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I momenti che hanno cambiato la vita di Jasper Johns: la nascita del New Dada e il successo in Europa


Nei nuovi episodi della serie dedicata alla vita dell’artista, il successo mondiale negli anni ’60, i litigi con Rauschenberg e il ritiro in una casa di pietra

Stagione 4

Johns continua la sperimentazione sull’iconografia del mondo di ogni giorno e realizza i primi quadri sul tema dell’alfabeto e poi quelli sulla serie numerica. Allan Karp, artista che si può considerare l’inventore degli happening, lo segnala per la collettiva “Artist of the New School”: second generation, presso il Jewish Museum di New York, dove Johns espone uno dei suoi bersagli verdi. Si fa notare sempre più con il passare dei mesi e nel 1957 accade una cosa decisiva nella vita di Jasper Johns: Leo Castelli fa visita a Rauschenberg nel Loft e riconosce quelle bandiere viste solo un anno prima. Insiste perché Johns gli mostri i suoi lavori e decide immediatamente di inserirlo nella sua scuderia. Castelli è il più noto e influente gallerista al mondo e la scalata al successo di Jasper Johns, con lui, è velocissima.

In quell’epoca il termine New Dada inizia a farsi strada e vuole raggruppare quegli artisti che riprendendo i temi dei dadaisti e li ripropongono con soggetti dell’immaginario collettivo realizzati con materiali comuni. Johns, per la critica, rientra pienamente in questa definizione. Dopo averlo inserito in una collettiva, nel 1958 Castelli realizza nella sua galleria la prima personale di Jasper Johns. È un successo enorme, il pubblico è entusiasta e la critica lo osanna. A visitare la mostra va addirittura il potentissimo direttore del MOMA Alfred Barr, che copra tre suoi quadri. La rivista ART-News lo mette in copertina, vince il premio Carnegie International di Pittsburgh e arriva addirittura un invito alla più importante kermesse internazionale dell’arte: la Biennale di Venezia.

Stagione 5

Il paradosso e l’assurdità dei contrasti diventano sempre più centrali nel suo lavoro, e comincia a fare quadri monocromi di un certo colore scrivendo sopra gli stessi un colore del tutto diverso. Chiama blu un quadro rosso, verde un quadro giallo e così via, esaltando il contrasto tra percezione visiva e linguaggio. Se chiediamo a uno spettatore di che colore è un quadro palesemente verde, se sopra quel quadro c’è la scritta “rosso”, questo ci metterà un po’ ad abbattere ciò che impone la parola per dare spazio alla conoscenza. Ormai lo chiamano a esporre in tutto il mondo e lui si interessa alla grafica e alla litografia come tecniche e alla cartina geografica degli Stati Uniti e alle impronte del suo corpo come contenuto. Inizia a produrre in serie e guarda con attenzione sempre crescente al lavoro di Marcel Duchamp. Ormai è abbastanza ricco, addirittura per acquistare alcuni lavori del grande maestro. I rapporti con Rauschenberg invece sono sempre più tenui e diradati e, nel giro di poco, i due smetteranno di vedersi. Litigi continui, forse qualche gelosia, sicuramente una differenza di vedute sul mondo dell’arte. Non è indolore la scelta di non vedersi più ed entrambi hanno bisogno di tornare nelle loro terre di origine e abbandonare per un po’ il caos di New York. Rauschenberg passa molto tempo in Texas, Johns ricompra una casa in quelle zone della Carolina del Sud che tanto aveva disprezzato in passato.

Gli anni ’60 sono quelli dell’esplosione di Jasper Johns: realizza a Parigi una personale nella galleria della moglie di Leo Castelli, Ileana Sonnabend. Diventa famosissimo in Europa e contemporaneamente diventa uno dei protagonisti della nascita della Pop Art negli Stati Uniti. Come ogni definizione anche questa viene rifiutata da Johns, che non accetta etichette. Nel 1964 a New York va in scena la prima grande retrospettiva dedicata al suo lavoro, con oltre 170 opere. Ha qualche tensione con Castelli qualche anno più tardi, a causa del fatto che il gallerista avesse regalato a Kennedy una delle bandiere di Johns, riprodotta in bronzo. Jasper Johns cerca da sempre di scansare il suo pezzo più famoso da una connotazione politica, e vederla brandire dal Presidente degli Stati Uniti, di certo non aiuta in questo senso. Sarà John Cage a convincerlo che non vale la pena rompere con Castelli per questa cosa. Nello stesso periodo, sempre nel 1966, un incendio divampa nella sua casa studio di Edisto Beach in Sud Carolina e moltissime sue opere vengono distrutte.

