Soraya Azzabi: il cinema, la moda e quel che resta del Sogno Americano | Rolling Stone Italia
Interviste

Soraya Azzabi: il cinema, la moda e quel che resta del Sogno Americano

Incontro con la modella canadese di origini marocchine regista del corto ‘Making It Against All Odds’, sul designer e consulente di Kanye West Tracey Mills. Che è una lezione sul nostro tempo

Soraya Azzabi: il cinema, la moda e quel che resta del Sogno Americano

Soraya Azzabi in un ritratto di Aleksandra Von Zastrow Motta

Foto: Soraya Azzabi @bragwall. Clothing: Federica Tosi. Location: Hotel Margutta 19 by Alberto Moncada. Special thanks to Barbara Lessona

Avete presente il mito, tutto americano, del self-made man? Ecco, Soraya Azzabi lo incarna perfettamente e, allo stesso tempo, lo fa a pezzi. La bellissima modella marocchino-canadese, nonché regista, attrice, sceneggiatrice e pittrice (più self-made woman di così…), non si riconosce nel Sogno Americano. Ce lo dice candidamente, davanti a una tazza fumante di tè a Roma, mentre parliamo del suo ultimo cortometraggio: si intitola Making It Against All Odds ed è disponibile su TaTaTu, la prima social-app che premia per la visualizzazione dei contenuti e l’interattività degli utenti. A prima vista il film sembrerebbe l’ennesima storia di successo a stelle e strisce, legata al mondo della moda: Soraya spiega come Tracey Mills, orfano di madre e abusato dal padre fin da piccolo, è riuscito a diventare un famoso designer e consulente di Kanye West. D’altronde, verrebbe da pensare, cosa potrebbe raccontare una modella? La politica internazionale? Invece, surprise surprise, la modella-che-parla-solo-di-moda discetta anche di parecchi altri temi, sa il fatto suo e rispedisce agli Stati Uniti il loro Big Dream: «Spiacenti, è da rottamare», sembra sostenere con questo corto. E qui lo ribadisce.

Making It Against All Odds è una grande storia di riscatto. Oggi, tuttavia, la mobilità sociale è sempre più difficoltosa, e il divario tra ricchi e poveri aumenta a dismisura. C’è ancora spazio per il Sogno Americano?
Quando ho iniziato a scrivere il corto, sono partita proprio da questa domanda: il Sogno Americano esiste ancora? Direi di no, almeno non per come lo abbiamo sempre conosciuto. Se una volta la grande ambizione degli americani era avere una bella casa, una famiglia e un ottimo lavoro, oggi i desideri sono mutati. Il white American Dream ha ceduto il passo a un sentimento più globale, che non si declina solo in beni materiali. Oggi le nuove generazioni sognano di essere la migliore versione di se stesse, e di poter realizzare qualcosa che soddisfi anche gli altri.

Chi, o che cosa, avrebbe contribuito a questo cambio di passo?
Penso che l’immigrazione abbia avuto un impatto decisivo.

Da qui in poi ogni frecciatina a Donald Trump sarà puramente casuale…
Riflettiamo: l’America è stata costruita sull’immigrazione. Oggi molte persone sono passate “dall’altra parte” e pontificano contro i migranti, eppure vengono esattamente dallo stesso posto. Tra l’altro, la maggior parte degli immigrati è composta da persone che lavorano duramente per mantenere le proprie famiglie, e che hanno un’etica del lavoro incredibile: difficilmente si siedono in un angolo a oziare.

Soraya Azzabi @bragwall. Foto: Aleksandra Von Zastrow Motta. Clothing: Federica Tosi. Location: Hotel Margutta 19 by Alberto Moncada. Special thanks to Barbara Lessona

So che parli con cognizione di causa, visto che tu stessa ti sei trasferita, a 8 anni, dal Marocco in Canada. È stato difficile integrarsi?
A essere onesta, tuttora non mi sento integrata. È come se appartenessi a due mondi: al Marocco, dove sono cresciuta, e al Canada. Ricordo che i primi anni sono stati particolarmente difficili, anche perché la mia storia è decisamente atipica: noi non scappavamo dal Marocco. Lì, anzi, avevamo una vita molto agiata. Non ho mai ben capito i motivi che spinsero mio padre a portarci tutti in Canada, e purtroppo non li conoscerò mai, essendo lui morto. Credo comunque che le sue aspettative fossero decisamente diverse: in America abbiamo patito la fame e la povertà. C’era inoltre molto razzismo, ma anche tanta ignoranza: capitava, per esempio, che ci chiedessero se nella nostra patria esistevano le macchine, o come mai parlassimo francese pur essendo marocchini.

