David Bowie ha lasciato uno dei cataloghi più bizzarri che il mondo della musica abbia mai visto. Durante i suoi 50 anni di carriera, ha continuato a sperimentare e provare nuovi stili musicali, fino alla fine. Il Thin White Duke ha realizzato capolavori e pasticci, inni audaci e gloriosi disastri, successi pop e classici incendiari, espandendo costantemente il linguaggio musicale ed emotivo (per non dire sessuale) del rock & roll. Puoi passare decenni a esplorare il canzoniere di David Bowie e trovare ancora tesori nascosti. Ecco una mappa del mondo musicale che Bowie ha creato e lasciato alle spalle per noi.
1. “Hunky Dory” (1971)
Pianeta Terra, incontra David Bowie. O almeno, uno dei David, visto che già nel 1971, l’ex David Jones aveva già sperimentato alcuni travestimenti pop, fingendosi un hippie dai toni folk o un ragazzino mod londinese. Ha centrato una hit di sucesso parecchio innovativa, nell’estate del 1969, con Space Oddity. Ma Hunky Dory è stato l’album con cui ha rivendicato il suo ruolo di ego più “alterato” del rock & roll. Bowie canta ballate surreali come Life on Mars e Quicksand come una regina del teatro cosmico. Ruba anche i lampi di chitarra dei Velvet Underground in Queen Bitch. Guidato da Rick Wakeman al piano e Mick Ronson alla chitarra, Hunky Dory è stato un successo che quasi nessuno aveva notato all’inizio. Bowie era così lontano che è servito un po’ di tempo per raggiungerlo.
2. “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars” (1972)
Bowie si stancò di aspettare che il mondo lo dipingesse come una rockstar. Quindi decise di fare da sè, interpretando il ruolo di un messia glam dai capelli rossi proveniente dallo spazio di nome Ziggy. Come disse a Cameron Crowe di Rolling Stone, “Fondamentalmente, ho scritto una sceneggiatura e l’ho interpretata come Ziggy Stardust, sul palco e sul disco”. Questo concept album lo fece finalmente esplodere nella sua terra natia, dove la sua sessualità esuberante nell’esibizione televisiva di Starman mandò in tilt le menti dei teenager di tutta la Britannia. Il mondo del rock non aveva mai visto un personaggio così stravagante, sia quando cantava di sesso bollente (Suffragette City) o di un’alienazione morbosa (Five Years) o di entrambi (Moonage Daydream). “Sono l’ultima persona a fingere di essere una radio. Preferirei trasformarmi in un televisore a colori”, annunciò.
3. “Station to Station” (1976)
Come tutte le rock star degli anni ’70, Bowie fu costretto a ritirarsi a Los Angeles e passare un anno o due a faccia in giù in un’insalatiera di neve. Eppure, a differenza della maggior parte degli altri, riuscì a fare un grande album. Station to Station ha la sua parte più epica nella canzone del titolo, un groove oscuro di funk robotico lungo 10 minuti. Bowie viveva di latte e peperoni crudi, rimanendo sveglio per giorni interi nella sua villa. Come ha ricordato, “tutta la mia vita si è trasformata in un bizzarro mondo fantasy nichilistico”. TVC15 mette in mostra le chitarre di Earl Slick e Carlos Alomar insieme al pianoforte di Roy Bittan della E Street Band. Per il finale, Wild Is the Wind, ruba un tema cinematografico degli anni ’50 di Nina Simone e riesce a renderlo suo. Bowie ha confessato che a stento ricordava di aver fatto Station to Station. Ma forse è stata proprio quella la sua fortuna.
4. “Blackstar” (2016)
All’improvviso, Bowie annunciò che avrebbe pubblicato Blackstar nel giorno del suo 69esimo compleanno. Da subito, venne indicato come una delle sue più potenti affermazioni musicali, estendendosi a meditazioni jazzate come Lazarus e Blackstari, prendendo ispirazione da Kendrick Lamar e D’Angelo. Ma solo due giorni dopo, il mondo fu scioccato nell’apprendere che Bowie teneva nascosto un altro grande segreto. La sua morte ha trasformato Blackstar nel suo addio doloroso e sofferente, dove affronta la mortalità con l’agrodolce I Can’t Give Everything Away. Un innovatore fino alla fine.