Il regista e il cast di Star Wars: gli ultimi Jedi raccontano il nuovo episodio della saga. Qui sotto la prima di tre interviste imperdibili da leggere prima di entrare in sala.
Tanto tempo fa un adolescente ha messo le mani sulla sua prima nave spaziale giocattolo. Ha seguito le istruzioni di assemblaggio meglio che ha potuto, incastrando i cannoni, il carrello d’atterraggio, la mini-struttura per i viaggi interstellari. Poco dopo il giovane Rian Johnson aveva in mano il suo personale Millennium Falcon. «La prima cosa che ho fatto», ricorda, «è stata lanciarlo nella mia piccola stanza, volevo vedere com’era in volo». Sorride, «si è rotto».
Johnson è cresciuto, è andato a scuola di cinema e ha girato un sacco di cose belle, incluso lo strambo dramma sci-fi Looper, uscito cinque anni fa. Ora ha quasi 44 anni, ma le sue guance paffute e i modi gentili non rendono difficile immaginarlo da bambino. La camicia che indossa, poi, è perfetta per la foto dell’annuario. È la fine di ottobre, e lo incontro seduto in un ufficio degli studios di Burbank della Disney, lo stesso posto che per mesi è stata come casa sua. Una scritta su una lavagna dichiara: “Stiamo lavorando a Star Wars: gli ultimi Jedi (casomai lo aveste dimenticato)”. Johnson ha scritto e girato il film, quindi ha avuto per le mani la migliore collezione di giocattoli del mondo, compreso un vero Falcon (grandezza naturale). Quando ci è salito sopra si è praticamente messo a piangere. L’ha trattato con quello che sembra un misto di rispetto e furbizia – e tutti i membri del cast continuano a ripetermi che niente era come se lo aspettavano. «Ho fatto un po’ di casino», dice con lo stesso sorriso di prima.
Nel frattempo, qui nel mondo reale, cade tutto a pezzi. I mesi successivi al ritorno del franchise – con Il risveglio della Forza, uscito nel 2015 – si sono impressi nella mia mente come i deliri di un bambino viziato che si è sfogato con la civiltà intera scagliandola in giro per la stanza. Ci siamo accorti che forse i cattivi dell’Impero siamo noi, alcuni addirittura guidati da un leader grottesco e inconcepibile anche per il peggior Lucas in overdose da CGI.
E per quanto possa sembrare strano, Star Wars aveva previsto tutto. Anzi, forse è sempre stato così, pensate alle frecciatine alla guerra in Vietnam della trilogia originale, o a quelle sulla fragilità della democrazia dei prequel. Nel seguito diretto da JJ Abrams, invece, una setta revanscista chiamata Il Primo Ordine marcia sulla galassia, mostrando la forza scioccante di un’ideologia che doveva essere sconfitta nel lontano passato. Quel poco che resta del governo è in crisi, e l’unica speranza è un gruppo di ragazzacci chiamato la Resistenza. Oh se è tutto così familiare.
«In un certo senso è un riflesso della società», ammette la nuova star dello show, Daisy Ridley, che è diventata Rey – e un grande nome del cinema mondiale – dopo un passato da sconosciuta londinese, un cambiamento quasi più veloce di quello del suo personaggio, che nel giro di 90 minuti lascia le avventure da “spazzino spaziale” per una carriera da Jedi. «Ma è anche un modo per fuggire, ci sono sempre strane creature e gente che corre in mezzo a dei fottuti raggi laser. Secondo me è un bel mix di queste due cose».
Più peggiora il mondo in cui viviamo più abbiamo bisogno di quella galassia lontana lontana, dice Gwendoline Christie, che nel film è il Capitano Phasma (qualcuno la riconoscerà come Brienne di Game of Thrones): «Non c’è niente di male a dedicarsi all’arte se l’epoca in cui vivi è difficile. Ne abbiamo bisogno tutti, credo. Siamo uniti grazie all’amore per questa nostra creatura».
