Non chiamatemi Checco | Rolling Stone Italia
Interviste

Non chiamatemi Checco

Ha curato in incognito la colonna sonora di 'Moschettieri del Re'. Perché quella dev’essere di Luca Medici, “quasi musicista”, e non di Zalone. Incontro in esclusiva con uno che prendeva per il culo i cantanti. E che ha scritto per Mina e Celentano.

Non chiamatemi Checco

Foto via sito ufficiale

«Io vivo a Bari perché ho famiglia», dice Luca Medici seduto sullo sgabello scomodo del bar di un residence, però con bella vista sulle rovine del centro di Roma. «Quando vengo a Roma per non stare solo vedo questi due conterroni: uno si chiama Antonio Iammarino come il cantante Mannarino… Hai scritto il nome? Citali, i miei musicisti perché li ho pagati». Quando parli con Luca Medici che prende il caffè stai parlando anche con Checco Zalone che ci mette le battute. «L’altro è Giuseppe Saponari, il mio fonico storico. È di Castellana Grotte. Con lui ho registrato il provino di Siamo una squadra fortissimi, che arrivò prima in classifica, e da allora lo tengo per scaramanzia». Scritto il nome. Anche il cognome.

«Abbiamo lavorato assieme per un paio di mesi e ogni sera cenavamo assieme. Io mi sentivo in dovere di pagare perché sono il più ricco. Poi ho fatto due conti: 200 euro al giorno fanno 6000 euro al mese di cene. Allora mi sono rotto il cazzo e ho cercato il modo di mangiare gratis». I greci la chiamavano parresía. Cioè dire esattamente quello si pensa con le parole che ci vogliono, l’imbarazzo che ne consegue e se va bene la risata. Ma adesso che ti ha catturato, Checco Zalone lo devi seguire fino in fondo: «Promettevo mie partecipazioni nei film a produttori o sedicenti tali, mi facevo invitare da loro al ristorante e chiamavo i miei due musicisti. Non era per tirchiaggine, ma quasi per gioco. Ho fatto un record: quattro cene consecutive. Finché ho incontrato Veronesi, e ci sono cascato».

Da sinistra, i protagonisti di ‘Moschettieri del Re’: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Rocco Papaleo e Sergio Rubini. Sullo sfondo Valeria Solarino.

Vera o no che sia la storiella, dopo l’incontro con Giovanni Veronesi, Luca Medici ha scritto la colonna sonora di Moschettieri del Re – il nuovo film del regista toscano, storia crepuscolare e scassata dei quattro spadaccini strappati alla pensione. E questa è una notizia, perché siamo abituati a considerare Checco Zalone un one-man-band che vive in un ecosistema tutto suo e da questa incorruttibile purezza è probabile che tragga almeno tre quarti del suo mostruoso successo. «Giovanni è un ottimo raccontatore di storie. Ci ha parlato di questi suoi personaggi un po’ sgangherati e noi ci siamo messi al lavoro», spiega ancora il comico-musicista. «Mentre lui girava, io componevo dei temi un po’ dissonanti, strizzando l’occhio con la massima umilità a Nino Ro…». Qui Checco abbassa la voce e lo sguardo. Sorride. Anche la falsa professione di umiltà fa parte dei suoi gesti di repertorio. Continua: «Io questi temi glieli suonavo alla tastiera e lui: “Bellissimo! Bellissimo!”. Pensavo mi prendesse per il culo». E poi? «Poi li abbiamo arrangiati, fatti suonare da musicisti veri, e lui dal set mi chiamava al telefono per farmi sentire che stava girando le scene con sotto la mia musica».

Sergio Leone girava così, con le musiche di Morricone a tutto volume sul set.
Quindi se il film è venuto di merda è anche un po’ colpa mia.

L’hai visto?
Non ancora. Può darsi benissimo che l’entusiasmo di Veronesi per le mie musiche fosse dovuto al fatto che si sarebbe venduta la mia partecipazione al box office.

Moschettieri del Re (2018) - Trailer Ufficiale 90''

Beh, allora ti avrebbe obbligato a metterci il nome. Invece nei titoli di testa c’è uno pseudonimo.
Golden Dinners, le cene gratis.

Ma tu hai sempre firmato la musica di accompagnamento dei tuoi film oltre alle canzoni.
Sì però cose minimali, dei temi tratti dalle canzoni. Diciamo che io ho sempre strizzato l’occhio ai B-movie degli anni ’60 a livello musicale, tipo Piero Piccioni, che per me è un grandissimo, tutta quella lounge schubi-schubi-du. Questo è il mio mondo.

