'Mansfield 66/67', la doppia tragedia della rivale di Marilyn | Rolling Stone Italia
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‘Mansfield 66/67’, la doppia tragedia della rivale di Marilyn

Il documentario di Todd Hughes e P. David Ebersole racconta la storia di Jayne Mansfield: la vita, l'amore con il satanista Anton LaVey e il mistero della sua morte

‘Mansfield 66/67’, la doppia tragedia della rivale di Marilyn

Jayne Mansfield, foto INTERFOTO / Alamy / IPA

Ci sono chicche, o potenziali tali, che vengono perse in quell’atto famelico che è leggere la selezione di un festival cinematografico. Quando il festival è pregevole (Rotterdam) ma non rientra nella categoria glamour, è ancora più facile smarrire un documentario che risponde al nome di Mansfield 66/67.

Todd Hughes e P. David Ebersole (già produttori del bellissimo Room 237) tirano fuori dal cilindro un’opera che potrebbe essere benissimo confusa con un mockumentary, dove il vero sembra falso perché tutto è costruito su quello che per molti anni è stato un pettegolezzo e, soprattutto, perché al pubblico puoi rifilare il satanismo inteso come solipsismo, i drammi di una diva imbolsita in declino, dicerie, droghe e quant’altro a patto che il tutto sia esposto con toni leggeri e per 90 minuti.

L’assunto di partenza è indubbiamente diverso da altri documentari, Ebersole e Hughes intervistano i fan eccellenti, gli artisti contemporanei (i famigliari e gli amici non pervenuti) della bionda attrice che seguirono le strane peripezie della rivale di Marilyn Monroe nella Chiesa di Satana di Anton LaVey.

Antón Szandor Lavey e Jayne Mansfield

Lui è uno dei personaggi più importanti della controcultura americana, ammiratore del burlesque, fan di Aleister Crowley e fondatore, nel 1966, della Chiesa di Satana. Minacciato dall’America puritana, aveva bisogno di legittimare la sua opera tramite i media. Lei è la rivale di Marilyn Monroe ma senza la sua fama consolidata, ex-playmate che riuscì a lavorare con registi del calibro di Raoul Walsh e Stanley Donen ma che al giro dei trent’anni tastò con mano la volatilità della fama. Anton e Jayne bisognosi l’uno dell’altra e tutti e due della stampa. E nel documentario che speriamo arrivi presto in Italia, c’è il racconto di un connubio strambo.

Mansfield 66/67 porta sullo schermo il fascino di libri come Hollywood Babilonia, l’opera manifesto in due parti di Kenneth Anger che tracciava una storia alternativa, altrettanto vera e scandalosa della fabbrica del cinema. E tra gli ospiti dei due registi, insieme a John Waters e Tippi Hedren, c’è lo stesso Kenneth Anger che ancora oggi deve negare di essere un satanista per via di alcuni suoi corti avant-garde (Invocation of My Demon Brother e Lucifer Rising in cui appare LaVey).

Mansfield e LaVey sono due personaggi tragici che raccontano la natura rarefatta del culto della personalità

Ma se c’è qualcuno o qualcosa di davvero satanico in Mansfield 66/67 è proprio il rapporto tra la diva e l’esoterista: non c’era occasione in cui non fornissero materiale dei loro incontri ai giornalisti. I due s’incontrarono a San Francisco e riconobbero nell’altro la stessa voglia di rivalsa e successo. Lui non piaceva al nuovo fidanzato di lei, l’avvocato Sam Brody, che si beccò pure una maledizione dal maestro oscuro (Brody morirà in macchina con la fidanzata).

Eppure gli incontri bizzarri continuarono: nella magione rosa di lei a Los Angeles e nella Black House di lui a Frisco, in abiti quasi carnevaleschi e immersi in una relazione non del tutto definita (oltre l’interesse c’era amicizia? Un interesse sessuale?) cavalcarono quell’onda di disagio che stava per travolgere l’America e la sua controcultura sul finire degli anni ’60. Due stranieri per la strada che superata l’idea di rivoluzione, del culto di se stessi e di tante e troppe parole, compresero l’importanza di dare ai giornali un romanzo a puntate ben prima dei reality show à la Real World.

Al di là della piega quasi parodistica che stavano prendendo le loro vite, la fama d’attenzione, la breve carriera della Mansfield e i costumini di LaVey feriscono il sorriso nato spontaneamente davanti alla carrellata di foto e memorabilia varia messa insieme per il documentario. Jane Mansfield morì nel ’67 per un tragico incidente d’auto, LaVey trent’anni dopo d’infarto, toccati troppo presto dalla decadenza e dall’oblio (finiti gli anni ’70 della Chiesa di Satana era rimasto solo un ricordo riacceso poi, brevemente, dalla figlia di LaVey), il tradimento dei colleghi e la derisione.

La fascinazione in Mansfield 66/67 riposa nel mistero di un rapporto di interdipendenza che andava oltre la pubblicità: lui vedeva in lei una certa volontà di cui si sentiva carente; lei, cattolica, non troppo interessata all’occultismo vero ma, in piena crisi artistica, soggiogata dall’idea che il presente e il piacere fine a se stesso potessero essere lo scopo ultimo dell’esistenza.

Due personaggi tragici (comici) che mostrarono, involontariamente, la natura rarefatta del culto della personalità, e in quanto a idolatria Hollywood e i culti religiosi non sono molto diversi, anticipando di gran lunga la deriva egocentrica e ben più oscura degli anni che arrivarono con la stessa violenza con cui la bella e intelligente Mansfield perse la vita.