Sì, è vero, ce la stiamo prendendo comoda a raccontarvi a puntate questa Biennale di Venezia. Stiamo andando a vedere poche cose al giorno, ma ce le gustiamo cercando di non affogare nel mare di turisti che ci sono a Venezia: è molto bello infatti poter stare al Lido e avere come base operativa il bellissimo Excelsior, che oltre a “trasudare Biennale da tutti i pori” essendo il centro nevralgico del settore cinema, organizza pure le visite alla Biennale Arte e uno non si deve sbattere a fare la coda alle casse o a impazzire per calli e vaporetti.
E siccome Venezia ha tra le sue caratteristiche più marcate anche un certo senso di malinconia e solitudine, oggi vi segnaliamo l’incredibile progetto di Ludovica Carbotta di un modello urbanistico creato per un solo individuo. Lei è una delle due voci italiane presenti nella sezione internazionale e la sua Monowe è un’installazione nata nel 2016 e che si sta sorprendentemente evolvendo. E attenzione, non stiamo parlando di un futuro apocalittico dove è restato un solo uomo come la divertente serie The Last Man on Earth, ma di un mondo progettato per un solo essere umano.
Questo suo progetto è diviso in due e la prima parte è all’Arsenale, dove possiamo vedere una torre di controllo dei confini di questa città immaginata, ma è una torre logorata dall’inutilizzo forse perché non c’è altro essere umano da scorgere nell’arco di chilometri; la seconda è in uno dei luoghi più magici e meno conosciuti al grande pubblico, il Forte Marghera, ex polveriera austriaca concepita per proteggere l’esterno dalla pericolosità del materiale esplosivo custodito all’interno e dove infatti Ludovica Carbotta ha ubicato un’estensione della mente dell’unico abitante della sua Città, un luogo sicuro vicino all’anima e lontano dal corpo dove custodire pulsioni, paure, ansie. Si possono scovare tracce di letteratura e fantascienza in questa creazione, ma anche un azzardo architettonico e sociologico che fa riflettere sulla solitudine, su quel senso di isolamento (giustificato) che ognuno di noi, a vari livelli, porta con sé.
Ludovica Carbotta non è solo una delle due italiane presenti, ma è anche una delle più giovani (è nata nel 1982) e se voleste approfondire la conoscenza di questo suo progetto, vi basterebbe andare alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, dove è in corso una sua personale: lì troverete un museo e un tribunale, sempre per un unico individuo. Vabbé, noi torniamo all’Excelsior che con tutta questa solitudine ci è venuta voglia di un gin tonic. Appena ci riprendiamo vi raccontiamo altro.