Le serie originali di Amazon Prime Video sono meglio di quelle di Netflix? Giudicate voi, pescando da questa lunga lista. Ah, sulla piattaforma potete vedere, tra le altre cose, anche Americans Gods e Preacher, che non trovate in classifica perché non sono original. Ma sono comunque una figata.
20. One Mississippi
Vedi alla voce: one-woman-show. La standupper Tig Notaro si confeziona una serie “custom made” creata e scritta con Diablo Cody. Basterebbe questo, invece si aggiunge anche un sensibile viaggio interiore su malattia e mortalità. Quasi un After Life di Ricky Gervais, in versione femminile e USA.
19. Made in Italy
La nascita della moda milanese a fine anni ’70. Basta come pitch? Hai voglia. Il risultato è un prodotto che fa il giro su se stesso così tante volte da diventare – per la famigerata bolla – un cult. Tra fiction generalista e tentativo di storytelling nuovo, tra pagina di Wikipedia e comedy al femminile, la storia della simil-Franca Sozzani (l’unica differenza è che è mora e proletaria) nel simil-Vogue (ribattezzato Appeal) funziona. Apparizioni al limite del trash (Giorgio Armani/Raoul Bova, Krizia/Stefania Rocca, Rosita Missoni/Claudia Pandolfi), cammei incredibili (una giovane Miuccia Prada al centro sociale) e, sorpresa, una monumentale non protagonista: Fiammetta Cicogna, redattrice peperina.
18. The Expanse
Ufficialmente è definita “space opera”. La serie sci-fi di punta di Prime Video, sviluppata da Mark Fergus e Hawk Ostby sulla base della saga letteraria di James S.A. Corey, è un viaggio in un futuro non così lontano. Dove la (geo)politica è ancora al centro di uno scacchiere, semplicemente, più “espanso”. Un “originale” Amazon dalle ultime due stagioni: che forse, però, sono le migliori.
17. Tom Clancy’s Jack Ryan
For fans only. Di Tom Clancy, che – dicono i puristi – non è mai stato adattato così bene. E di John Krasinski, che, nel title role, non fa rimpiangere il vecchio Harrison Ford (Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo) ed è più credibile dei recenti Ben Affleck (Al vertice della tensione) e Chris Pine (Jack Ryan – L’iniziazione). Firma Carlton Cuse, già produttore e sceneggiatore di Lost dopo la dipartita di J.J. Abrams. Vi deve piacere questa roba qua. Ma, tra le serie spy, è la migliore degli ultimi anni.
16. The Man in the High Castle
I Nazisti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e le potenze dell’Asse hanno occupato gli Stati Uniti: Philip K. Dick lo aveva immaginato in un romanzo di culto del 1962 e Ridley Scott e Frank Spotnitz (quello di X-Files) lo raccontano magnificamente in tv da quattro stagioni, portando sullo schermo un’America degli anni ’60 distopica ma inquietantemente normale. Una sorta di gioco alla “cosa succederebbe se…” che costringe a mettere in discussione la propria moralità: Cos’è la realtà? Che cosa significa essere umani? E, se vivi in un mondo disumano, come ti aggrappi alla tua umanità?
15. Forever
Non l’ha visto praticamente nessuno: ed è un errore. Tra le commedie prodotte da Prime Video, è la più pazza e inclassificabile. Protagonisti sono Maya Rudolph e Fred Armisen, alias una coppia
che ha perso lo slancio. Lo ritroverà (forse) lontano dai confini di casa. Molto lontano. Incredibilmente lontano. Insomma: non vi diciamo dove, perché quella è la sorpresa. Tra fantasy e
meaning of life. E c’è pure l’ultra-stacanovista Catherine Keener, sigillo di qualità.
14. Goliath
Billy Bob Thornton mattatore assoluto di uno dei legal drama più sottovalutati dell’ultimo decennio. Nonostante dietro ci sia David E. Kelley, già sceneggiatore del caposaldo avvocatizio Ally McBeal e poi showrunner di titoli acclamatissimi come Big Little Lies. Billy e Billy, ex principe del foro ovviamente in rovina, piccolo Davide che deve vedersela col Golia della giustizia.
13. Crisis in Six Scenes
Il miglior Woody di sempre? No. Ma Woody è Woody. E, alla prova con la serialità, non fallisce. Prendendosi il ruolo del medio-borghese anni ’60 alle prese con la contestazione (il che fa già
molto ridere). E lasciando la scena a due donne scatenate: la veterana Elaine May, nei panni di sua moglie, e Miley Cyrus, da Hannah Montana a ribelle sessantottina. C’è pure, in un piccolo ruolo da ragazza bon-ton, la Rachel Brosnahan futura Mrs. Maisel. Ne esce una quasi-screwball veloce e assai pimpante. E non è poco.