Gli ultimi Jedi, in uscita il 13 dicembre, è il secondo episodio della trilogia corrente, e voci di corridoio suggeriscono che, come il “film di mezzo” di quella originale (L’Impero colpisce ancora), anche questo sarà decisamente dark. Johnson, però, non ama questa definizione, nonostante ammetta l’influenza di uno show dalla morale ambigua come Battlestar Galactica (una citazione affascinante se pensiamo che Lucas considerava quella serie un plagio, ha anche scatenato i suoi legali). «Spero che queste nuove sfumature sorprendano i fan», dice il regista. «Credo sia molto divertente. I trailer sono tutti molto oscuri – e nel film ce n’è a bizzeffe, di oscurità, ma ho cercato con tutto me stesso di essere ribelle. Volevo inserire tutto quello che associo al nome Star Wars, un po’ di Wagner insieme al solito Flash Gordon».
Alla fine di ottobre quasi nessuno aveva visto il film, ma Johnson non sembra minimamente preoccupato. Sul set esibiva una calma simile, almeno così dice Adam Driver, che interpreta il figlio di Han e Leila (e fissato con Darth Vader) Kylo Ren. «Se facessi il suo lavoro sarei consumato dallo stress», dice. «Prendere in mano un progetto iniziato da qualcun altro e portarlo avanti, introducendo allo stesso tempo un linguaggio mai visto in un film di Star Wars, è un compito difficile da portare a termine per chiunque. È un regista incredibilmente intelligente e non sente il bisogno di dimostrarlo a nessuno». («Ci sembrava di giocare tutto il tempo», aggiunge Kelly Marie Tran, che è la new entry più importante del cast, interpreterà Rose Tico). Qualche settimana dopo il nostro incontro Lucasfilm ha annunciato che nei prossimi dieci anni Johnson girerà altri tre film della saga, i primi che non parleranno della famiglia Skywalker. Un indizio di quanto sia piaciuto Gli ultimi Jedi a Disney e alla matriarca di Lucasfilm, Kathleen Kennedy. E la Kennedy non è una che si accontenta di poco, dato che di recente ha licenziato i registi dello spinoff su Han Solo e quello di Episodio IX (sostituito da JJ Abrams).
Il più grande risultato ottenuto dal Risveglio della Forza è sicuramente l’introduzione dei nuovi personaggi, sia i protagonisti Rey e Kylo Ren che lo stormtrooper-disertore interpretato da John Boyega, Finn, e il Poe Dameron di Oscar Isaac. Kylo Ren ha ucciso suo padre Han con un colpo di spada laser, privando Johnson di uno dei personaggi più amati della serie. Ma non di Leia e di Carrie Fisher – ora Generale della Resistenza -, e del neo-brizzolato Luke Skywalker. Gli ultimi Jedi sarà l’ultimo film della Fisher. Negli ultimi giorni del 2016 l’attrice ha sofferto di un arresto cardiaco su un aereo; è morta quattro giorni dopo. Quasi un mese più tardi 500mila persone si sono riunite a Washington per la Marcia delle Donne: Leia era dappertutto. Soprattutto sui poster con i famosi scatti del ’77, dove si leggeva lo slogan: “A Woman’s Place Is in the Resistance”.
Johnson e la Fisher sono diventati amici durante le riprese, e il regista è felice di sapere che qualche anno prima l’ho incontrata nella sua casa psichedelica di Beverly Hills, dove abbiamo fatto quasi tutta l’intervista (esilarante) stesi su un letto. Poi, di fronte allo sguardo di un uomo della Disney, una raffica di battute sulla droga e sulle malattie mentali. «Hai avuto la possibilità di entrare per un po’ in quella sfera magica che riusciva a creare», dice Johnson, che ha letto la sceneggiatura con Carrie in quella stessa camera da letto. «Sono felice di averlo fatto anche io, anche se per poco, e di conoscerla un po’ meglio».
