È il 30 agosto 2009 e Milano è investita dal consueto bagno turco di fine estate, specchio dell’incendio cantato da Smoke On The Water, che proprio in quel momento Ian Gillan e soci, chiamati a colmare un vuoto improvviso in mezzo all’oceano funebre degli I-Days, stanno performando sul palco.
Però quel giorno ad assistere alla tappa del tour “Rapture of the Deep”, il più mastodontico nella carriera pluridecennale dei Deep Purple, c’è un esercito muto di caschetti mods, basettoni e maglie del ManCity, accorsi da tutta Italia all’Arena Fiera di Rho per quello che doveva essere l’ultimo concerto degli Oasis prima della pausa di cinque anni chiamata dal leader della band, il fratello maggiore Noel, già proiettato verso il lavoro solista. Un rendez vous imperdibile, quindi, se non fosse che a quell’appuntamento si presentarono i Deep Purple, sostituti imbarazzati di una band con cui non avevano nulla a che fare, e che si era suicidata appena 48 ore prima. La supernova Oasis, infatti, era implosa – questa volta definitivamente – nei camerini del Rock en Seine di Parigi la sera del 28, dopo l’ennesimo scazzo tra Liam e Noel Gallagher.
Valanghe di insulti covati fin dalla cameretta condivisa a Longsight, una chitarra distrutta e la sindrome di Caino che sorpassava il punto di ebollizione, logica inevitabile di una storia che di logico non ha mai avuto nulla, trascorsa sulle montagne russe come un continuo rimbalzare dal trionfo all’autodistruzione.
Sembrava uno scherzo del destino, dove l’inizio coincide con il dramma: il sipario calava sulla band il giorno prima del 15esimo anniversario di Definetly Maybe, album con cui due underdog rubati alle officine di Manchester azzannarono il mondo con una manciata di accordi e una cafonaggine uligana che sembrava accessibile a tutti, ma che nessuno dopo di loro ha mai più avuto il coraggio di ricalcare.
«Con gli Oasis ero infelice, ora ho finalmente trovato la pace», affermava Noel Gallagher durante uno dei nostri ultimi incontri, ancora una volta scagliando la pietra tombale sulle speranze di chi, a 10 anni dal commiato della band, ancora non si è rassegnato alla rottura tra The Chief e Our Kid.
A loro, agli invasati che a ogni concerto solista dei Gallagher attaccano il coro “Oasis, Oasis”, dedichiamo un paradosso temporale: un piccolo regalo per chi ancora si deve riprendere dalla sbornia, per chi forse non lo farà mai, come un marinaio che si rifiuta di scendere da una barca che è affondata. Un fanta-album che convoca tutti i brani da top player che hanno costellato il sentiero dei fratelli dopo la biforcazione, sliding door in musica, come se quel 28 agosto del 2009 non ci fosse mai stato.
Qualche ballad, qualche chitarrone, tutto dosato chimicamente per creare il saliscendi giusto per un disco degli Oasis. Dalla nostra selezione certamente mancheranno grandi brani, ottime b-side e capolavori incompresi, così come tantissime canzoni che mal si accorderebbero con questo album ‘postumo’ – vedi la deriva disco di Noel o l’eccessiva nostalgia roots di Liam per cui, in attesa dei nuovi lavori imminenti, per par condicio è necessario escludere gli ultimi singoli, tra cui gli ottimi One Of Us, Once e This Is The Place. Un fanta-album, dicevamo, cui manca solo il titolo – quello decidetelo voi –, ma per la copertina non ci sono dubbi, dovrebbe essere la foto che segue.
1. “In The Heat Of The Moment” di Noel Gallagher (Chasing Yesterday, 2015)
Singolo trainante di un album, come Chasing Yesterday, molto più difficile da digerire per i fan radicali degli Oasis rispetto al precedente sfornato da Noel Gallagher nelle vesti da solista, ma non per questo meno riuscito. Ritornello spacca classifiche e un attacco di voce che è un’entrata a gamba tesa, scritta da Noel ispirandosi a una frase rubata ad un documentario dove un astronauta paragonava il viaggio nello Spazio a “toccare il volto di Dio”. In The Heat Of The Moment è certamente un brano perfetto con cui aprire un disco, l’atmosfera catchy è quella giusta, per questo si merita appieno il calcio di inizio per il nostro fanta-album.
