Fausto Delle Chiaie, per 32 anni, è partito da Sgurgola, in provincia di Frosinone, diretto a Roma dove, tra Piazza Augusto Imperatore e l’Ara Pacis, ha tenuto ininterrottamente – persino in pandemia – la sua personale mostra a cielo aperto. Un caso più unico che raro, per un artista concettuale che se ne frega del mercato, dei soldi (e infatti è poverissimo), della fama e di qualsiasi altra scocciatura che potrebbe distrarlo dalle opere. Ma oggi nella sua vita è cambiato qualcosa, e anche per questo lo abbiamo incontrato. Non più nella “Biennale permanente” sulla strada, ma in un piccolo atelier dove è ospite dopo che nella zona che ha presidiato sono in corso dei lavori che non gli permettono di esporre. Si trova sempre a Roma, ma in via dei Cappellari 48. Fateci un salto se passate da Campo de’ Fiori: ci troverete tutto il suo mondo sognante e surreale, anche se compresso in uno stanzino e un seminterrato, in grado di farvi dimenticare ogni stress o preoccupazione. Ma non pensate di avere di fronte un freak, perché Delle Chiaie, 78 anni, ha un lungo percorso di esposizioni in tutto il mondo sul quale sono state scritte tesi di laurea, libri e manifesti (il Manifesto Infrazionista è del 1986), girati documentari (uno di Rai Cinema) e reportage bellissimi (come quelli di Domenico Iannacone, sempre sul servizio pubblico). Anche la critica si è espressa favorevolmente nei suoi confronti, in particolare Achille Bonito Oliva, al quale ha rivolto un messaggio attraverso l’intervista: «Perché non propone la mia permanente dentro l’Ara Pacis?». Oggi ha donato al ministero degli Esteri un’opera, Pescatore di uomini, sul tema dei migranti: «Non so come reagiranno, ma è un gesto umano». Mentre altri vendono opere a milioni di euro, lui consiglia il prezzo delle sue, non vincolante, soprattutto per i giovani e per chi è in difficoltà. E dal futuro si aspetta solo una cosa: «Che mi passino i crampi allo stomaco, quando c’è la salute il resto non conta».
Fausto, ti ho conosciuto in uno degli ultimi reportage di Domenico Iannacone, Che ci faccio qui, del 2021. In quel periodo, complice il Covid, ha colpito molti il fatto che tu, nonostante tutto, continuassi a esporre.
Dopo quel servizio c’è stato un boom di persone che mi hanno contattato per conoscermi di persona o chiedermi opere. Adesso si è un po’ spento perché la piazza non posso più usarla a causa dei lavori in corso. Passo a vedere ogni tanto se c’è un angoletto libero, ma per ora ancora nulla. Devo trovare un’alternativa, stavo pensando a via Monte Brianzo.
Chi è oggi Fausto Delle Chiaie?
Mi sento come sempre, solo che sto facendo qualcosa di diverso dal solito. Prima portavo avanti l’installazione di 30 lavori all’aperto continuata per 32 anni, adesso mi chiedono dipinti e lavoro su commissione. Non potendo avere un luogo di lavoro, posso farlo da casa o da questo studio.
Il piccolo Fausto Delle Chiaie cosa voleva fare da grande?
Non avevo ambizioni, giocavo tutto il giorno. Mio padre mi spinse all’alberghiero, e quando iniziai a lavorare sentii la fatica di quel mestiere. Gli occhiali in cucina mi si appannavano sempre… Poi a casa facevo qualche disegno, ho iniziato con il figurativo, però mi sono staccato subito.
Hai frequentato qualche accademia?
Ho fatto la Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Gli altri disegnavano le modelle, io facevo già gli schizzi, ne avrò prodotti cinquanta al giorno. Non sapevo dove metterli e quindi ci facevo dei collage. L’ho frequentata perché mi divertivo, solo che ho capito subito che mi piaceva altro. Studiavo le dimensioni, più che altro, il resto ce lo mettevo io.
Trovi che le persone oggi abbiano meno interesse per l’arte?
No no, c’è sempre, l’arte non si ferma mai. Appartiene a tutti quelli che la apprezzano.
A cosa stai lavorando in questo periodo?
A parte le opere su commissione, l’anno scorso ho visto che a Sgurgola stavano ristrutturando delle vecchie cantine, sono passato di fronte e gli ho proposto dei miei lavori. Li ho ingranditi e li hanno usati per abbellire quelle stanze. Cinque-sei sale. Opere museali. Avrei guadagnato tanti soldi, se solo le avessi vendute…
Quando vedi che certi artisti vendono le opere per milioni di dollari, come per esempio Jeff Koons, cosa pensi?
Cosa mi dicono di nuovo quelle opere? A me niente. Ma non è affare mio. La vita, se la gestisci bene in modo tranquillo e sereno, vale più del successo.
C’è mai stato un tempo in cui hai pensato anche al successo?
Quando qualcuno passa e prende un’opera e mi dice grazie, quello per me è un successo. È un attimo che poi vola via. Preferisco così, stare tranquillo, mi nascondo se c’è troppa gente.
Quanto valgono le tue opere?
Non mi regolo, si regolano gli altri. Vedi le opere qui di fronte? Le guardi, se ti piacciono e condividi il titolo mi fai un’offerta e io al massimo posso consigliarti un prezzo. Ma è un consiglio.
L’ultima opera che hai venduto?
Una a 500 euro. Gli avevo consigliato quel prezzo e l’acquirente non l’ha voluto abbassare. L’arte non si abbassa… (ride) Poi se me lo chiede uno studente o qualcuno che ha problemi economici facciamo a meno, non è un problema.
