«Cercate il mio nome su Google, verranno fuori circa 7.1 milioni di risultati» dice Amanda Knox nel nuovo documentario Netflix che porta il suo nome. Un lavoro certosino portato avanti da due registi, Brian McGinn e Rod Blackhurst, che hanno lavorato per 5 anni tra Italia e USA per confezionare qualcosa che non era mai stato fatto prima: raccontare tramite la voce dei protagonisti quello che è stato uno dei casi di cronaca nera più discussi degli ultimi anni, l’omicidio di Meredith Kercher.
Era il 1° novembre 2007 quando il corpo senza vita della studentessa britannica veniva trovato all’interno dell’abitazione che condivideva con la Knox a Perugia. Gli elementi per una storia che affascinasse i media c’erano tutti, a partire dai protagonisti: giovani, belli, innamorati e, forse, diabolici. Un processo durato otto anni, tra colpi di scena, accuse e sentenze ribaltate che hanno alimentato un interesse morboso nei confronti di questa storia, trasformando Amanda e Raffaele in due star. «Quando la gente mi incontra per strada mi tratta come se fossi una celebrità televisiva» dice Sollecito nel film «è assurdo. Io non volevo che succedesse tutto questo».
Il processo si è concluso dopo 8 anni, nel settembre 2015, con la sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente assolto Amanda e Raffaele. Ora, alla fine di questa storia che ha cambiato le loro vite, hanno deciso di raccontare la loro versione dei fatti. «Non posso aver commesso il fatto perché non ero là quella notte» dice Amanda, che ha da sempre sostenuto di trovarsi nell’appartamento di Sollecito la notte in cui Meredith è stata uccisa. Nel film però non sono solo i due ex fidanzati a parlare: c’è Giuliano Mignini, il PM che ha seguito il caso e che per primo accusò i due dell’omicidio, e c’è Nick Pisa, giornalista del Daily Mail inviato a Perugia a caccia di scoop.
Un viaggio che racconta i retroscena delle indagini, le accuse di Amanda alla polizia, e che mette in evidenza gli errori che sono stati fatti durante le rilevazioni della scientifica, spesso approssimative. Amanda Knox non è un documentario che vi farà cambiare idea, il suo obiettivo è quello di raccontare in maniera esaustiva le varie fasi di quello che è partito come un omicidio come tanti ma che è diventato un caso internazionale. Abbiamo chiacchierato con i due registi dopo l’anteprima milanese.
Sono tantissimi gli show televisivi che parlano di cronaca nera e processi. Ultimamente però l’attenzione si è spostata dalla storia degli assassini alle storie di personaggi al limite tra innocenza e colpevolezza. Perché tutto questo interesse?
Rod: Come dice Amanda nel documentario, «alle persone piacciono i mostri». Le persone vogliono sapere chi sono i cattivi, sono affascinati da queste storie perché stuzzicano le loro paure. La persona meno sospettabile potrebbe essere quella che commette il crimine peggiore, e si immaginano come sarebbe se la vita che conoscono gli venisse strappata via da un momento all’altro. È un interesse sviluppato su più livelli. Alla gente piace vedere le cose in bianco o in nero, ma la vita reale non è così. È molto più complesso.
Che tipo di pubblico avevate in mente quando stavate girando? Avete avuto un occhio di riguardo per gli spettatori italiani?
Brian: Siamo stati molto a Perugia durante la lavorazione, mesi, e ci siamo resi conto di quanto i media italiani fossero interessati al caso. Ma visto che tutta la faccenda è diventata di rilevanza internazionale abbiamo deciso di non fare un film che potesse interessare solo gli italiani. Volevamo includere i media britannici perché sono stati importantissimi nella storia. La cosa su cui ci siamo focalizzati è stata ricostruire tutta la storia al contrario, partendo dalla sentenza della Corte di Cassazione. Ci abbiamo messo molto tempo, anche per capire come funzionasse il vostro sistema giudiziario.
Immagino che molti cittadini americani non abbiano compreso al meglio i vari gradi di giudizio a cui la Knox e Sollecito sono stati sottoposti.
Brian: Molte persone hanno pensato che fosse stata giudicata due volte per lo stesso crimine, ignorando come funziona qui. Per noi era importante chiarire questa cosa, oltre ad avere le testimonianze del PM Giuliano Megnini e degli esperti forensi, oltre ovviamente a Raffaele e Amanda.
Rod: Abbiamo letto e guardato molto di quello uscito qui e ci siamo resi conto che l’attenzione dei media era la stessa che c’era negli States. Con punti di vista diversi, che però abbiamo cercato di includere nel film.
È stato semplice convincere Amanda e Raffaele a partecipare?
Brian: Per niente. Li abbiamo contattati dopo la scarcerazione, nel 2011, e no, nessuno di loro voleva fare un film. Avevamo praticamente abbandonato l’idea. Fino al 2013 quando è stata lei a chiamarci. Era in attesa del verdetto della Cassazione, non sapeva cosa sarebbe successo e voleva raccontare la sua versione dei fatti. Solo dopo il verdetto siamo riusciti a convincere Giuliano Megnini e Raffaele. Questo è il motivo per cui ci abbiamo messo 5 anni, nessuno voleva farlo!
Rod: Sono persone che si sono ritrovate sotto i riflettori senza volerlo. Per questo abbiamo rispettato le loro decisioni iniziali di non partecipare. Ma alla fine ha prevalso la voglia di parlare e di raccontare la propria posizione. Non abbiamo insistito troppo, sicuramente hanno dovuto prendere del tempo per pensarci. Penso abbia avuto un effetto catartico su di loro.
Come vi siete procurati tutti i documenti presenti nei film? Alcuni sono inediti.
Brian: È stata durissima. Ci abbiamo messo circa 6 mesi, tra telefonate e richieste per arrivare a consultare le documentazioni. Ma ne è valsa la pena, nessuno aveva mai fatto un lavoro del genere. In TV e sui media è tutto così veloce. Siamo stati probabilmente gli unici a fare un lavoro del genere. Il video che Amanda aveva fatto a Meredith qualche giorno prima non l’aveva visto neanche il Dottor Megnini, per farti capire. Davvero una quantità di materiale enorme.
Rod: Non è stato facile perché abbiamo dovuto parlare con tante persone, guadagnarci la loro fiducia affinché ci permettessero di fare il nostro lavoro.
A proposito di rappresentazione di questa vicenda, che ne dite del film su Amanda Knox di Lifetime, con Hayden Panettiere?
Brian: Una delle cose più importanti per noi è stata cercare di evitare il sensazionalismo che hanno avuto i media in questa storia. Pensa che hanno fatto anche un documentario dove hanno ricostruito la casa di Amanda e Meredith in uno studio televisivo e c’erano delle persone che cercavano di risolvere il caso. Assurdo! Troviamo tutte queste cose davvero fuorvianti, e quel film sicuramente rispecchia questo tipo di produzione. Inoltre, se pensi che ci hanno fatto dei film quando il caso non era ancora chiuso, è assurdo! Le performance degli attori erano abbastanza ridicole. Mi ricordo una scena in cui lei si copre le orecchie e urla – fantastica!
Rod: Beh, è per quel motivo che l’hanno fatto vedere su Lifetime.