2. “Everybody’s on The Run” di Noel Gallagher (Noel Gallagher’s High Flying Birds, 2011)
Brano con cui si apre l’esordio dei Noel Gallagher’s High Flying Birds, un album che comprende alcuni dei brani più riusciti dell’intera produzione del maggiore dei due fratelli, di cui Everybody’s on The Run è uno dei massimi esempi. La canzone fu la quinta estratta dal lavoro con cui Noel inaugurava la sua nuova vita oltre gli Oasis e i richiami al passato si sentono, eccome, dato che Everybody’s on The Run era stata scritta proprio durante l’ultimo tour della band. Gli archi, i cori, la tensione che percorre tutto il brano, perfetto per mantenere caldo l’ascoltatore arrivato alla seconda traccia del fanta-album.
3. “If I Had a Gun” di Noel Gallagher (Noel Gallagher’s High Flying Birds, 2011)
Durante un’intervista, Noel Gallagher dichiarò di aver scritto questa ballad a Lima, durante il tour di Dig Out Your Soul, canto del cigno degli Oasis. Infatti, come la maggior parte di Noel Gallagher’s High Flying Birds, i rimandi alla band erano tanto evidenti da spingere The Chief a scegliere The Death of You and Me come il biglietto da visita della sua carriera solista proprio perché If I Had a Gun «è grandiosa, ma sembra qualcosa degli Oasis». La canzone è uno dei capolavori dell’intero repertorio di Noel, un ritornello da brividi che esplode in quel “Let me fly to the moon…” messo a metà brano come catapulta emotiva, perfetto come sing along da stadio. Nel nostro fanta-album occupa la terza posizione, la stessa che fu di Live Forever in Definitely Maybe.
4. “The Roller” di Liam Gallagher (Beady Eye, Different Gear, Still Speeding, 2011)
Come successo nell’autunno 2017, quando Liam ha anticipato il fratellone pubblicando il suo esordio solista, As You Were, prima di Who Built the Moon?, anche nel post-Oasis Our Kid giocò d’anticipo, pubblicando questa bomba 60’s con cui inaugurare i Beady Eye ben otto mesi prima del primo singolo targato High Flying Birds, The Death Of You And Me. Un’entrata in scena carica della stessa arroganza con cui Liam saliva sul palco accompagnato da Fucking in the Bushes, The Roller è stata la partenza di fuoco per un progetto, i Beady Eye, destinato a bruciarsi dopo appena due LP. Al quarto posto del nostro fanta-album, momento perfetto per i richiami Beatles di cui gli Oasis non hanno mai fatto a meno.
5. “Wall Of Glass” di Liam Gallagher (As You Were, 2017)
Arrivati al quinto brano è ora di aprire il gas con Wall Of Glass, pezzo dalla potenza estetica straordinaria a cui Liam ha affidato il suo ritorno solista. Armoniche blues, groove potente, ma soprattutto la voce di Our Kid, in forma come non lo si sentiva da tanto. Una canzone che trasuda tutta la faccia di bronzo per cui nessun vero fan degli Oasis potrà mai smettere di amare Liam, hooligan prestato al mondo del rock & roll. Il giro di boa del nostro fanta-album lo affidiamo allo sguardo qui sotto, capace di spezzare un muro di specchi.
6. “Four Letter Word” di Liam Gallagher (Beady Eye, Different Gear, Still Speeding, 2011)
Gli Oasis si erano lasciati con un disco ricco di psichedelia come Dig Out Your Soul, e con quelle sonorità ricche di organi e archi riprese Liam con il primo video diffuso dei suoi Beady Eye. Il brano raggiunge l’apice in quel “Nothing ever lasts, Forever” sgolato da Gallagher Jr alla fine del ritornello e significativamente enfatizzato dal climax musicale, che più chiaro di così… Four Letter Word tiene alta la dose di chitarroni del nostro fanta-album, e si prende la sesta posizione.
7. “Fort Knox” di Noel Gallagher (Who Built The Moon?, 2017)
Rimaniamo nel terreno della vertigine sonora con una strumentale, perfetta per alleggerire il batti e ribatti fra la voce morbida di Noel e quella più spigolosa del fratellino. Brano devastante se messo ad inizio concerto, ottimo per scaldare il pubblico di in un’arena con le batterie à la Tomorrow Never Knows che sembrano riprese dalla collaborazione con i Chemical Brothers per Let Forever Be. Settimo nel nostro fanta-album.
