Metti un giro fra i “molto ricchi” alla fiera d’arte più esclusiva d’Europa | Rolling Stone Italia
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Metti un giro fra i “molto ricchi” alla fiera d’arte più esclusiva d’Europa

Al TEFAF di Maastricht tra Goya che dovrebbero stare al Prado, champagne e ostriche. Un mondo parallelo che merita di essere osservato, almeno una volta nella vita

Metti un giro fra i “molto ricchi” alla fiera d’arte più esclusiva d’Europa

Un’immagine di TEFAF 2024, la fiera d’arte di Maastricht

Foto: Loraine Bodewes

Me ne hanno sempre parlato come di una fiera d’arte imperdibile, di un evento diverso da tutti gli altri. E in effetti TEFAF Maastricht (acronimo di The European Fine Art Foundation) è praticamente un’esperienza mistica. Una sorta di trip lisergico indotto sia dalla bellezza delle opere esposte – sublime il Ritratto di Madre Jerónima de la Fuente firmato da quel gran genio di Diego Velázquez attorno al 1620 (ma quadri del genere non dovrebbero stare tutti al Prado?) – che dai fumi dell’alcool offerto in quantità industriali da orde di camerieri elegantissimi, in divisa blu notte. Come tanti Padre Pio, mi è sembrato avessero quasi il dono dell’ubiquità. Li ho visti dietro i vasi di Imaemon XIV, ma anche ai lati di una tela di Jusepe de Ribera, e poi pure ai piedi del capitello che un tempo apparteneva al chiostro di Notre-Dame-en-Vaux a Châlons-en-Champagne. Ogni stand, un bicchiere di bianco accompagnato da capesante scottate, crocchette di formaggio e finger food vario. Se considerate che quest’anno gli stand presenti al centro congressi MECC Maastricht erano ben 273, diventa un gioco da ragazzi immaginare il mio stato di sobrietà dopo una paio d’ore di tour lì dentro.

Ovviamente sto parlando dei giorni riservati ai vip e alla stampa. Già, perché se per i comuni mortali l’appuntamento con la kermesse olandese era previsto dal 15 al 20 marzo, è stata l’apertura super esclusiva dei giorni precedenti il vero momento topico, l’attimo fuggente da non perdere per nulla al mondo. Uno spettacolo nello spettacolo che oltre a mettere duramente alla prova la mia capacità di resistenza all’alcool, ha permesso di imbattermi nella gente che conta davvero. Quella che F. Scott Fitzgerald chiamava “i molto ricchi”. Figure signorili che sembrano arrivare direttamente da un’altra epoca, dalla stratosfera, da Marte. Mi è parso di averli visti muoversi fra i vari stand librandosi da terra di almeno un paio di centimetri. La tipologia di questi personaggi è tipica. Tutti o quasi vestono in modo elegante, elargiscono grandi sorrisi, chiacchierano amabilmente con espositori, curatori e camerieri e nel frattempo, come se nulla fosse, trattano gioielli originali di Buccellati (che quest’anno ha deciso di finanziare qui uno stand tutto suo) o tele di Goya (il cui Ritratto di Maria Soledad Rocha Fernandez de la Peña, marchesa di Caballero illumina lo spazio di Robiant+Voena e costa all’incirca 7 milioni, euro più euro meno).

Foto: Loraine Bodewes

Per un paio di giorni TEFAF è tutto un proliferare di pochette da taschino, cache-col e giacche di cachemire nel caso degli uomini e di foulard floreali e mise dai colori pastello per le signore. Una sorta di danza a cui è impossibile sottrarsi. Le tentazioni sono continue. Anche quando sei ormai convinto di poter tornare in hotel con le tue gambe, arriva l’imponderabile. Il colpo di grazia a me è arrivato nel tardo pomeriggio, quasi all’improvviso. Se per Cenerentola l’orario clou è sempre stato mezzanotte, per me sono state le 17. Quando, come per magia, i bicchieri di vino bianco si sono trasformati in flûte di champagne. E lungo i corridoi sono apparsi qua e là carrelli con ogni bendiddio. Chiamarli carrelli è un po’ riduttivo: erano veri e propri corner ambulanti, guidati da sorridenti figure dai lineamenti nordici. C’è chi ha preparato del sashimi, chi ha offerto agli astanti ampie razioni di preziosi formaggi locali e chi, infine, ha miscelato negroni, spritz o martini dry come fosse dentro una catena di montaggio della Volkswagen. Tutto questo vissuto in primissima persona, fra una pala d’altare del ’500 e un busto in marmo di Vincenzo Gemito.

E dato che ogni parabola ha il suo punto massimo, il mio è stato quando mi sono imbattuto in un distinto signore sulla sessantina. Una sorta di Kevin Spacey dell’ultimo periodo, signorile e un po’ strafottente. Grembiule di cuoio bianco, cinturone con due secchi d’acciaio appesi attorno alla vita, manco fosse Pecos Bill. “Aspettavo proprio lei”, gli dice una donna dai lineamenti orientali. Lui sorride, e da uno dei quei due grandi contenitori tira fuori un’ostrica versione extralarge, che apre con uno “sciostratore”. Poi bagna il mollusco con qualche goccia di limone e lo porge alla distinta madame, che ricambia con un sorriso. L’operazione si ripete dieci, venti, trenta volte in diversi angoli del centro congressi, che fra l’altro è dotato di quattro bar fra cui proprio un oyster bar. Non sono mai stato un grande amante delle ostriche, nonostante i cultori ne dicano meraviglie. Non sono mai riuscito ad apprezzarne davvero quella sensazione di mare in bocca. Ma come rinunciare a un privilegio simile? Non foss’altro per poterlo poi raccontare ai nipoti. Così anch’io mi sono messo in fila ad attendere il mio turno per vivere l’esperienza deluxe in tutta la sua pienezza e totalità. Christian Dior meno di un secolo fa definiva il lusso “l’invisibile, il superfluo, l’elemento che non si trova nella vita quotidiana”. Non so se Monsieur Dior sia mai stato dalle parti del TEFAF, probabilmente ci è passato molto vicino.

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