Hollywood sta cambiando e gli Oscar di quest’anno ne sono la prova. Inclusività e attenzione alla diversità sono finalmente davvero le parole chiave della 91esima edizione degli Academy Awards, che è quella con il maggior numero di vincitori afro-americani (Regina King e Mahershala Ali migliori non protagonisti) di sempre e tante donne, anche nelle categorie tecniche – vedi Ruth Carter e Hannah Beachler, rispettivamente costumista e scenografa di Black Panther, premiato anche per la colonna sonora. Sono i primi tre Oscar per la Marvel. Abbattuti anche alcuni taboo: un corto documentario sui pregiudizi che ancora sussistono nell’India rurale nei confronti del periodo mestruale femminile, Period. End Of Sentence, ha portato a casa una statuetta: “Non ci posso credere, un film sulle mestruazioni ha vinto l’Oscar” urla la regista Rayka Zehtabch.
Il riconoscimento per il miglior film – a sorpresa – va a Green Book, storia dell’improbabile amicizia tra un pianista di colore e un chiassoso autista ed ex-buttafuori italoamericano negli USA degli anni ’60, una decisione che Spike Lee non ha apprezzato (e nemmeno noi a dirla tutta, bello ma un po’ troppo convenzionale): “Ogni volta che qualcuno porta a spasso qualcun altro, perdo (anche Fa’ la cosa giusta nel 1990 non l’aveva spuntata contro A spasso con Daisy per la sceneggiatura). Gli arbitri del’Academy hanno fatto una brutta chiamata”. Il lungometraggio diretto da Peter Farrelly ha vinto anche attore non protagonista con Mahershala Ali e sceneggiatura originale. Roma di Alfonso Cuaròn si porta a casa tre statuette, per la regia, il film straniero e la fotografia: Netflix c’è. E Bohemian Rhapsody conquista quattro riconoscimenti, di cui tre tecnici (sonoro, montaggio sonoro montaggio e montaggio), decisamente qualcuno di troppo.
Dal punto di vista dello spettacolo invece, la cerimonia è stata meh ma, viste le premesse, poteva anche andare peggio. Non c’era nessun conduttore, aspetto che ha velocizzato la pratica sì – la serata è finita più di un’ora prima del solito – e ha permesso alle tematiche di emergere in maniera più naturale (e pure fin troppo politically correct), ma è stato tutto più meccanico e sono mancati il ritmo, la comicità, lo show, il mordente: solo due performance musicali, una gag al femminile e un paio di discorsi da Oscar si candidano a essere davvero ricordati. La formula anarchica senza presentatore ci può stare, ma bisogna rivedere le dinamiche alla radice, a partire dalla regia: sono riusciti a tagliare la cosa in assoluto migliore della serata – l’esibizione di Lady Gaga e Bradley Cooper – per mandare una clip di coming up.
We will rock you
La serata non inizia con il tradizionale monologo comico del conduttore, ma con un’esibizione scalda pubblico dei Queen insieme ad Adam Lambert, in omaggio al successo planetario di Bohemian Rhapsody. Sul palco appare Brian May con la chitarra al ritmo iconico di We Will Rock, il Dolby Theatre è in piedi, entra Lambert, ma tutti a pensare: “Quanto spacca ancora May?!” Parte We Are the Champions, con il pubblico seduto che fa ondeggiare le mani. Cantano tutti, pure JLo. Adam Lambert urla “Welcome to the Oscars”, sul mega schermo compare un’immagine di Freddie Mercury. Standing ovation, lunga vita ai Queen, l’apertura musicale facciamola pure l’anno prossimo, possiamo iniziare.
Tina Fey, Maya Rudolph e Amy Poehler rock
Non c’era un presentatore, ma grazie a Dio c’erano Tina Fey, Maya Rudolph e Amy Poehler. Nell’introdurre il premio alla miglior attrice non protagonista (Regina King), il trio comico si scatena: “Non siamo le vostre conduttrici ma resteremo qui abbastanza a lungo da fare pensare a chi leggerà i giornali domani che abbiamo condotto noi la serata”. Risate, ma hanno appena iniziato a prendere di petto l’attualità e gli scivoloni dell’Academy: “No, il Messico non pagherà per il muro e non presenteremo premi durante gli spot, piuttosto presenteremo degli spot durante la premiazione”. Poi, come da copione, si passa a prendere in giro attori e film nominati: “Il mio spandex si sta spostando verso il mio Spider-Verse” scherza la Poehler, che tira fuori anche un paio di vocalizzi da Shallow che sono piaciuti parecchio a Lady Gaga. Non ho capito che stiamo aspettando a scritturarle per l’anno prossimo, hanno fatto tutto quello che fa un conduttore, meglio del conduttore, senza gli onori del conduttore.
Tina Fey, Amy Poehler, and @MayaRudolph BROUGHT IT! ???
The #Oscars are LIVE now on ABC! pic.twitter.com/5oMxSjE3uG— ABC (@ABCNetwork) 25 febbraio 2019
Magic moment: Lady Gaga e Bradley Cooper
Era il momento più atteso della serata. Quando finalmente partono le note di Shallow – e il conseguente brividino lungo la schiena -, Lady Gaga e Bradley Cooper salgono sul palco direttamente dal pubblico. Si guardano per tutta la prima strofa, lei si siede al piano ma non stacca MAI gli occhi di dosso da Bradley. Poi Gaga si scatena al pianoforte, finché lui non le siede accanto. Cantano di nuovo insieme, è magia. Tutti tifavamo per il limone alla fine del brano ma non è partito, anche se probabilmente a Bradley stasera toccherà dormire sul divano. Date l’Oscar a Shallow e chiudiamo tutto.
