Che cos’hanno in comune John Cage, Yoko Ono e John Cale? Sembra l’incipit di una barzelletta, l’ennesima sulle tanto discusse doti vocali della signora Lennon magari. Ma non lo è: questi tre personaggi hanno in comune l’appartenenza a Fluxus, un collettivo artistico d’avanguardia che, tra anni 60 e 70, tra Berlino e New York, si propone di “fondere le tendenze rivoluzionare in campo sociale, politico e culturale in un fronte d’azione unitario”.
Dieter Roth, personaggio chiave del movimento Fluxus
Le altre parole d’ordine sono Arte Concreta, forma espressiva che esclude dal processo creativo l’ultima briciola di elaborazione razionale sopravvissuta nell’arte astratta, Happening, ossia quegli eventi artistici che proponevano l’unione fra musica, arti visuali, poesia, teatro e arti figurative; l’ultima è Dieter Roth, personaggio chiave del movimento Fluxus.
Se l’Happening e la performance sopravvivono al loro autore solo in forma di video, le opere di Roth non solo sopravvivono, ma letteralmente vivono, con l’immanenza che solo al lavoro di un pioniere dell’arte concreta possiamo attribuire. Immaginate di entrare nel suo studio: la luce è soffusa, e, tra sculture composte da bottiglie vuote, strumenti musicali assassinati e oggetti di uso comune, un campionatore modulare è ancora in funzione: balbetta come una cieca litania di una suonata di Brahms, coperta dal suono fragoroso di una pentola che cade.
Superati le scale ed i corridoi, mantenuti intatti da quando era una stazione della metropolitana di Berlino, questa è l’impressione che riceve lo spettatore appena entra nell’ala sinistra dell’Hamburger Banhof, dove, dal 14 Marzo al 16 Agosto è in esposizione la temporanea “And away with the minutes. Dieter Roth and Music”, mostra dedicata al lavoro di sperimentazione svolto da Roth in campo musicale e alle più “contaminate” fra le sue opere scultoree.
Mentre nelle sale echeggiano delle incisioni del collettivo noise “Selten Gehörte Musik” (letteralmente: musica che ascolterete raramente), in un angolo un’installazione composta da bombolette di vernice, un ukulele, delle bottiglie e un campionatore nascosto, che, collegato ad una vecchia radio e azionato dai visitatori a loro piacimento, borbotta suoni e melodie inconsuete.
Ci sono poi un pianoforte preparato che “si suona” da solo, la raccolta integrale in vinile delle sessioni incise nello studio di registrazione di Roth (introvabili in commercio) in ascolto libero, e, al centro dell’esposizione, l’opera monumentale Bar 1, (lautloses Bild mit Bar), unica opera “lautloses” (=muta) dell’intera esposizione.
Anche se grande fan della musica classica, non solo Roth ha “lasciato perdere Beethoven” come hanno fatto i Beatles e Chuck Berry, ma li ha letteralmente scomposti, massacrati per un fine ulteriore: come dichiarato dai componenti del movimento Fluxus in merito alla loro lotta contro la tradizione, “l’anti-arte è vita, è natura, è vera realtà -è una e molteplice.” .
Benvenuti quindi nel mondo della musica reale, della sperimentazione più estrema, dell’anti-musica. Benvenuti nello studio di Dieter Roth.