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«Più invecchi, meno t’importa di quello che gli altri pensano di te». Dopo i 50 (!), Winona Ryder ha imparato a fregarsene. Forse è anche merito di Stranger Things, la serie-cult che ha rilanciato la sua carriera rimasta al palo per le note turbolenze di inizio 2000. Ma sono gli anni ’90 quelli che continuano a definirla come volto ineguagliato (nonché instant star) del cinema contemporaneo. Ecco la sua magnifica decina.
Ryder si cimenta con il thriller, basato sul racconto Twenty Minutes di James Salter, nei panni di una ragazza che viene ritrovata priva di sensi e portata da un adolescente in un dormitorio scolastico maschile. Tra i due ovviamente inizia una storia tribolatissima. Non certo uno dei suoi film migliori, ma bastano gli occhioni spalancati di Winona e la sensualità appena accennata per farcela amare. Sempre.
Quando tutti la davano definitivamente per persa, dopo anche lo scandalo (pruriginosissimo per i media) della cleptomania e la cattiva fama che si era guadagnata, Winona è risorta. E non con un titolo a caso, ma con la serie-fenomeno di Netflix che in pochi anni è diventata un pezzo di cultura pop. Il suo personaggio, Joyce Byers, è una madre disperata incastrata tra l’adolescenza dei figli e i fenomeni soprannaturali di Hawkins (non si sa cosa faccia più paura). Memorabili soprattutto i suoi duetti con lo sceriffo Hopper di David Harbour. Iconic.
If You Wanna Be Happy, recita la canzone che ballano le tre protagoniste nel finale (in cucina) di uno dei cult al femminile ancora oggi più amati di sempre. Tre generazioni di donne (e di attrici) a confronto: la superstar Cher, la bimba prodigio Christina Ricci e l’ormai consacrata diva teen Winona. Semplicemente memorabile, nei panni della ragazzina schiacciata dalla debordante mammà e con la fregola di diventare suora. Unforgettable.
Il film che volle, fortissimamente volle (tanto da produrlo in prima persona) non solo non le fece ottenere la terza candidatura all’Oscar che forse avrebbe sperato: si vide addirittura soffiare il premio sotto il naso dalla “non protagonista” (e all’epoca molto meno nota di lei) Angelina Jolie, in una serata che ha fatto la storia delle “frenemies” di Hollywood. Il risultato è meno memorabile delle premesse, ma ha fatto comunque epoca. Ed è l’ultimo vero successo di Winona prima della deriva cleptomane. A suo modo, un classico.
Dopo due film che nessuno ricorda (Lucas e Square Dance, questi sconosciuti), arriva il vero titolo che lancia Winona nel firmamento di Hollywood. E che la definisce subito come eroina dark, perfetta per il passaggio dai pop 80s ai grunge 90s. Tutto merito di Tim Burton, che – prima di richiamarla per Edward mani di forbice (vedi più avanti) – le assegna la parte di una sorta di Mercoledì Addams (ma più tenera) alle prese con il fantasmino birichino Michael Keaton. A star is born.
Prima che l’adattamento di Greta Gerwig consacrasse Saoirse Ronan a Jo March delle nuove generazioni, la storia del cinema ne ricordava davvero solo una: quella interpretata da Winona nel 1994. E infatti la performance si è tradotta nella sua seconda nomination all'Oscar consecutiva dopo L’età dell’innocenza. Riuscitissima anche l’accoppiata con il Laurie di Christian Bale. Ma è Ryder che brilla di joie de vivre.
Nei primi anni ’90, quando il curriculum della nostra era affollato di grandissimi autori, tra il Jarmusch di Taxisti di notte e lo Scorsese dell’Età dell’innocenza si piazza Francis Ford Coppola. Che consacra Winona a più gotica delle eroine nel più gotico degli affreschi: la storia del re dei vampiri. Mina Murray Parker (turned Elisabeta), abbigliata con mise di eleganza sopraffina, è costretta a scegliere tra il monumentale conte Gary Oldman e il timido avvocato Keanu Reeves. Mica facile.
La rom-com cult che consacra Winona a fidanzatina d’America sì, ma realissima, in bilico tra vita privata e ambizioni di carriera. Al fianco di (un fighissimo) Ethan Hawke e diretta da Ben Stiller, Ryder piazza nel suo curriculum non soltanto un film generazionale, ma anche sequenze epocali. Tipo la scena in cui canta e balla My Sharona dentro un supermercato.
Il ruolo – ancora rigorosamente in corsetto – che vale come vera prova di maturità. Nelle mani di Martin Scorsese, Winona è il terzo lato del triangolo bellissimo e caldissimo composto da Daniel Day-Lewis e Michelle Pfeiffer. E, in un capolavoro che resta ancora oggi ingiustamente sottovalutato, sfodera il mix che le riesce meglio, definendolo al meglio: vulnerabilità e carisma, sempre insieme. Nomination come miglior attrice non protagonista: avrebbe meritato la statuetta, vinse Anna Paquin. Vabbè.
Certamente Edward Mani di Forbice appartiene più a Johnny Depp che che a Winona Ryder. Ma l’attrice è il nucleo emotivo della storia, perché è proprio attraverso la sua Kim che vediamo l'umanità nel protagonista incompreso in cui Tim Burton si rispecchia. E che, grazie a lei, trova la luce. Winona è sempre perfetta nella parte dell’adorabile outsider, aggiungeteci che questo è l’unico film che Winona e Johnny hanno girato da fidanzati, e il romance gotico più epico degli ultimi 30 anni è servito. Con tanto di tatuaggio (poi modificato) a suggellarlo: “Wino(na) Forever”.
Foto: 20th Century-Fox/Getty Images
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