Anche il discorso di Gaga, che porta a casa il primo Oscar della sua vita, entra di diritto tra i best moments della serata: “Se siete a casa seduti sul divano e state guardando questo, sappiate che è frutto di un duro lavoro”, afferma la star con le lacrime agli occhi. “Non si tratta solo di vincere. Il punto è: non arrendetevi. Se avete un sogno, combattete per realizzarlo. Non contate quante volte venite rifiutati o cadete, ma quante volte vi siete rialzati in piedi con coraggio e siete andati avanti”. Pure Mark Ronson, co-autore del brano, si inginocchia a Gaga.
L’Academy ‘Fa la cosa giusta’ e premia Spike Lee
Dopo cinque nomination e un Oscar alla carriera, Spike Lee in versione WaLuigi di Super Mario Bros. vince la sua prima statuetta non competitiva per la sceneggiatura non originale di BlackKklansman.
Who wore it better, #SpikeLee or #Waluigi? #Oscar2019 #oscars pic.twitter.com/g8ZGrAu5Pk
— Cleverdirt (@cleverdirt) 25 febbraio 2019
Il primo a non trattenere l’emozione è Samuel L. Jackson che gli consegna il riconoscimento:” Alright, ora non iniziate a mettermi fretta” dice Spike. “Febbraio è il Black History Month. Mia nonna è andata all’università anche se sua madre era una schiava ed è riuscita a farmi andare al college con gli assegni della previdenza, è grazie a lei se sono qui”. E aggiunge: “Le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo, possiamo stare dalla parte giusta della Storia, scegliamo l’amore, fate la cosa giusta!”. Ciao Donald. Spike foreva.
Rami Malek in love
Rami Malek vince e stampa un bel bacio a Lucy Boynton, sua co-star in Bohemian Rhapsody : “È un momento epico e vorrei dire grazie alle persone che hanno creduto in me. Magari non ero la prima scelta, quella più azzeccata, ma ha funzionato” dice Malek. “Grazie ai Queen per avermi concesso di essere una piccola parte del loro patrimonio, vi sarò sempre debitore. Abbiamo fatto un film su un uomo gay, un immigrato che ha vissuto la sua vita essendo sempre se stesso, stare qui è la prova che abbiamo bisogno di queste storie. Io sono figlio di immigrati che vengono dall’Egitto, sono un Americano di prima generazione, e la mia storia si sta scrivendo qui sotto i miei occhi, grazie per questo momento, lo porterò nel cuore per sempre”. E per favore non iniziate a fare paragoni con Mahmood e la sua vittoria a Sanremo… L’ultimo pensiero di Rami è ancora una volta per Lucy Boynton: “Sei talentuosissima, sei il cuore di questo film, e hai catturato il mio di cuore”. Alla fine Malek cade pure dal palco e arrivano i paramedici.
Olivia Colman, the Queen
Quando annunciano che si è aggiudicata l’Oscar come miglior attrice protagonista per La Favorita, Olivia Colman ha un leggero mancamento, mentre Lanthimos la bacia ed Emma Stone si scioglie in lacrime di gioia. Il suo è uno dei discorsi più improvvisati, divertenti e sinceri di sempre, con quell’inconfondibile accento super british: “È davvero molto stressante, mi viene da ridere… ho vinto L’Oscar”. E via con i ringraziamenti, perché “non succederà di nuovo” ride ancora. Sembra quasi buttare lì che Glenn Close meritava la statuetta, ma quella statuetta l’ha vinta lei, che faceva “la donna della pulizie fino a non molto tempo fa”. E conclude con “E Lady Gaga, wow!”. Date a Olivia Colman un altro Oscar. Semplicemente una meraviglia.
L’abbraccio di Cuaròn
Oscar numero uno, Alfonso Cuaròn è il primo regista della storia a vincere per la miglior fotografia: “Nell’ufficio di Billy Wilder c’era un cartello con scritto ‘Chissà che avrebbe fatto Lubitsch’, io nel mio scriverei ‘Chissà che avrebbe fatto Lubetzki'”. E il premio lo dedica proprio a ‘Chivo’, il suo direttore della fotografia che non ha potuto lavorare a Roma. Oscar numero due, miglior film straniero. “Sono cresciuto guardando film in lingua straniera, come Quinto Potere, Il Padrino, Lo squalo. Chabrol diceva che non ci sono New Wave, c’è solo l’oceano e queste nomination stasera confermano che facciamo tutti parte dello stesso oceano. Grazie al Messico per essere vento nelle mie vele”. Il regista messicano è stato introdotto da Angela Bassett e Javier Bardem che in spagnolo ha detto: “Non ci sono muri che possono contenere il talento”.
Oscar numero tre, miglior regista. A premiare Cuaròn è l’amico Guillermo del Toro, abbraccio lunghissimo tra i due: negli ultimi 6 anni, il massimo riconoscimento per la regia è stato vinto per 5 volte da registi messicani, lo stesso Cuaròn, Iñárritu e del Toro. “Ringrazio l’Academy per aver riconosciuto un film che parla di una donna indigena, una delle 17 mila collaboratrici domestiche senza diritti. Il nostro lavoro è mostrare quello che altrimenti non verrebbe notato”.