Mario Schifano era una rock star. Anzi, molto di più. Perché all’aura seducente del cantante di successo aggiungeva quella, per certi versi ancor più magnetica, dell’artista maledetto. Per ulteriori dettagli avremmo dovuto chiedere a Marianne Faithfull, compagna inseparabile di Mick Jagger alla fine degli anni Sessanta, che per questo pittore dai pullover aderentissimi e dalla stempiatura un po’ sauvage fece saltare il banco scaricando il leader degli Stones come un sacco di patate.
Sono gli anni Sessanta. Supermario sembra onnipotente. Conquista collezionisti e spasimanti come fossero figurine Panini. Nell’elenco ci sono nomi roboanti: dall’allora diciottenne Isabella Rossellini a Benedetta Barzini, da Nancy Ruspoli ad Anna Carini fino ad Anita Pallenberg, poi divenuta compagna di Brian Jones e successivamente moglie di Keith Richards. Mica due qualsiasi.
Considerato il più grande pittore del nostro Dopoguerra, Schifano è il pittore maledetto per antonomasia. Un tipo che non ama le mezze misure, che alla produzione incessante di opere accosta quantità smisurate di droga e alcool. Avesse imparato a gestirsi e a centellinare la produzione, i suoi dipinti oggi costerebbero dieci volte tanto. Gira per le vie della Capitale a bordo di una Rolls-Royce. Ama esagerare, spingersi sempre un po’ più in là.
Dal 28 febbraio al 17 aprile la galleria milanese Bkv Fine Art lo omaggia con la mostra Mario Schifano – Gianni Malabarba. Pittura e Poesia, a cura di Gianni Meneguzzo. Un progetto ambizioso che occuperà le sale di via Fontana con 73 opere inedite che raccontano l’amicizia fra il pittore e il collezionista e poeta Malabarba. Occasione che ci offre lo spunto per riscoprire – se mai ce ne fosse bisogno – questo “pittore puma” (il copyright è di Goffredo Parise).
Nato in Libia al tempo delle Colonie, l’estremo Meridione d’Italia, Supermario sbarca a Roma alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Qui fa un po’ di tutto. Lavora come garzone alla pasticceria «Valzani» di vicolo del Moro a Trastevere, fa il commesso, quindi il restauratore di terrecotte, seguendo le orme del padre, presso il Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Per anni abita in viale Spartaco, quartiere del Quadraro, poi in via Brunetti a due passi da Piazza del Popolo, nello stesso palazzo della coppia Moravia-Morante e del giovane Mimmo Rotella.
La sua prima mostra è alla Galleria Appia Antica nel 1959. Con i soldi guadagnati si compra una MG bianca con cui si schianterà contro un palo pochi giorni dopo. Non ha la patente.
È un periodo in cui il suo carattere anticonformista viene mitigato dalla monocromia delle tele su cui incolla carte, segni, lettere dell’alfabeto e immagini di vario tipo. Frequenta Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Federico Fellini. Al tavolo di un bar conosce la modella Anita Pallemberg. Fra i due scatta la scintilla. Lei è gelosa e possessiva, verrà tradita oltre il limite consentita dalla morale. La coppia vola in America. A New York c’è Ileana Sonnabend, moglie di Leo Castelli, che ha promesso a Schifano una mostra tutta sua. Mario e Anita diventano habitué della Factory di Warhol. “Se non fossi Andy Warhol vorrei essere Mario Schifano», dirà in quei giorni il padre della pop art.
Nel ’63 il nostro eroe è protagonista della collettiva New Realists organizzata dalla Sidney Janis Gallery dove espongono esponenti della Pop Art e quelli del Nouveau Realisme. Schifano è «divorato» dalla passione per il colore. La sua arte è un dialogo costante con il mondo che lo circonda: filtra la quotidianità e forgia un mondo parallelo dove il banale diventa leggenda. La superficie della tela si trasforma così in un vero e proprio campo di battaglia dove la pittura dichiara guerra al consumismo.
Arte ma non solo. Egocentrico, estremo, versatile e poliedrico, nel 1965 fonda la band di rock psichedelico Le Stelle di Mario Schifano. Due anni dopo collabora con il regista Marco Ferreri per alcune scene del film L’Harem. Tra gli anni Settanta e Ottanta raggiunge l’apice della fama. Alla pittura, considerata vecchia, alterna la serigrafia. Sperimenta nuovi prodotti attraverso gli schermi della televisione e del computer. Le sue tecniche si aprono a materiali nuovi come la vernice spray, stesa spesso con l’ausilio di mascherine di carta, e il plexiglass colorato, applicato in trasparenza sulle tele dipinte.
Nel ’66 viene arrestato per la prima volta per detenzione di marijuana e trascorre tre mesi al carcere di Regina Coeli. Al processo testimoniano a suo favore sia Moravia che Ungaretti: quest’ultimo rischia di essere incriminato a sua volta perché con la sua tipica verve oratoria si scaglia contro il presidente della corte, affermando che Schifano è un artista, che ha bisogno di stimoli per lavorare e che non può essere giudicato alla stregua dei comuni cittadini. Nel 1969 è oggetto di altri due procedimenti penali seguiti, negli anni Settanta, da altri quattro fermi, l’ultimo dei quali, nel 1975, conclusosi con un periodo di restrizione al manicomio di S. Maria della Pietà, scelto per evitare il carcere. Nel 1983, l’ultimo arresto per droga.
Sebbene sia un decennio tormentato, Schifano torna a riscoprire e dipingere la natura, si lascia ispirare dalla storia dell’arte e dall’archeologia. Nel 1985 sposa Monica De Bei, da cui avrà un figlio, Marco Giuseppe. Nel ’93 la Biennale di Venezia gli dedica un’intera sala personale, mentre nel ’94 un suo lavoro finisce nella mostra del Guggenheim Museum di New York The Italian Metamorphosis 1943-1968.
Con il suo pennello picchia forte contro l’omologazione dei gusti e la perdita dell’aura dell’opera d’arte. Perdita celebrata nel 1995, in perfetto stile Schifano, quando stipula un contratto con Telemarket, società per la vendita di opere d’arte al grande pubblico attraverso canali tv e aste. Mario produce un quantitativo abnorme di dipinti, serigrafie, opere su carta. L’obiettivo? Trasferire nella sua pratica pittorica modalità di produzione vicine a quelle seriali dell’industria. Afferma, senza troppi giri di parole, che vuole competere con la velocità di produzione delle macchine e delle rotatorie per la stampa.
E nel frattempo continua a fare i conti con la legge. La sua vicenda giudiziaria si concluderà in via definitiva nel 1997, quando la Corte d’appello di Roma cancellerà le precedenti condanne riabilitando così l’artista. La sua vicenda terrena, invece, terminerà un anno dopo, il 26 gennaio, in un letto dell’ospedale S. Spirito di Roma per colpa di un infarto. Come lui, nessuno mai.