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L'Orso d'argento a Berlino per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, il biopic su Antonio Ligabue ora nelle (poche) sale, è solo l'ultima delle conferme del talento di Elio Germano. Un attore passato con spericolata partecipazione da personaggi realmente esistiti (vedi, anche, Giacomo Leopardi) a commedie d'autore (le incursioni nell'album di figurine di Virzì con N – Io e Napoleone e Tutta la vita davanti), ma anche produzioni fieramente pop (gli inizi coi Vanzina del Cielo in una stanza e il Veronesi di Che ne sarà di noi) e tentativi indie-sperimentali (compreso uno scandalo da riscoprire in questa classifica). Ecco il suo best of.
Pietro Pontechiavello (nome instant cult) è un pasticciere gay ossessionato dai fantasmi: che, però, gli salveranno la vita. Elio goes Ozpetek e convince, grazie anche alle deliziose vestaglie da camera che sfoggia nella casa stregata.
Il mite Elio travolto da uno scandalo a Venezia 2007. Colpa del fallo (finto) in erezione che gli "regala" il dibattutissimo Paolo Franchi. L'attore riesce a infondere la sua sensibilità anche a questo pastiche noir. Facendo dimenticare le protesi.
Non tutti lo ricordano nel film di Stefano Sollima che ha anticipato la serie Netflix. E invece, tra un Favino e un Borghi, c'è pure il suo timido organizzatore di eventi della capitale assai sventurato. Per il quale Elio tira fuori tutto il suo animo di borgataro.
Tra gli ultimi ruoli, il più sofferto e partecipato. Merito della mano di Amelio, che gli affida la parte del vicino di casa che nasconde un lato molto oscuro, anche se "salutava sempre". Sullo sfondo di una Napoli livida, in cui però è forse ancora possibile trovare un po' di umanità.
Il "militante" Elio trova, grazie a Vicari, l'occasione di affrontare uno dei suoi personaggi più politici. Ovvero il reporter della Gazzetta di Bologna che documenta i crimini e misfatti del G8 di Genova del 2001. Un ruolo di finzione (ma mutuato sul giornalista del Resto del Carlino Lorenzo Guadagnucci) a cui Germano offre tutta la sua sincera adesione.
Romanzo di formazione di due fratelli sullo sfondo della guerra di ideologie tra gli anni Sessanta e Settanta. Scamarcio è il belloccio comunista, Elio quello costantemente alla ricerca di una fede: prima religiosa, poi politica. Sempre ‘contro’, diventa fascista soprattutto per opposizione. L’anima del film di Luchetti è nei primissimi piani: pazzesco Germano, specchio dell’incertezza di un Paese.
Dopo Giacomo Leopardi (vedi il podio della classifica), il nostro si misura con un'altra figura imprendibile della cultura italiana: il pittore Antonio Ligabue, di cui ricalca le storture fisiche e psichiche con incredibile partecipazione. Meritatissimo Orso d'argento come migliore attore all'ultima Berlinale.
Foto: Chico De Luigi
Il film di Cupellini ha diviso i critici. Ma resta un mélo che alla (troppa) ambizione unisce una (autentica) passione. Proprio come il ritratto che fa Germano del suo antieroe romantico, villain per errore. Un film (e un ruolo) passato in sordina, da riscoprire.
Prima di Ligabue, c'era Leopardi. Elio mette a segno la sua prima interpretazione camaleontica, ingobbendosi per prestare volto, corpo e mente al poeta di Recanati, al suo desiderio di infinito e alla sensibilità erudita di Martone. Senza eccessivi teatralismi e con un pizzico di necessaria ironia.
Seconda collaborazione con Daniele Luchetti e primo grande (e meritatissimo) riconoscimento internazionale per Elio: Prix d'interprétation masculine a Cannes a pari merito con un altro trasformista, Javier Bardem. L'ultimo italiano a vincerlo era stato Mastroianni, per dire. Germano interpreta un operaio edile che resta vedovo e capisce che i soldi non sono tutto nella vita. Tra Ken Loach e Verga.
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