12. Transparent
Uno dei titoli che hanno rivoluzionato la narrazione della diversity sul piccolo schermo: quello di Jill Soloway è uno show capace di anticipare il dibattito sul gender e pure il gossip (leggi: Caitlyn Jenner). Con un gigantesco Jeffrey Tambor trans-papà non immune dall’attualità: pure lui è finito nella gogna MeToo. Peccato solo che la famiglia disfunzionale lo diventi ancora di più col passare delle stagioni: dopo le prime due, qualcosa si perde.
11. Modern Love
Modern Love è il titolo della rubrica del New York Times, la bibbia delle relazioni per chi vive nella Grande Mela. John Carney (quello di Once, Sing Street e Tutto può cambiare) ne ha fatto una serie tv sullo sfondo della Manhattan da rom-com di Woody Allen. Tra una grandiosa colonna sonora jazz, case da sogno (anche se i personaggi lavorano nel mondo dell’editoria) e Anne Hathaway che canta e balla in un numero musicale alla La La Land, Modern Love è imperfetta, sì, ma tocca tutte le corde giuste.
10. Homecoming
La prima serie tv con Julia Roberts è un mistero quasi impossibile da discutere senza rovinare la suspense. Il suo personaggio è l’assistente sociale di una struttura che ha il compito di aiutare i soldati di ritorno dalla guerra a reinserirsi nella vita civile. Anni dopo la ritroviamo a fare la cameriera in una tavola calda, poco propensa a rispondere alle domande di un uomo del dipartimento della Difesa su quello che accadeva nel centro. Basato sul podcast di Eli Horowitz e Micah Bloomberg, Homecoming è un enigma psicologico moderno, con la trama vecchio stile dei conspiracy thriller. E nella traduzione visiva di Sam Esmail (il creatore di Mr. Robot) acquisisce ancor più eleganza e inquietudine, recuperando i linguaggio dei maestri del genere: Hitchcock, De Palma, Pakula.
9. The Romanoffs
Le serie antologiche, questo territorio sconosciuto. Fino a poco tempo fa. The Romanoffs porta il genere a una consapevole compiutezza. Otto mini-film tutti diversi, accomunati da un filo rosso: in ogni storia c’entrano i discendenti (o sedicenti tali) della dinastia di zar. Sulla carta un’operazione spericolata, ma Matthew Weiner (quello di Mad Men) ne fa una follia d’autore che seduce. I nostri episodi preferiti? Expectation (il quarto, con Amanda Peet) e End of the Line (il settimo, con Kathryn Hahn).
8. Hunters
Hunters non è influenzato da Quentin, come scrivono in molti. Semplicemente, non esisterebbe senza Bastardi senza gloria. Nell’idea, nel tono über-pulp, persino nella grammatica. Il revenge show contro il suprematismo bianco è l’ultima hit della piattaforma. Capace di dividere le platee con le sue scelte etiche ed estetiche radicali. Il “bastardo con gloria” Al Pacino lavora (incredibilmente) di sottrazione, Logan Lerman gli fa da giovane e degnissima spalla.
7. The Boys
In un mondo in cui i supereroi sono sporchi e cattivi, e la loro popolarità è monetizzata da una multinazionale che ne insabbia devianze sessuali e terribili segreti, un ex soldato inglese mette insieme un gruppo di vigilantes per combatterli. Basata sul fumetto cult di Garth Ennis, The Boys non ha paura di superare alcuni limiti e di sguazzarci dentro. Per aumentare l’effetto dark-ironico ovviamente i personaggi ricordano i vari character DC e Marvel, ma con storture e fissazioni: Abisso (l’ex star di Gossip Girl Chace Crawford) sembra un mix tra Aquaman e Harvey Weinstein, mentre il Patriota è una versione riveduta e (s)corretta di Captain America.
6. Mozart in the Jungle
Con Mozart in the Jungle, Roman Coppola, figlio di Frances Ford, e il cugino Jason Schwartzman sono riusciti a rendere rock un universo che, alla maggior parte delle persone, sa di naftalina come le pellicce delle sciure. Ma che in realtà irriverente lo è fino al midollo: della serie “sesso, droga e Beethoven”. Mozart in the Jungle segue le avventure musicali e metropolitane di Rodrigo De Souza, enfant prodige (e terrible) della scena classica, di Hailey Rutledge, giovane oboista che cerca di costruirsi una carriera, e di tutti i folkloristici componenti dell’Orchestra Filarmonica di New York. Una dramedy pennellata a meraviglia, deliziosamente armonica, intima e divertente sugli artisti e la loro passione per la musica e per la vita. L’energia e il fascino folle e insieme tenero di Gael Garcìa Bernal (che ha vinto il Golden Globe per questo ruolo) sono la chiave dello show:il suo Rodrigo, direttore d’orchestra che parla con Mozart, è una rockstar. Ah, nel cast ci sono anche Bernadette Peters, una delle preferite di Broadway, e Malcolm McDowell (l’Alex DeLarge di Arancia Meccanica), che vedere scatenato sullo schermo è sempre uno spettacolo.
