20. Little Drummer Girl
Tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carré, Little Drummer Girl è ambientata nel 1979, e racconta la storia di un’attrice ingaggiata dai servizi segreti israeliani per una missione sotto copertura, al fine di fermare una cellula terroristica. Una appassionante spy story che si avvale di un cast eccellente, ma soprattutto della visionarietà del suo regista, Park Chan-Wook.
19. Better Call Saul
Semplicemente, il miglior studio di personaggio della tv attuale, uno show che fa della lentezza il suo punto di forza, perché lo spettatore (motivato) sa che ogni dettaglio, ogni gesto, ogni inquadratura, come già succedeva in Breaking Bad, può diventare un indizio per capire qualche sfumatura in più in futuro. Better Call Saul, anche grazie all’interpretazione dei suoi interpreti, Bob Odenkirk e Jonathan Banks su tutti, come nella migliore narrativa lavora per sottrazione, e suggerisce invece di spiegare. Non esiste oggi un prodotto televisivo che si fida così tanto dei suoi spettatori, come questo. Senza però mai abusare di questa fiducia (ciao, Westworld!).
18. The Terror
The Terror, tratto dall’omonimo romanzo di Dan Simmons, racconta la storia della spedizione scientifica guidata da Sir John Franklin, che nel 1845 partì dall’Inghilterra a bordo di due navi all’avanguardia per la loro epoca, l’Erebus e il Terror, in cerca del mitico passaggio a Nordovest dall’Atlantico al Pacifico. Dei 129 uomini a bordo, compreso Franklin, non tornò indietro nessuno. Con una premessa così è difficile fare male. Dettagli importanti: produce, tra gli altri, Ridley Scott. E sì, a un certo punto arriva un mostro. Potete stare tranquilli.
17. Glow
Il bello di GLOW è che, oltre al cuore grande delle comedy sui disadattati degli anni ’80, alla divertita e divertentissima eccentricità, all’estetica appariscente e alla colonna sonora synth-heavy, c’è di più. GLOW è consapevole delle sue stesse contraddizioni, messe in scena apposta per trafiggere il sessismo e i pregiudizi. Sotto ai dialoghi vivaci, ai costumi sintetici e ai capelli cotonati ha molto in comune con The Handmaid’s Tale: il contesto di genere (anche se diversissimo), lo spettacolo sul corpo femminile, l’empowerment. Tutta roba che oggi scotta più che mai. La seconda stagione continua ad essere intelligente e sovversiva. Sempre sotto il luccichio dei glitter, ovviamente.
16. Homecoming
Basato sul podcast di Eli Horowitz e Micah Bloomberg, Homecoming è un enigma psicologico moderno, con la trama vecchio stile dei conspiracy thriller. Nella traduzione visiva di Sam Esmail acquisisce ancor più eleganza e inquietudine. Il creatore di Mr. Robot torna ai maestri del genere – Hitchcock, De Palma, Pakula –, recuperandone il linguaggio e usando i suoi caratteristici campi lunghissimi e le inquadrature decentrate per aumentare l’effetto di disagio. La prima serie tv con Julia Roberts è un mistero quasi impossibile da discutere senza rovinare la suspense. Miss Sorriso è la reginetta indiscussa di Homecoming, ma non è l’unico motivo per rimanere ipnotizzati. Anche perché qui da sorridere c’è ben poco.
15. Killing Eve
Phoebe Waller-Bridge e Sandra Oh sono tornate. La creatrice di Fleabag alla scrittura e l’attrice nei panni di Eve, una dei tanti profiler dell’MI5, unità di intelligence sotto la corona britannica. Villanelle, invece, è una spietata killer prezzolata che commette omicidi in tutta Europa. Quando la prima viene incaricata della ricerca e cattura dell’altra, fra le due partirà una sfida che ammette un’unica vincitrice… Killing Eve è una serie che stupisce per la freschezza che dimostra nel dipanare la trama, in una brillante miscela di thriller e humour che caratterizza in maniera assai distintiva un prodotto che rischiava di assomigliare a mille altri.