Pierfrancesco Favino nei panni di D’Artagnan in ‘Moschettieri del Re’.

Prima però hai detto: Nino Rota.
Nooo… Una parodia di Nino Rota. Anzi rubare qualcosa proprio. Per esempio, a un certo punto del film sentirai un brano sentimentale che a me piace tantissimo. Io sono convinto di averlo copiato, ma non so da dove.

Mi viene in mente anche una specie di Pat Metheny che ritorna nelle scene più panoramiche, coi moschettieri a cavallo sui calanchi della Basilicata…
Metheny, pure quello ho ascoltato. Ma il confine tra il plagio e l’influenza è abbastanza labile. È una bella frase, no? Comunque quando Veronesi mi ha commissionato il lavoro sono andato a rivedermi un po’ di film per capire come si usa la colonna sonora…

Sei ripartito da zero. Alla moviola.
Lo faccio sempre. L’altro giorno ho rivisto C’era una volta in America, con quel tema bellissimo che Leone usa cento volte declinato in tutte le maniere. Ma ho capito che adesso i musicisti sono più che altro sound designer. E quasi non c’è più un tema vero e proprio.

Come Hans Zimmer: Dunkirk, il nuovo Blade Runner. Soltanto bassi, sibili e rumori.
Ma io non so smanettare sui synth. Non so usare nemmeno Logic… E sono ignorantissimo musicalmente.

Ma come?! La maschera di Checco Zalone sta seduta davanti a un pianoforte da quando è nata…
Io fino ai 25 anni volevo fare il musicista serio, avevo velleità di jazzista, però non ho mai avuto una vera cultura musicale perché prendevo un autore e mi fossilizzavo soltanto su quello. Cercavo di rifare al piano le stesse cose che facevano, diciamo, Chick Corea o Michel Petrucciani. Ascoltavo lo stesso brano per ore, ci provavo e non ci riuscivo. Intanto i miei amici ascoltavano i Guns N’ Roses, la musica di allora.

Una sofferenza. Oltretutto la tua passione per Chick Corea era già fuori tempo.
Anche quella per John Patitucci. ‘Na rottura de cojoni, ma allora pensavo che quello fosse il non plus ultra.

Tuo padre faceva il musicista. Hai imparato a suonare stando con lui.
Il suo complesso si chiamava Gli Amici del Sud. In realtà erano dopolavoristi, facevano i veglioni di Capodanno e qualche matrimonio e il loro repertorio andava da Chick Corea all’Equipe 84. Tutto quello che si ascoltava in quel periodo non era contemplato, il massimo erano Zucchero o i Beatles. Così io a 12 anni suonavo Get Back.

Ma si sa anche che prima di prendere per il culo cantanti e musicisti di ogni genere hai suonato jazz-rock per davvero.
Sì, ma non so leggere una cazzo di nota sullo spartito.

Davvero? Non credevo. Uno dei tuoi tormentoni è suonare il piano alla maniera di Chopin…
Te l’ho detto come. Prendo i midi files, abbasso la velocità e imparo tutto nota per nota. Così mi sono imparato le prime 12 battute di Fantasia Impromptu di Chopin. Poi le altre mi sono rotto il cazzo.

Siamo sempre appollaiati su due sgabelli al bar, la mattina all’ora del caffè. «Sono stato due mesi in Africa a fare i sopralluoghi per il mio film nuovo. Sono stato in Kenya, in Marocco…». Del prossimo film di Checco Zalone sappiamo soltanto che sarà una storia di immigrazione. «Con tutta la cattiveria e il fascismo che c’è in giro», mi dirà lui prima di salutarmi e aggiungere che non sarà un film politico. Ma è questo il bello. «Ho scritto già due canzoni per il film», dice ancora. «Una si chiamerà Se t’immigra dentro il cuore. A più di dieci anni da Zelig, Checco Zalone è rimasto un cantante, dopotutto. «Ma questa adesso è una società liquida!». Zalone cita Bauman. «Che cazz’ vuol dire…», ride. Avrebbe fumato volentieri una sigaretta dopo il caffè e invece sta ancora qua a chiacchierare. Sarà per quello.

