Ieri sera all’Anteo di Milano è stata inaugurata l’undicesima edizione del Milano Design Film Festival, in presenza di Cristiana Perella, a cui è stata affidata la direzione artistica, e dei due registi e architetti Francesca Molteni e Mattia Colombo. Insieme a Fulvio Irace, storico dell’architettura, hanno introdotto il loro film, nonché proiezione inaugurale del festival: Green Over Grey. Emilio Ambasz.
Omaggio all’architetto e designer argentino Emilio Ambasz e alle sue pionieristiche esperienze di green architecture, il film è una danza per gli occhi, e a schermo di nuovo spento, fa venire una gran voglia di abbracciare un albero e di andare a scoprire in loco le sue creazioni, così attente e sinergiche con la natura.
I due autori del film, durante la chiacchierata di presentazione, hanno sottolineato una cosa, ad avviso di chi scrive curiosa e importante: per la realizzazione di questo racconto (usiamo “racconto” con cognizione di causa, Ambasz non crea tavole tecniche per i suoi progetti, ma narrative, e le loro radici affondano nell’immaginario di favole e miti) hanno deciso di non utilizzare alcuna visione dall’alto girata tramite cineprese rialzate o droni. Pensiamoci: «Quante volte vediamo un’architettura dal cielo? Ne siamo immersi, la abitiamo, ma non ci voliamo sopra, siamo radicati davanti ad essa», e al pari di radici che attingono da un’immaginazione visionaria, ci rendiamo conto che Emilio Ambasz, e questo film, hanno volutamente creato una prospettiva terrena che affonda in un «onirico totale. Cioè, quando si cede alla propria visione, ci si ritrova isolati, ma si intuisce di non trovarsi in solitudine, perché sempre da essa, dalla visione, siamo accompagnati» (la citazione è di Emilio Ambasz).
Ne sia prova il fatto che, per quanto l’architetto non fosse presente in sala, le pareti registravano comunque la sua “vibrazione”, la forza del suo pensiero e dei suoi racconti-progetti, precursori, in tempi non sospetti, dell’esigenza di dover far tornare a respirare il nostro pianeta.
Un ottimo inizio dunque per il festival, che dal 2013 delizia con attenzione e cura e che quest’anno si svilupperà su tre sedi: Triennale Milano, Anteo Palazzo del Cinema, Fondazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano. Il programma, da qui al 10 marzo, è fitto e interessante, e propone oltre 30 titoli tra film, documentari, cortometraggi e feature, video d’arte e storie di progettisti. Un racconto che parla di architettura e design, ma non solo.
C’è per esempio l’attesissimo, High & Low – John Galliano, di Kevin Macdonald (Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, 2023, 116’) in programma per venerdì 8 marzo alle 21.30 all’Anteo. Il suo è il racconto, con un’analisi sincera e intelligente, della rapida ascesa, caduta e recente rinascita dell’enfant terrible della moda John Galliano. Ritratto che si delinea attraverso alcune interviste con i suoi amici più cari, i familiari più stretti e celebrità come Naomi Campbell, Penélope Cruz e Anna Wintour. Non manca, naturalmente, il racconto di Galliano stesso a completare il ritratto dell’uomo dietro il genio, alla ricerca di redenzione.
Fuori concorso troviamo invece la prima visione della versione restaurata de L’Inhumaine di Marcel L’Herbier (Francia, 1924, 135’). Concepito come prologo all’Esposizione internazionale delle arti decorative di Parigi del 1925, il film divieterà l’evento di chiusura del festival che (su invito) accoglierà gli ospiti nel Salone d’Onore di Triennale Milano per una sonorizzazione live a opera di Lorenzo Senni. L’appuntamento è per il 9 marzo 2024, alle 19.00.
Molti altri i filoni di ricerca tra i film in programma: tra questi l’architettura indiana, che viene analizzata in The Sense of Tuning di Bêka & Lemoine, (Francia, India, 2023, 98’), e in The Promise – Architect BV Doshi di Jan Schmidt-Garre (Germania, 2023, 90’). In particolare, quest’ultimo racconta uno degli architetti più influenti del XX secolo in India.
Ma come non menzionare l’architettura museografica presentata in Depot – Reflecting Boijmans di Sonia Herman Dolz (Paesi Bassi, 2023, 86’) e In The Mood For Art di Michael Schindhelm (Svizzera, 2023, 53’): o quella ritrattistica con Alvaro Siza Vieira: A Tribute to the Master Architect di Augusto Custodio (Portogallo, Brasile, 2023, 61’), o György Kepes. Interthinking Art + Science di Márton Orosz (Ungheria, Canada, 2023, 96’), documentario che costituisce la prima indagine completa sulla vita di György Kepes, precursore dell’arte multimediale.
Si arriva poi ai passaggi generazionali, quelli raccontati da figli di grandi padri soprattuto. Li troviamo in Ask the Sand, di Vittorio Bongiorno (Italia, 2022, 60’), che narra del viaggio di un padre e di un figlio alla ricerca di Arcosanti, la città utopica costruita nel 1970 nel deserto dell’Arizona. Ma anche in Skin of Glass di Denise Zmekhol (Stati Uniti, Brasile, 2023, 90’), storia della più grande favela verticale di San Paolo, una torre di 25 piani progettata da Roger Zmekhol, padre della regista.
Si arriva poi all’attenzione ai temi sociali, come in The Architects of Hope: The First Steps of Rebuilding Ukraine, di Paul Thomas (Ucraina, 2023, 60’), film che segue da vicino i principali studi di architettura ucraini impegnati nella ricostruzione delle città devastate dal conflitto russo in corso. Anche la moda viene messa sotto la lente d’ingrandimento dell’impatto sociale. Succede per esempio in Fashion Reimagined di Becky Hutner (Regno Unito, Stati Uniti, 2022, 110’), che la osserva dal punto di vista del suo impatto ambientale.
Nel programma anche talk, presentazioni con gli autori e approfondimenti.