14. The Deuce
David Simon, uno degli autori più influenti del piccolo schermo, torna con la seconda stagione della sua serie-fotografia di una New York decadente, sofferente, ma in pieno fermento. Come già nei suoi precedenti capolavori (The Wire, Treme), il suo occhio dipinge un quadro corale ficcante, mai moralista. Quasi uno studio osservazionale, impreziosito da un cast in stato di grazia: da James Franco a Maggie Gyllenhaal.
13. Maniac
Che cos’è reale? Cosa invece non lo è? Può la mente invertire queste due categorie fino a confonderle l’una con l’altra, rendendo indistinguibile la realtà dall’immaginazione? Da queste domande si snoda l’intreccio di Maniac, uno degli ultimi gioielli prodotto da Netflix. Un racconto che si svolge a spirale, come una matrioska che scava nelle menti dei protagonisti – immensi Emma Stone e Jonah Hill – senza quasi mai uscirne. Ambientazione e fotografia fanno il resto, giocando su un filo assurdo che collega idealmente Blade Runner a Roy Lichtenstein, per uno dei prodotti più interessanti della stagione.
12. Handmaid’s Tale
Alla sua seconda stagione, la distopia sessista del romanzo di Margaret Atwood è ancora più dark, talmente inimmaginabile e allo stesso tempo credibile da farvi sentire scomodissimi sul divano di casa, anche senza la trama della scrittrice a guidarla. Non sembrava necessariamente che la serie chiedesse, o addirittura permettesse, un altro capitolo, ma è quasi come se quello che stiamo vivendo reclamasse di più. Più di questa storia, di June e del suo mondo, dove le pochissime donne fertili rimaste sono diventate uteri che camminano per i comandanti del regime e le loro mogli sterili. The Handmaid’s Tale deve continuare, perché ci sbatte in faccia i pericoli dell’estremismo, nel caso non avessimo ancora imparato niente dalla Storia, quella vera.
11. The Marvelous Mrs. Maisel
La stand up comedy è la migliore amica di una ragazza, soprattutto se la ragazza in questione è la rampolla di una famiglia ebrea dell’Upper West Side a fine anni ’50, che scopre di avere un talento in un periodo storico in cui tutti pensano che le donne non facciano ridere, a maggior ragione se sono belle. Amy Sherman-Palladino torna con i suoi dialoghi rapidissimi, che la protagonista Rachel Brosnahan fa suoi con una naturalezza disarmante da due stagioni. Tra la colonna sonora e i master long shot vi sembrerà di essere nel bel mezzo di un musical della Metro-Goldwyn-Mayer. Semplicemente una delle cose più strepitose viste in tv quest’anno.
10. Narcos: Messico
Le avventure dell’americano Kiki Camarena spedito a Guadalajara per conto della DEA tengono incollati allo schermo, anche se si sente la mancanza di Escobar (che appare, però, piccolo spoiler). Ma la violenza, la tensione e la bravura degli attori protagonisti – e non, segnatevi Tenoch Huerta – regalano grandi emozioni. Ma nessun lieto fine.
9. La casa di carta
Talvolta ripetitiva, altre volte ingenua, eppure La casa di carta è stata la serie più discussa dell’anno, tanto da diventare la vera rivelazione dell’ultima stagione. La trama non aggiunge nulla di nuovo al classico format heist, ma lo sviluppo del racconto lascia incollati allo schermo per tutti gli episodi della serie spagnola. Una rapina studiata nei minimi dettagli dall’enigmatico Professore, un gruppo di reietti pronti a rischiare tutto e una sceneggiatura intensa, testarda anche nei momenti di empasse, fanno della Casa di carta un prodotto estremamente godibile e mai noioso, e che importa se qualche volte zoppica un po’, alla fine l’abbiamo vista tutti.
8. The Kominsky Method
Michael Douglas, Alan Arkin e Chuck Lorre, sono un trio delle meraviglie che farebbe grande qualsiasi serie e The Kominsky Method rispetta pienamente le aspettative. Una comedy come non si vedeva da tempo, davvero esilarante, arricchita da un umorismo brillante. La vecchia Hollywood e il contrasto generazionale, la paura della morte, l’amore e l’amicizia nella terza età, dove a tenere uniti è la memoria come i rispettivi problemi alla prostata.