«È un discorso che vale per tutta la comicità», spiega invece. «Far ridere prendendo un personaggio in auge ormai è quasi impossibile, più che altro perché i personaggi forti, i leader, si servono dei nostri stessi media e li sentiamo vicini. Per questo non è più irriverente prendere per il culo Salvini o Di Maio. Già si prendono per il culo da soli». Coi cantanti invece è andata più o meno nello stesso modo. Dieci anni fa non c’era quasi X Factor e non c’era la trap. «Adesso io chi imito più? Posso fare uno one shot, non è che vado in tv a rifare ogni volta il personaggio. Ho fatto i Negramaro una volta poi sono diventato amico loro. De Gregori non l’ho mai fatto». E i ragazzini della trap? «Li sento in radio. Però ti dico una cosa. Io temo di dare giudizi su questi nuovi. Una volta ho visto un documentario sui Beatles e c’era un vecchio trombone inglese che diceva “questa musica di merda!”. Quindi ho paura di dire che i trappettari fanno cagare. Magari fra trent’anni… Io vengo da Pino Daniele, quel mondo là. Adesso ascolto sempre Bollani e mi piace Caparezza”.

Una volta facevi anche l’imitazione di Giusy Ferreri. Era l’inizio dell’epoca di X Factor.
Guarda, io ero molto restio all’idea che un giudice potesse decretare sulla vita di un povero Cristo. Adesso però X Factor è l’unico momento in cui la mia famiglia si riunisce davanti alla tv. E questa è la mia vita musicale: mia figlia a guardare Manuel Agnelli e questa ragazzina che si chiama Martina o Cristina, non so, una bambolina. Ho visto anche una ragazza che cantava Sally, bellissima canzone, e per tre quattro giorni le hanno fatto credere che lei era la più brava del mondo. Poi ha cambiato canzone… disastro.

Tu hai preso per il culo i cantanti quando non esistevano ancora i talent.
Ti dico una cosa: è difficile prendere per il culo qualcuno quando il tuo reddito è superiore al reddito di quello che prendi per il culo. All’inizio io ero il ragazzino che si permetteva di prendere per il culo Vasco Rossi, poi sono diventato più ricco di Vasco Rossi…

Non ti resta che fare il cantante serio. Batterli sul loro terreno.
Come cantante serio faccio veramente cagare. Ho provato, c’ho nel cassetto qualche canzone d’amore… Mi piacerebbe fare un disco di duetti con dei cantanti italiani prima di morire.

Avrai già la fila fuori dalla porta.
No! I cantanti sono una razza che si prende così sul serio. Tre mesi fa ho mandato una canzone a Mina e… non ebbi risposta.

Una canzone seria?
Si chiamava L’arteriosclerosi, era per Mina e Celentano. Il tema è bellissimo: loro inneggiano all’anzianità e all’arteriosclerosi perché grazie a questo vedono nell’altro una persona sempre diversa e quindi l’amore si rinnova ogni giorno. Mina o non l’ha capita, o non l’ha voluta.

Chissà. Forse nemmeno a Celentano sarebbe piaciuto fare il rincoglionito. Non è nel suo personaggio.
Lui è il più grande di tutti. L’altra sera sono andato a cena da De Gregori, che è un mio fan (da qui il racconto è 100% Checco Zalone, ndr), e anche secondo lui Celentano è il più grande cantante italiano di sempre. Poi abbiamo suonato insieme, è arrivato anche Venditti…

Seratona.
Ci siamo messi a suonare sul piano Steinway di De Gregori e io giganteggiavo rispetto a loro. Allora mi hanno chiesto di cantare una mia canzone e ho fatto La prima repubblica. A De Gregori ho chiesto di fare una canzone e lui ha fatto Pezzi di vetro.

Un capolavoro.
A me piace soltanto se la canta lui. Io ho scritto quattro canzoni di cui vado fiero: Gli uomini sessuali, Angela, quel pezzo di Carmen Consoli che si chiamava Grazie al cazzo e Siamo una squadra fortissimi. Che poi fino a quattro anni fa quando facevo il live mi sentivo come Paul McCartney: la gente sapeva tutte le parole a memoria, e quella è la sensazione più bella.

E adesso? Non ti manca?
Da quando sono ricco non ho comprato macchine e neppure quadri. L’unica cosa bella che ho a casa è un pianoforte Fazioli. Chi me l’ha venduto mi ha detto: “Ce l’avete tu e Pippo Baudo”. Era il signor Fazioli in persona. E poi mi ha detto: “Ce l’ha anche Herbie Hancock”. E me lo sono comprato.