Stagione 6

Il suo rapporto con il coreografo Merce Cunningham si intensifica e per molti anni Jasper Johns sarà il consulente per le scenografie e l’immagine della sua compagnia di danza. Ormai è un mito, il suo animo solitario si acuisce e si isola nella sua nuova proprietà sull’isola caraibica di Saint Martin. Gli altri artisti cavalcano la frenesia degli anni ’70, mentre lui vive da misantropo, non partecipando neanche alle inaugurazioni delle sue mostre o ai tanti premi che gli vengono attribuiti. Questo non fa altro che accrescerne il mito e questo suo silenzio, rotto solamente dalla creazione di potentissime opere, lo trasforma in una leggenda dell’arte. In quegli anni, è senza dubbio uno dei più noti, discussi e corteggiati artisti sul piano internazionale. Persino Samuel Beckett gli chiede di collaborare e Johns accetta di illustrare con alcune acqueforti la sua raccolta di brevi prose “For to End Yet Again and Other Fizzles”. Nel 1977 il Whitney Museum gli dedica una monumentale retrospettiva che, subito dopo, farà il giro del mondo: Colonia, Parigi, Londra, Tokyo, San Francisco. Lo stesso Whitney Museum che tre anni più tardi, nel 1980, compra Three Flag per 1 milione di dollari, in quel momento la più alta cifra mai pagata per un artista americano vivente. La sua arte diventa più personale e i riferimenti ai ricordi della sua infanzia e agli artisti che gli sono cari, come Picasso, sono i soggetti che lo ispirano per tutti gli anni ’80. È l’elemento autobiografico, ora, a dominare la sua arte. Nel 1986 Ronald Reagan gli chiede di concepire la medaglia della libertà, un riconoscimento che il presidente dà a dodici cittadini naturalizzati americani. Lui, memore dei consigli di John Cage che lo invitava a fregarsene dell’errata interpretazione delle sue opere, accetta. Così come accetta nel 1988 il leone d’oro per la sua mostra al Padiglione Americano alla Biennale di Venezia. È solo il primo di una lunghissima serie di riconoscimenti che gli vengono tributati in quegli anni: nel 1989 diventa 38° membro della Carolina Hall of Fame, il pantheon dei personaggi più illustri dello stato. Entra a far parte dell’American Academy of Arts and Letters e nel 1990 George Bush gli consegna alla Casa Bianca la National Medail of Arts.

Finale di stagione (per adesso)

In vecchiaia Jasper Johns sembra intraprendere un percorso a ritroso: dopo avere passato la prima parte della sua vita a scappare dalla periferia contadina degli Stati Uniti, dal 1995 si ritira in una casa di pietra, in campagna, nel Connecticut, con cento acri di terreno intorno e un antico garage restaurato a fargli da studio. E chissà se da quel rifugio, dal quale è diventato praticamente impossibile vederlo uscire, gli importi della retrospettiva che il MOMA gli ha dedicato, che poi ha fatto il giro del mondo. O che le sue opere siano oggetto di battaglie nelle aste o che le università d’arte di ogni Paese studino il suo lavoro. E persino che i Simpson abbiano deciso di introdurre il suo personaggio (intento a rubare cose e idee altrui) nell’episodio in cui Homer diventa artista: si sa che quando finisci nei Simpson significa davvero che hai fatto la storia. Chissà se quel ragazzo scappato dalla Carolina del Sud per conquistare New York, per poi accorgersi che in fin dei conti le campagne del Connecticut non sono così male, a 90 anni si renda conto di essere uno degli artisti più grandi dell’ultimo secolo.
Tanti auguri, Jasper Johns.

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