Non ha toccato nessuna delle scene che hanno girato insieme. «Non abbiamo cambiato nulla», spiega. «Per fortuna la sua performance è stata totale, completa». Adesso è Abrams che dovrà capire cosa fare con l’improvvisa assenza di Leia, e della sua attrice. (E come suo solito fa il misterioso: «La sua scomparsa è una triste realtà», ha detto. «Non so come andranno avanti le cose… lo scopriremo con il tempo»).
Insomma, per girare Gli Ultimi Jedi Johnson si è goduto quella che sembra un’incredibile e totale libertà creativa. Dice che nessuno gli ha imposto nessun evento della storia, ha deciso da solo cosa sarebbe successo. Ed è sconcertato dai fan preoccupati dall’idea che abbiano fatto il film «un pezzetto per volta. La verità è semplice… c’è sempre qualcuno che si inventa la storia! A volte c’è un tizio che ha pensato a tutto 10 anni fa, e noi altri dobbiamo seguire le sue istruzioni, altre si scopre organicamente, strada facendo. Ma non significa che ci abbiamo pensato meno, o con minore serietà».
L’unica scena di Mark Hamill nel Risveglio della Forza dura circa un minuto, e non dice neanche una battuta. Ma è una lezione di recitazione, un momento ricco di gravitas impresso su pellicola da un attore sottovalutato e conosciuto soprattutto per il lavoro a Broadway e quello da doppiatore – il Joker dei cartoni animati ha la sua voce dagli anni ’90. («Il voiceover è una ficata», dice Hamill. «Ho pensato: “Grande! Ora posso lasciarmi andare fisicamente, non devo memorizzare le battute»). Quando Rey lo raggiunge sulle montagne dove probabilmente ha passato gli ultimi anni a studiare, una specie di Talmud Jedi, il viso di Luke Skywalker è coperto da una spessa barba e segnato da lutto, terrore e nostalgia. «Non ho mai pensato: “Oh, questa è la mia grande occasione”», dice Hamill dopo il suo ingresso nella stanza di Johnson. Si siede subito accanto al regista, e solleva un thermos pieno di caffè con la stessa mano destra che una volta Darth Vader ha tagliato di netto. Porta una versione corta della sua barba da Jedi-anziano, e con il tempo ci si è affezionato: «Mi sono rasato, e ho pensato: “Lo sai che quella barba non è male? Copre il doppio mento”».
Hamill è un affascinante grillo parlante – e a quanto pare anche da giovane, e bello, era solo un nerd intrappolato nel corpo di una promettente star del cinema. Ha un’energia negli occhi che ti fa pensare che forse, come Luke, anche lui ha passato qualche anno da solo su un pianeta lontano. Come se si stesse ancora abituando alla vita sulla Terra, o a quella da superstar di Hollywood. Ammette di essersi sentito «frustrato dall’istantanea connessione tra il mio nome e Star Wars». Il suo passato interstellare gli è quasi costato il ruolo in Amadeus, il film dedicato a Mozart. Ha passato i decenni successivi al Ritorno dello Jedi recitando e prendendosi cura della sua famiglia insieme a Marilou, sua moglie. E come ha vissuto il ritorno nei panni di Luke? «È il culmine della mia carriera», dice. «Se mi concentrassi troppo sulla grandezza della cosa, non funzionerebbe più. È quello che ho detto a Rian. Per quanto possa sembrare assurdo, gli ho detto, “devo recitare come se questo fosse uno di quei film d’autore che non va a vedere nessuno”».
Per quanto riguarda la sua scena nel Risveglio della Forza, dice, «non sapevo – e credo che nemmeno JJ lo sapesse – cosa fosse successo di preciso negli ultimi 30 anni. Gli ho solo dato un ventaglio di possibili emozioni. Neutrale, sospettoso, dubbioso… ho sfruttato l’assenza di battute. Amo i film muti, pensa a quanto funzionano bene senza dialoghi!»