Che cos’è la vita?
È un continuo… un continuo… meglio non fermarla, la vita.
È la tua principale fonte di ispirazione?
Guardare, ascoltare, anche una parola mi fa sentire vivo e mi può ispirare.
Come sono stati quei 32 anni di esposizioni a cielo aperto?
Sai che non me ne sono neanche accorto? Sono passati come se niente fosse. Infatti adesso spostarsi è difficile, perché quelle opere erano legate all’installazione permanente. Il museo dell’Ara Pacis accanto mi faceva da contraltare. Ora qui sto bene, però è un’altra cosa.
Hai mai pensato di smettere?
No no no, non potevo smettere. La dovevo fare tutti i giorni. Qualcuno mi diceva: ma perché non vai alla Biennale? Ma scusa, gli rispondevo, la faccio tutti i giorni qui la Biennale!
Arte povera è una definizione che condividi?
Non mi emoziona, perché io sono poverissimo (e scoppia a ridere).
Essendo stato per 32 anni esposto a Roma, sarà passato qualche critico. Vittorio Sgarbi si è visto?
Nooo, lui no. È troppo figurativo. Non credo riesca ad afferrare il senso di quello che faccio. Invece Achille Bonito Oliva sì, mi ha sostenuto e ha sempre parlato bene di me. È venuto spesso. Anzi, vorrei fare una richiesta a Bonito Oliva in questi giorni.
Quale?
Dato che mi hanno tolto gli appoggi nella piazza, gli ho chiesto di riproporre la mia permanente con le trenta opere. Volendo anche all’interno dell’Ara Pacis. Se glielo puoi far sapere…
Cerchiamo di fargli arrivare il messaggio.
È un bel progetto. È l’unico che mi appartiene davvero. Dentro o fuori mi farebbe piacere che lui proponga un’idea in quella zona. O almeno sapere la sua opinione, perché sarebbe una riproposizione significativa, farebbe rivivere un periodo storico-artistico. E per non farlo svanire.
La critica ha un valore per te?
Mah, che dicano quello che vogliono. Io lascio criticare tutti. Se mi attaccano, peggio per loro: sono loro che si innervosiscono. Evidentemente non capiscono quello che ho fatto. Chi è stato più di trent’anni di seguito in una performance nello stesso luogo? Nessuno. Adesso per fortuna stanno facendo i lavori e non posso usare la zona, sennò non finiva più. Anzi, meglio così. In tutte le cose ci vuole un inizio e una fine.
È la tua più grande opera?
Il “doppione” era bellissimo. Da una parte c’era la mia foto, la persona si fermava a guardarla, a quel punto io fischiavo dall’altra parte della strada, lei si girava e vedeva me e rimaneva stupita.
Com’è cambiata Roma negli anni?
Non la conosco molto. Arrivo, giro il centro e poi mi fermo per l’installazione. La gente non è cambiata poi tanto, quelli che apprezzano continuano ad apprezzarmi, gli altri non si fermano neanche.
Mentre parliamo entra una signora che apprezza da tempo l’arte di Fausto e che spiega perché, quando può, acquista le sue opere: “L’ho conosciuto per caso una mattina che avevo perso il lavoro, giravo pensierosa e sono inciampata nelle sue creazioni. A prima vista mi sono chiesta chi avesse lasciato in giro quelle cose. Poi ho capito che c’era un significato quando ho visto la sua foto, ho sentito un fischio, mi sono girata e c’era lui dall’altra parte… mi ha lasciato senza parole”.
Fausto, con la tecnologia che rapporto hai?
Non ho i social, lasciali stare dove sono. Sono pericolosi. Ho un cellulare vecchissimo, vedi? Con lo scotch ho scritto il mio numero sul dorso. La tecnologia è un mondo lontano da me, mi distrae troppo. Non ho manco la televisione…
Però hai una pagina Facebook molto attiva di collezionisti e appassionati, Fausto Delle Chiaie Art. È a tua insaputa?
Sì, quasi. È bello che ci siano, ma non me ne accorgo. Io non ne so niente.
Tanti artisti vogliono presenziare, andare in tv, essere seguiti sui social. E tu?
A me basta uno spazio aperto per esporre. Ma se mi invitano in un museo ci vado, come a Portogruaro dove ho fatto una mostra. Però preferisco fare le personali, solo con lavori miei. Con altri non rendo. Ah, sai che l’11 gennaio consegnerò una mia opera al Ministero degli Esteri?
Come mai?
Gli volevo donare una mia opera. Gliene ho proposta una, ma volevano metterla sul soffitto ed era troppo in alto. Non si sarebbe vista bene. Allora ho cambiato, quest’altra mi sembra anche più significativa. Si chiama Pescatore di uomini.
Tratta il tema dei migranti.
Sì, è forte per il momento che stiamo attraversando. Non so come reagiranno. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. Sono partito da molto lontano…
Sai che che questo governo non è tenero con i migranti?
Ma questo è un gesto umano. E poi mica vorranno spiegazioni. Spero che apprezzino il gesto, visto che gliela dono.
Cosa ti aspetti dal futuro?
Spero che mi passi questo crampo allo stomaco che ho da stamattina… In fondo quello che conta è solo la salute, il resto chissà… Hai visto il funerale del Papa?
Sì, ti ha colpito?
Ha avuto tutto nella vita e adesso sta in una stanzetta… Però c’era la fila di gente al funerale, io non ce l’avrò. Vabbè, meglio così, alla fine non è che ci sarebbe niente di bello da vedere.