La mamma che piange per il figlio primo laureato della famiglia, gli impacci con la storica fidanzatina, i tortelloni con le noci, eccetera: senza queste fotografie prese dall’album di famiglia di Franco Grillini, non esisterebbero i diritti – acquisiti, ma ancora dibattuti e combattuti – del movimento LGBT (e altre consonanti), una volta solo movimento omosessuale. Non esisterebbe l’Italia ancora impantanata in certe fobie dure a morire ma più contemporanea, almeno un po’. Senza mischiare il discorso privato a quello pubblico, senza raccontare la storia di un uomo prima che quella di un militante e di un politico, non si potrebbe raccontare allo stesso modo questo pezzo di Storia d’Italia. Let’s Kiss – Franco Grillini, storia di una rivoluzione gentile, il doc di Filippo Vendemmiati presentato alla 19esima edizione di Alice nella Città, è un importante atte pubblico e collettivo perché, appunto, ritratto di un singolo.
«Tra me e Franco c’è un’amicizia trentennale», dice il regista, «abbiamo osservato a distanza i nostri percorsi professionali molto diversi, e siamo arrivati qui insieme. Un giorno – parliamo più o meno del Natale 2018 – il Comune di Bologna gli assegna il Nettuno d’oro come riconoscimento per i suoi impegni civili. E allora io, che ero alla ricerca di una storia biografica che fosse esemplificativa, penso che può essere quella. La storia di Franco parla del nostro Paese, della nostra memoria, e in qualche modo anche di me. In mezzo c’è stata la sua malattia» – altra fotografia, stavolta del presente, che Grillini non censura: la chiama anzi col suo nome, cancro – «e dunque, quando ho scritto a Franco proponendogli questo lavoro, lui mi ha risposto subito dicendomi: “Sì, facciamolo, però in fretta, perché non mi manca molto”».
Vendemmiati ha detto “memoria”, ed è la parola che viene in mente guardando il film: sui diritti degli omosessuali, oggi dati per scontati da gran parte delle nuove generazioni, non c’è una reale memoria storica, non s’è fatto ordine, non s’è “archiviato” come per altre lotte, battaglie, rivoluzioni. «E invece una rivoluzione c’è stata», dice Franco ancora dolcemente barricadero, «e io la chiamo gentile solo perché è stata senza morti e feriti. Se non si contano i 50 milioni di morti per Aids tra gli anni ’80 e ’90, naturalmente. È stata una battaglia in sé incruenta, ma che ha cambiato radicalmente le cose. Quando Filippo mi ha proposto questo film, ho subito aderito con entusiasmo perché ho creduto di poter raccontare una storia che molti non conoscono, che non hanno vissuto. Gli anni ’80 sono stati cruciali. Ho fatto coming out nell’82, e in quel tempo era tutt’altro che facile. Oggi sembra tutto acquisito. Ho in mente quest’immagine al Pride a New York del 2019: per un quarto d’ora buona è venuta giù la grandine e nessuno si è spostato, sono tutti rimasti lì, io compreso. Quando nell’88 abbiamo aperto il Cassero (storico circolo omosessuale bolognese, nda) neravamo in 150, dire che nel 2019 avremmo visto quella scena a New York – e che ai Pride italiani avrebbe sfilato un milione di persone – era pura fantascienza».
Il privato, dicevamo, diventa pubblico, e Grillini – poi parlamentare, opinion leader, a suo modo icona – è consapevole del ruolo che ha giocato. «Fare coming out era doloroso, era un percorso di grande sofferenza. Pensavamo a come si sarebbero comportati i genitori, gli amici. Spesso si cambiavano compagnie e, soprattutto, c’era il problema di costruire una vita di relazioni che fosse significativa. Perciò è iniziata la mia battaglia per i diritti delle coppie gay. Al congresso di formazione di Arcigay, in un dibattito durato cinque ore, venni messo in minoranza. C’era ancora il retaggio degli anni ’70, tutto ruotava attorno al tema della liberazione sessuale, che era parzialmente avvenuta. Io invece dicevo: ora dobbiamo occuparci delle relazioni affettive, il che era un discorso rivoluzionario anche all’interno della comunità omosessuale». La dicitura LGBTQ+ non gli sta troppo simpatica. «Oggi c’è quest’esplosione di micro identità. Io sono un gay figlio del ’900, sono nostalgico e credo sia giusto così: nostalgia non vuol dire fermarsi, ma ricordare le cose buone fatte. E oggi mi piace ricordare che abbiamo aperto la strada alla visibilità, al poter andare per strada tenendosi per mano, al potersi baciare in pubblico».
La voce di Franco, dice Vendemmiati, è ciò a cui s’incardina il film, una voce che ci accompagna avanti e indietro nel tempo, ma che in fondo resta come dentro un eterno presente, quasi improvvisando come fa il jazz della bella colonna sonora di Paolo Fresu. «Sono cambiate tante cose», dice oggi la voce di Franco, «quello che non cambia mai in Italia è la destra. E non cambia mai il Vaticano: la sua posizione contro la legge Zan è irricevibile, è da ubriachi. I leader di destra sono ossessionati dalla questione omosessuale, hanno fatto migliaia di emendamenti sulla legge contro l’omotransfobia, che però adesso riprenderà il suo cammino in Senato». Franco, come sempre, sarà lì a guardare.