7. Escape at Dannemora
Due condannati all’ergastolo riescono a evadere da una prigione di massima sicurezza, con l’aiuto di una sarta sedotta e abbandonata.Il fattaccio, clamoroso, è accaduto davvero nell’Upstate di New York nel 2015. Ma questa non è un’altra prison-break story, è la migliore versione possibile di una realtà più selvaggia della finzione che, drammatizzata, trascende la cronaca per diventare una vera e propria esperienza, con la puzza di disperazione, lo squallore insopportabile dappertutto. Ben Stiller è un regista raffinatissimo e il triangolo Patricia Arquette/Paul Dano/Benicio Del Toro fa scintille.
6. Patrick Melrose
Benedict Cumberbatch è sempre stato attratto da ruoli cerebrali – Sherlock Holmes, Doctor Strange, Alan Turing – e ha dichiarato che nella sua lista c’erano due ruoli irrinunciabili: Amleto e Patrick. Senza dubbio questo è il suo one man show, è nato per essere Melrose. Ma poteva diventare l’esercizio di stile di un grande attore. Invece Cumberbatch lo trasforma in un viaggio esistenziale, una meditazione sul diventare la migliore versione di se stessi – anche se hai avuto un’infanzia di merda e ti sei fatto di qualunque droga esistente.
5. The End of the F***ng World
The End of the F***ing World racconta l’Inghilterra degli emarginati, dei sofferenti, degli esclusi, avulsa da immagini patinate e riletture mondane, e rapisce da subito. A James e Alyssa vuoi bene, stai dalla loro parte, tutto il resto non conta. Sono vittime che si ribellano, e dentro questo mondo merdaiolo e fanculistico trovano perfino il tempo di innamorarsi, ed è una storia d’amore di quelle belle, di quelle che si portano fino in fondo, di cui si ha cura, che poi tocca piangere, molto di più del minimo sindacale.
4. The Americans
Giunta ormai al traguardo, The Americans è un prodotto di rara bellezza, una bellezza quasi classica, che spicca nel panorama seriale di oggi incredibilmente variopinto, eclettico, ma molto scostante. Quella di The Americans è una vittoria sulla lunga distanza: il merito va agli sceneggiatori che, all’interno di una spy story pura, hanno saputo innestare in maniera sofisticata un discorso complesso e dettagliato sul matrimonio, la famiglia e la fiducia. Con uno dei migliori finali di sempre.
3. Pose
Ryan Murphy usa la New York degli anni ’80 come origin story dell’America di Trump. Ma tycoon e soci servono quasi più da contesto: al centro c’è la scena chiassosa e luccicante dei drag ball, quella che è arrivata al grande pubblico grazie a Vogue di Madonna e al documentario Paris Is Burning. Attraverso sfide competitive questi “guerrieri” della passerella gay e transgender – neri e ispanici – rivendicano gli spazi da cui la società maschilista e bianca li ha esclusi. Pose è la serie più sfavillante e sessualmente vivace che Murphy abbia creato finora, eppure è anche la più sobria e riflessiva, nel modo in cui decide di proteggere i protagonisti, privilegiando un approccio senza filtri.
2. Hill House
Adattamento televisivo di uno dei romanzi fondamentali dell’horror – L’incubo di Hill House di Shirley Jackson -, Hill House è una saga familiare ambientata in una casa infestata e raccontata su più piani temporali. La storia della famiglia Crain è attraversata da orrori sottili – la droga, la solitudine, il senso di sconfitta di un padre che non sa proteggere i suoi figli – e vi terrà incollati allo schermo episodio dopo episodio, fino a un finale aperto grandioso.
1. Sharp Objects
Jean-Marc Vallée dipinge l’ansia provinciale come nessun altro. Dopo il capolavoro Big Little Lies, firma la regia di una miniserie di lusso, una storia drammatica della periferia americana. Amy Adams è protagonista di una vicenda da brivido, tra alcol e autolesionismo, drammi famigliari e omicidi. Otto puntate che non lasciano scampo, anche per il cast notevole di supporto, tra cui Patricia Clarkson e la 19enne Eliza Scanlen. E una grande protagonista, la città di Wind Gap, dove i drammi vengono aizzati dalla noia asfissiante della provincia del Missouri. Da guardare e riguardare, oltre i titoli di coda.