Negli ultimi anni, Hollywood ha dichiarato guerra a ogni forma di discriminazione. L’Academy ha deciso di introdurre standard più inclusivi per gli Oscar, obbligando gli Studios a coinvolgere maggiormente le minoranze sociali. Cosa ne pensi?
È un inizio. Un buon inizio. C’è però ancora molto da fare. Per esempio, sarebbe bello se fossero le persone di colore, gli asiatici o qualsivoglia altro straniero a raccontare le storie che li riguardano. Penso che riuscirebbero a farlo meglio, con più autenticità. Hollywood ha creato così tanti stereotipi e cliché. Per esempio, facci caso: se in un film c’è una persona di colore, questa muore puntualmente nei primi dieci minuti del film. Noi ormai ci divertiamo a scherzarci su: «Ah, guarda, c’è un personaggio di colore: ora di sicuro muore» (ride, nda). Inoltre, esistono così tante dinamiche all’interno delle famiglie multiculturali o immigrate che per uno sguardo esterno è molto difficile coglierle.

Cosa ne pensi invece del re-wash di personaggi iconici del cinema? Avere una Sirenetta disneyana di colore aiuta a promuovere l’integrazione?
Non mi convince. Nel momento in cui ci sono tutti questi interpreti per il medesimo personaggio bianco, persino quest’ultimo perde senso. Il vero obiettivo dovrebbe essere dare vita a un immaginario narrativo black, con le sue caratteristiche. Non è facile, perché richiede un cambio di mentalità. Confido però molto nelle nuove generazioni: i ragazzi di oggi si sono dati una svegliata, dicono molti più “no” di quanti ne abbiamo detti noi in passato. Sì, lo so, suona strano: di solito chi è più grande si lamenta delle nuove generazioni, fa fatica a capirle. Non è il mio caso: io credo molto in loro, e nella loro capacità di cambiare le regole del gioco.

Il mondo della moda è più inclusivo di quello del cinema?
A livello visivo, di estetica, sì. Ma, dietro le quinte, non c’è sempre altrettanta inclusività. Per esempio, ci sono moltissime modelle ma poche fotografe: quella è una professione ancora molto maschile. Per certi versi è un peccato, perché le donne potrebbero catturare in maniera nuova l’idea della bellezza femminile, leggerla in una chiave inedita. Inoltre, mi è capitato che in un servizio fotografico la parrucchiera non avesse dimestichezza con modelle dai capelli ricci come i miei.

Tu sei una modella molto quotata. Perché a un certo punto hai deciso di investire sul cinema?
Tutto è iniziato a Montréal. Dopo un servizio fotografico, mi hanno proposto di dare vita a uno show che parlasse di moda, arte e musica. Il programma ha avuto molto successo, siamo andati avanti per sei stagioni. Ho iniziato così a coltivare il desiderio di lavorare anche nel mondo del cinema, per creare qualcosa che potesse ispirare gli altri. Con i miei corti non voglio solo dare speranza, ma indicare una via, un modello per poter concretamente mettere a frutto le proprie doti. Vorrei che lo spettatore pensasse «Potrei fare anch’io così», e imprimere una svolta alla propria vita. Per questo prediligo storie che abbiano un messaggio forte, qualcosa di rilevante da dire. Ce ne sono tantissime, anche se non sempre i diretti interessati amano raccontarsi. All’inizio io stessa ero restia a parlare del mio passato di indigenza. Mi chiedevo: perché dovrei? Poi, invece, sono scesa a patti con il mio passato, ho smesso di viverlo come uno stigma o qualcosa di cui imbarazzarmi. Ho capito che era invece molto importante condividerlo, e così ho iniziato a farlo.

Soraya Azzabi e Tracey Mills sul set di ‘Making It Against All Odds’

Nel tuo corto, Mills non diventa solo il designer, ma anche il consulente creativo di Kanye West. Cosa pensi della sua candidatura a presidente e, più in generale, delle elezioni americane?
Eh, il discorso è lungo: da dove comincio? (ride, nda) Oggi la politica è sempre più confusa: si passa il tempo a criticare l’avversario senza mai illustrare a fondo il proprio programma. Per certi versi somiglia molto a un reality show: si scava nel torbido, ci si accapiglia, si lanciano accuse… Quanto al desiderio di Kanye di diventare presidente, chi sono io per dire che non può diventare quello che desidera? Se fossi americana, credo che darei la mia preferenza a chi sa quello che sta facendo. Un aspetto che valuterei con cura sarebbero anche le proposte sul fronte della politica internazionale: è molto importante per me, perché sono immigrata e canadese, ma anche marocchina.

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