5. Good Omens
Neil Gaiman, uno dei più grandi scrittori post-moderni, ha adattato il cult che aveva scritto nel 1990 insieme al re del fantasy umoristico, Terry Prachett. Ha chiesto a due fuoriclasse, Michael Sheen e David Tennant, di interpretare rispettivamente l’angelo Aziraphale e il demone Crowley, due creature soprannaturali che vivono sulla Terra da anni e che decidono di collaborare per fermare l’Apocalisse ormai imminente. La bromance e i duetti comici tra Sheen e Tennant sono irresistibili, così come l’ironia british alla Monty Python di cui il romanzo è intriso. Ci aveva già provato Terry Gilliam a portare Good Omens sullo schermo, ma siamo contenti che l’abbia fatto Mr. Gaiman in persona, perché la serie è fedelissima al libro e all’ironia di Prachett. Aggiungeteci un personaggio creato appositamente per la serie tv, l’arcangelo Gabriele (Jon Hamm, il Don Draper di Mad Men), Frances McDormand che presta la voce a Dio e Benedict Cumberbatch a Satana. Sì, la fine del mondo è una figata.
4. Undone
Dai creatori di BoJack Horseman, un murder mystery cosmico? L’origin story di una nuova anti eroina? O una meditazione sulla perdita, sul trauma e sulla malattia mentale? Probabilmente tutte queste cose insieme. Undone è una sorta di Fleabag sci-fi, un Russian Doll realizzato con la tecnica del rotoscoping (che in pratica consiste nel ricalcare e colorare immagini reali, la stessa usata da Linklater per A Scanner Darkly) per manipolare la realtà e rendere attraverso gli elementi visivi la fluidità dei viaggi spazi-temporali. Ah, il padre della protagonista è Mr. Saul Goodmanm, Bob Odenkirk.
3. The Terror
Lo squilibrio ambientale, la paura dell’ignoto, l’ego maschile, l’arroganza occidentale, gli ufficiali privilegiati e il potere assoluto che esercitano sulle povere reclute: la prima stagione di The Terror è incentrata sul pericolosissimo viaggio dell’equipaggio della Royal Navy in territori inesplorati mentre tenta di scoprire il Passaggio a Nord-Ovest. Le condizioni sono disumane, la speranza ormai inesistente. La seconda stagione, Infamy, invece esplora gli orrori (reali e soprannaturali) dei campi di concentramento in cui furono internati i giapponesi-americani in seguito alla paranoia crescente contro la comunità del Sol Levante durante la Seconda Guerra Mondiale. Che siate appassionati di horror o di storia, The Terror è scritta benissimo ed evita le insidie più comuni del genere: il primo buon esempio televisivo di survival horror.
2. The Marvelous Mrs. Maisel
Dopo Una mamma per amica, Nostra Signora delle serie tv Amy Sherman-Palladino è tornata con un altro strepitoso personaggio che parla a raffica come Lorelai Gilmore: Miriam “Midge” Maisel (Rachel Brosnanan), giovane moglie e madre di buona famiglia ebrea, che nella New York di fine anni ’50 viene lasciata dal marito e scopre di avere un grande talento per la stand-up comedy. Proprio così, una donna nell’Upper West Side a metà del Novecento, quando tutti pensano che non si possa essere belle e divertenti allo stesso tempo, è esilarante. Ci sono i dialoghi rapidi e i master long shot (le inquadrature larghissime, dove tutti gli interpreti sono in scena allo stesso momento), marchio di fabbrica della creatrice. E vi sembrerà di essere nel bel mezzo di uno spettacolo a Broadway o di un grandioso musical della Metro-Goldwyn-Mayer. Una meraviglia dalla carica dirompente, che si è già portata a casa Golden Globe ed Emmy in quantità. Come direbbero Midge e la sua manager Susie (Alex Borstein): “Tits up!”.
1. Fleabag
Phoebe Waller-Bridge racconta le nevrosi e i casini delle trentenni di oggi come nessuna prima e in modo molto meno presuntuoso della Lena Dunham di Girls. Intelligente e ferocemente divertente, Fleabag è un piccolo miracolo, una commedia commovente e selvaggia su una giovane donna complicata che cerca di superare un trauma, un ammiccamento alla telecamera per volta. Dopo questa serie e l’adattamento di Killing Eve ormai è diventato chiaro che ogni cosa che Phoebe tocca si trasforma in oro. Centellinate gli episodi, perché Fleabag ha solo due stagioni. E non ne avrete mai abbastanza.