Sapete? Alla fine Pablo muore. È lo spoilerone della seconda (e non ultima, forse) stagione di Narcos, serie tv globale targata Netflix e una delle migliori in circolazione. Per una volta si può annunciare impunemente a tutti cosa succederà, perché, se qualcuno se lo fosse dimenticato, il colombiano Pablo Emilio Escobar Gaviria, “Re della cocaina”, uno dei più ricchi criminali della storia che ha tenuto in scacco un’intera nazione, è stato davvero ucciso dalla polizia il 2 dicembre 1993, 24 ore dopo avere compiuto 44 anni. A un certo punto, su un tetto, Pablo dovrà cadere colpito da diversi proiettili, tra cui uno mortale attraverso un orecchio – secondo alcuni un’esecuzione, secondo altri il suicidio di un uomo che aveva giurato di non farsi mai catturare vivo. Merito del successo di Narcos è anche nel carisma del suo attore protagonista, il brasiliano Wagner Moura, noto per essere stato l’incorruttibile e brutale Capitano Nascimento nei due controversi film Tropa de elite (2007 e 2010).
La seconda stagione di Narcos parte da dove eravamo rimasti: Escobar è appena scappato sotto il naso della polizia da La Catedral, la sua prigione/residenza di lusso. Se i primi 10 episodi di Narcos trattavano cronologicamente gran parte della vita di Pablo, la seconda stagione ha un ritmo più serrato: si concentra sugli ultimi mesi del narcotrafficante, la fuga disperata dal search bloc colombiano, alleato con DEA e CIA, e il timore per la sicurezza della sua amata famiglia. «Penso che la prima stagione di Narcos fosse più epica, perché copre circa 15 anni della vita di Escobar», mi racconta Moura da Rio de Janeiro, dove è tornato dopo le riprese della serie. «Dal giorno in cui Pablo vede la cocaina per la prima volta, fino all’attacco alla Catedral. La seconda stagione, invece, racconta solo gli ultimi 18 mesi. È molto più dinamica, più incentrata sui personaggi, ancora più drammatica. La figura di Pablo diventa vulnerabile, tutto il potere che ha conquistato nei decenni precedenti svanisce, e lo vediamo abbandonato da tutti, fino alla sua caduta», continua Moura.
è stata dura vivere per due anni con addosso il peso dell’anima di Pablo
Dentro il corpo di Escobar – ingrassato di 20 chili, maglioni kitsch, capello cotonato, baffoni caratteristici – Moura riesce nell’impresa di convogliare tutta la minaccia e l’orrore di un uomo responsabile della morte di migliaia di persone, che al tempo stesso è stato capace, in alcune documentate occasioni, di dimostrare una grande umanità, tanto da essere considerato un benefattore dalla popolazione della sua Medellín. Per Moura non dev’essere stato facile recitare dentro un corpo diverso. «Ho dovuto ingrassare di 20 chili», racconta Moura , «ma la cosa più difficile è stata non perdere peso tra una stagione e l’altra! Per evitarlo, ho dovuto rinunciare al Ju Jitsu, lo sport che pratico abitualmente. Poi, non è stata soltanto una questione di chili: è stata dura vivere per due anni con addosso il peso dell’anima di Pablo».
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