«Quando ho iniziato a fotografare, quasi 50 anni fa, non avevo idea dell’importanza culturale che avrebbe avuto il rock’n’roll». Michael Putland racconta così la sua attrazione verso un genere musicale destinato a cambiare il mondo: «Chi come me è nato in Inghilterra dopo la guerra, ha vissuto l’adolescenza in un periodo cupo come gli anni ’50 e ha poi visto le cose migliorare all’improvviso. Diventare creativi è diventato facile. È stata una rivelazione, una presa di coscienza che ci ha elevato tutti».
The Music I Saw, prima monografia di Putland ideata e stampata in anteprima in Italia dalla casa editrice LullaBit, 352 pagine e un indice in ordine alfabetico di icone che vanno dagli AC/DC a Frank Zappa (passando anche per Vasco), è la storia di una serie di illuminazioni. A sette anni, mentre è in un ospedale di Londra con una gamba rotta, Putland sente in radio Rock Island Line di Lonnie Donegan, a 14 scopre a casa di uno zio Porgy and Bess di Miles Davis e nel 1965, quando ha solo 17 anni e lavora come assistente nello studio di un fotografo a Londra, viene chiamato all’improvviso nel negozio di moda a fianco, una boutique chiamata Hem & Fringe, e si trova di fronte Mick Jagger. Mentre se ne sta andando scatta una foto sfocata che racconta perfettamente la rivoluzione di stile scatenata dagli Stones sulla Swinging London degli anni ’60. Nell’archivio di Putland ci sono oltre 400mila scatti simili, presi sul palco, nei backstage, sui bus e negli hotel. Immagini in movimento, piene di sudore ed energia, fotogrammi di una cultura in esplosione.
«Non sono mai stato un bravo fotografo dal punto di vista tecnico», racconta. «Se ho un talento è quello di saper catturare le persone nella loro essenza». Putland ha fotografato i Queen sei settimane prima che diventassero famosi e Michael Jackson 14enne nel suo appartamento di New York con in testa il suo nuovo cappello alla Sherlock Holmes («non ha voluto toglierlo per nessuna ragione») e una fragilità nello sguardo che da lì a poco avrebbe nascosto per sempre dietro agli occhiali da star. Nel ’78 ha comprato un paio di stivali ai Clash per convincerli a farsi scattare una foto prima di salire su un aereo, è stato in tour con gli Stones per 30 anni, ha fotografato John Lennon e Yoko Ono nella stanza bianca in cui hanno girato il video di Imagine e ha visto Bowie prima che diventasse Ziggy Stardust: «Nel 1972 sono andato a casa sua per fare qualche scatto dopo un concerto al Friars Club di Aylesbury. Mi ha aperto la porta con un pennello in mano, con gli stessi abiti che aveva la sera prima sul palco e mi ha detto: “Sto dipingendo il soffitto, ti spiace se finisco?”. Poi mi ha fatto ascoltare Ziggy Stardust, che non era ancora uscito».
Baron Wolman, il primo leggendario fotografo di Rolling Stone, diceva: «Nessuno è più importante dei musicisti, sono l’unica fonte di energia creativa. Quando il music business è diventato più importante della musica, l’innocenza si è persa». Putland oggi si interessa al jazz, ma crede che esistano un presente e un futuro nella categoria estetica del rock, anche se «quello che sembra mancare oggi è la profondità». Per questo The Music I Saw non è un libro in ordine cronologico ma alfabetico, un vocabolario che va dagli Who che nel ’64 suonavano nel pub sotto casa sua a Kamasi Washington ritratto in tour nel 2016.
«Nel libro ci sono io che fotografo persone che ammiro moltissimo. Personaggi grandiosi, che hanno quasi creato una religione. Sono sempre emozionato prima di fotografarli, se non lo fossi vorrebbe dire che qualcosa non funziona». E per rispondere alla domanda su cosa rende una fotografia perfetta, Putland cita il suo ritratto più famoso, Jagger seduto tra Bob Marley e Peter Tosh nel backstage di un concerto degli Stones a New York nel 1978 e risponde: «Una foto è perfetta se quando la guardi ti fa sorridere».