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Scordatevi il divo di Salvate il soldato Ryan, The Bourne Identity , la saga di Ocean e Sopravvissuto – The Martian . O meglio: siamo proprio sicuri che Matt Damon sia un divo formato blockbuster? Nel giorno dei suoi 50 (!) anni, la nostra tesi è un’altra: l’ex ragazzo da Oscar (per la sceneggiatura di Will Hunting – Genio ribelle ) non è una vera star, ma un interprete più a suo agio in film piccoli (o quasi) e ruoli non da American hero. Ecco i 5 titoli che lo provano.
Lasciati gli amici George e Brad nei casinò di Las Vegas (serve dire con quale film?), Damon si lancia in uno dei progetti più spericolatamente indie dei primi 2000. Diretto da Gus Van Sant (che ritroveremo poi) e affiancato da Casey Affleck (fratello del sodale Ben), è protagonista di questo on the road desertico ed esistenziale che il pubblico ha ovviamente disertato, ma che è rimasto un cult cinefilo. La strada (letteralmente) da anti-star è aperta…
Chiuso il ciclo di Ocean e soci, è lo stesso Soderbergh a capire che le corde “weirdo” di Matt vanno sfruttate meglio. Gli affida dunque la parte bislacca di un biochimico in rigoroso trench da impiegato che diventa un collaboratore dell’FBI. Il nostro ci mette un po’ di Metodo ingrassando di vari chili, ma soprattutto si lascia andare a una performance stralunata che in pochi da lui si sarebbero aspettati. Quell’anno avrebbe meritato la nomination all’Oscar per questo film: altro che Invictus.
Un solo film coi Coen, ma buona la prima. Anche qui, però, la star è un’altra: Jeff Bridges, nello Stetson e negli stivali di Reuben J. “Rooster” Cogburn. Damon è La Boeuf, splendido nome che già fa intuire lo stracultismo del personaggio: ovvero, il ranger texano sulle tracce del protagonista. “Spalla” è bello: e anche stavolta Matt dimostra di essere più a suo agio nei panni del gregario, che in quelli dell’attore con lo spotlight fisso su di sé. Fino alla gloriosa morte in scena, in una sequenza che non si dimentica.
Matt avrebbe poi prodotto il film più acclamato (pure troppo) di Kenneth Lonergan: Manchester by the Sea. Ma prima si è fatto dirigere dal regista newyorkese in questo dramma già in odore di sfighismo: incidenti stradali, sensi di colpa, tormenti. Pure qua, l’intenzione è chiara: “scomparire” in una storia piccola (e molto amata nel solito circuito dei critici locali statunitensi), tra un Contagion (oggi tornato rilevante per ovvi motivi) e un Elysium (titolone che ha floppato per motivi altrettanto ovvi).
Altro giro, altro Soderbergh. E il ruolo forse più bello di sempre, anche se in pochissimi purtroppo lo (ri)conoscono. Il ritratto über-queer del pianista Liberace (un monumentale Michael Douglas) è uno dei biopic più clamorosi degli ultimi vent’anni. E non esisterebbe se il contraltare del protagonista non fosse proprio Matt, perfetto amante vanesio e botoxato. Il nostro sembra voler fare a pezzi la sua immagine da “ordinary guy”, diventando un “extraordinary gay” con cofana bionda e slippino adamitico. Nomination ai maggiori premi per il piccolo schermo (dall’Emmy al Golden Globe: era nato come tv movie HBO), ma nessuna vittoria: vergogna!
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