8. “The Death Of You And Me” di Noel Gallagher (Noel Gallagher’s High Flying Birds, 2011)
A due anni dal tragico 28 agosto del 2009, il brano che ha segnato il ritorno sulle scene di The Chief ha un titolo decisamente eloquente se letto guardando la fine del rapporto con Liam, riferimento in seguito ripetutamente smentito dallo stesso Noel. Inevitabile, per l’orecchio attento del pubblico italiano, non accorgersi della sfumatura ‘partenopea’ dell’attacco, davvero molto simile all’entrata di Je so’ pazzo di Pino Daniele ma, si sa, in quanto a ‘prestiti musicali’, Gallagher senior non è secondo a nessuno. Per il nostro fanta-album The Death Of You And Me rappresenta un pò la quota The Importance of Being Idle: un po’ ballad e un po’ blues, grandissimo pezzo a cui consegnare l’arduo compito di reggere ottava posizione.
9. “For What It’s Worth” di Liam Gallagher (As You Were, 2017)
For What It’s Worth è probabilmente una delle più belle ballad scritte da Liam in tutta la sua carriera, seconda solo a quella I’m Outta Time che Our Kid si portò dietro per nove anni, pubblicata nell’ultimo album degli Oasis. Con il brano compreso in As You Were il minore dei fratelli Gallagher vuole chiedere scusa “a tutte le persone che ho fatto arrabbiare”, tutte tranne Noel. Nel nostro fanta-album la mettiamo nella stessa posizione in cui il suo omaggio a Lennon si trovava in Dig Out Your Soul, usandola come fosse una addio al giovane Liam, affidato ai giorni in cui che prendeva a pugni i paparazzi. Ci mancherai.
10. “Ballad Of The Mighty I” di Noel Gallagher (Chasing Yesterday, 2015)
Questa è una delle tracce che Noel ama di più fra quelle del suo repertorio, brano nato dalla collaborazione con l’amico di una vita Johnny Marr, l’ex The Smiths che per Ballad Of The Mighty I ha suonato le chitarre. «Cazzo, non mi aspettavo una cosa del genere! – commentò Noel parlando del lavoro fatto in studio con Marr – quando suona la chitarra ha qualcosa che non molte persone possiedono, forse solo Nile Rodgers sa fare ciò che fa Johnny… è fantastico!». Con le sue ritmiche disco Ballad Of The Mighty I è perfetto per alzare il tiro, prima di affidare la chiusura a un brano impossibile da ignorare.
11. “Stop The Clocks” di Noel Gallagher (Noel Gallagher’s High Flying Birds, 2011)
Bestia nera covata da Noel per buona parte della carriera con gli Oasis, Stop The Clocks fu scritta nel 2001, nel periodo in cui veniva registrato Heathen Chemistry. Dieci anni in cui il brano è stato continuamente posticipato, quasi fosse un Godot che i fan della band continuavano ad attendere e che sembrava non arrivare mai, neppure come bonus track dell’omonimo greatest hits del 2006. Una storia dal finale agrodolce, con la canzone pubblicata quando ormai gli Oasis erano destinati a diventare un ricordo, vivo soltanto nelle continue scaramucce che i due fratelli avrebbero continuato a scambiarsi negli anni avvenire. Per il nostro fanta-album non poteva esserci chiusura più significativa.
Bonus Track
12. “Dead In The Water” di Noel Gallagher (Who Built The Moon?, 2017)
Com’è nella tradizione Oasis, arriva la una bonus track, il classico pezzo chitarra-voce con cui Noel riesce sempre a ribadire che, quando si va in acustico, non ce n’è per nessuno. Quando si accompagna alla sua Gibson J-200, The Chief riesce a tirar fuori dal suo timbro colori di un’intimità spiazzante e con Dead In The Water l’effetto è lo stesso di Talk Tonight. Questo brano è particolarmente importante perché rappresenta forse l’addio definitivo che Noel Gallagher indirizza al suo passato, gemma quasi dimenticata dentro un album come Who Built The Moon?, volutamente distante anni luce da quello che fu il suono che definì l’era brit-pop. Con Dead In The Water chiudiamo il nostro fanta-album, consapevoli del nostro gioco nostalgico, ricordo di un’avventura che non si replicherà mai. Giusto così.