, perché poi da lì la Universal mi ha voluto per doppiare Jamie Dornan in Cinquanta sfumature di nero e di rosso, non di grigio, ci tengo a precisarlo (ride). E poi per prestare la voce al figlio di Clint Eastwood, Scott, in Snowden, Fast & Furious 8 e Pacific Rim.
Qual è stata la battuta più assurda che hai dovuto pronunciare?
Ho dovuto dire “pinze per capezzoli” (ride), mi sembra che basti, no?
Ma sei riuscito a farlo in un solo take?
Abbiamo riso moltissimo, era la prima cosa importante per me, sentivo il peso della responsabilità. Ma ci siamo divertiti un sacco, perché alcune scene sono così assurde che fanno il giro.
Sei anche la voce di Taron Egerton/Elton John in Rocketman, com’è andata?
Come dovrebbe: hai doppiato un po’ di film, funzioni, la voce gira, hai accesso ai provini. Per Rocketman ne ho fatto uno lunghissimo di un’ora.
Che scena hai doppiato per l’audizione?
Quella al ristorante con la madre, bellissima. Poi la prima parte della seduta in rehab, dove ha ancora addosso il costume rosso da diavolo. Poi mi hanno chiamato perché avevo vinto il trailer. Sai come funziona, non è detto che la voce sia la stessa del film. A un certo punto avevano iniziato il doppiaggio con un cantante, ma si sono ricreduti e mi hanno chiamato in corner. È un filmone, un ruolo pazzesco.
Hai dei miti?
Il mio mito da bambino era Robert De Niro in C’era una volta in America, che è rimasto il mio film del cuore perché parla di un tema a me molto caro: il tempo. Poi da piccolo volevo fare il regista: il cinema di Sergio Leone aveva un respiro epico ma allo stesso tempo malinconico, triste.
Quando hai capito che facendo l’attore che potevi pagarti le bollette?
Non ho mai dovuto fare altri lavori, perché ho iniziato da piccolo e sono sempre riuscito a mantenermi. Qualche volta sono stato in rosso, ma magari partivo per una tournée o iniziavo il doppiaggio di un film, sono stato fortunato. Negli Stati Uniti se non fai il cameriere sei strano: “Ah fai l’attore?”, ti chiedono, “E in che ristorante lavori?”.
Con chi ti piacerebbe lavorare?
Con Matteo Rovere. E poi adoro la scrittura di Vince Gilligan, il creatore di Breaking Bad, perché sono scene molto lunghe, molto recitate. Nel cinema tu puoi fare ben poco a parte dare il meglio, perché sei completamente affidato al regista, al montatore, alla produzione. A teatro invece sei tu e basta, c’è l’attore al centro. Vorrei trovare un regista con cui si crei un sodalizio, un autore che sposi davvero un progetto, qualcuno che ci tiene più di me… E io ci tengo tantissimo perché, lo confesso, sono un cagacazzi non da poco (ride).
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Stylist: Francesca Piovano
Foto: Viola Rolando
Total look: Imperial
Grooming: Carlo Leggieri REDKEN per Freestyle Parrucchieri
Videomaker: Eduardo Festa