Abrams era ansioso all’idea di dover dare a Hamill una sceneggiatura senza battute. «L’ultima cosa che volevo fare era insultare un eroe della mia infanzia», dice, «ma sapevo che poteva essere una delle anticipazioni più belle della storia, una bella rullata di batteria». In realtà, la prima cosa che Hamill ha pensato è stata «che fregatura! Non correrò più nella Morte Nera con Carrie e Harrison!»Alla fine ha trovato un accordo con il suo regista, soprattutto dopo aver contato le volte in cui il nome Luke compare nella sceneggiatura – è convinto che siano più di 50: «Non voglio arrivare a dire di aver fatto la miglior entrata in scena della storia del cinema… ma sicuramente è la migliore della mia carriera».
Johnson si gira verso Hamill. «Ti ho mai detto che all’inizio, quando cercavo di immaginare la storia, mi ero fissato con l’idea che Luke fosse diventato cieco? Una specie di samurai cieco», dice. «Poi abbiamo cambiato idea. Dovresti ringraziarmi». (Aggiunge anche che ci aveva pensato prima di aver visto il personaggio cieco di Rogue One, lo spinoff dello scorso anno).
Hamill ride, poi si mette a pensare a come sarebbe stata la sua entrata in scena da cieco: «Luke, non così vicino alla scogliera!».
In verità ha vissuto piuttosto male la storia che Johnson aveva creato per il suo Luke, che l’attore ora definisce come “Jedi disilluso”. «Non è una bella storia da raccontare», spiega. «Almeno la mia parte». Johnson conferma che, all’inizio delle riprese, Hamill gli ha detto senza troppi preamboli che non era d’accordo con la direzione scelta per il suo personaggio. «Poi abbiamo iniziato a parlarne», dice il regista. «L’abbiamo riletta più volte, e dopo avergli spiegato le mie ragioni ho fatto alcuni aggiustamenti. E ho dovuto convincere anche me stesso, è stato un processo molto utile. Alla fine io e Mark abbiamo legato molto. I primi giorni passati testa contro testa, è un processo che ti unisce sempre».
L’attore ha cercato di immaginare cosa fosse successo a Luke per trasformarlo nella versione alienata che troveremo al cinema. Appassionato di rock, e grande amico di Dave Davies dei Kinks, Hamill si è messo a pensare ai sogni infranti di un hippie, stava guardando un documentario sui Beatles. «C’era Ringo che diceva: “Sai, all’epoca era tutto un peace and love”, che spiegava come tutto il movimento fosse fallito. Ci ho pensato molto. A quei tempi pensavo che avremmo preso il potere e cancellato tutte le guerre, legalizzato l’erba», sorride mentre dice l’ultima frase. «Ci credevo davvero. Ho vissuto quel fallimento in prima persona e ho dovuto superarlo». (Sappiamo già che il suo Luke addestrava dei giovani Jedi, tra cui Kylo Ren, che poi l’ha tradito).
Hamill non ha ancora superato il lutto per la morte di Carrie Fisher, soprattutto perché i due si sono riavvicinati con questo film, hanno resuscitato i loro fratelli spaziali dopo decenni in cui non avevano motivo per stare insieme. «Lei aveva trovato una nuova serenità vicino a me», dice. «Sapeva che non volevo fregarla, o farle del male. Ero la stessa persona di un tempo… il fratellino incasinato e sporco di fango, lei invece era la Zia selvaggia e un po’ folle». Promuovere il film lo costringe a ripensarci ogni giorno. «Non lo sopporto», dice. «Nel film è fantastica, ma la sua performance rende tutto malinconico. Non mi piace, voglio che le emozioni vengano dalla storia, non dalla nostra vita privata».
Dico che Luke se l’è vista davvero brutta: non ha mai incontrato sua madre; ha ritrovato i corpi carbonizzati degli zii che l’hanno cresciuto; aveva un bel po’ di problemi con il papà, come sappiamo tutti; poi gli anni da eremita. «È la vita da eroe, capito?», dice Johnson. «Questo è quello che succede a chi diventa un eroe. Devi vedere le persone che ami bruciare a morte!»
Hamill specifica che la realtà non è poi tanto meglio. «A volte», dice con un tono più delicato del solito, «mi capita di voler fare a cambio con Luke, la sua vita per la mia».