Per mettere subito le cose in chiaro, diceva a tutti che «la fotografia di moda non è altro che la pubblicità di una vita che nessuno vive». Segno inequivocabile di quanto considerasse aspirazionale il suo lavoro e tutto il mondo che gli girava attorno. E, soprattutto, di quanto avesse i piedi ben piantati a terra come artista nonostante frequentasse un ambiente spesso portato a perdersi nei fumosi meandri dell’effimero.
Non era certo uno qualsiasi Norman Parkinson, o “Parks” come lo conosceva la sua cerchia ristretta, considerato uno dei fotografi di moda più influenti del XX secolo. È stato il primo a traghettare le modelle dalle luci artificiali dello studio a quelle naturali della strada. Le ha ritratte ovunque: in spiaggia, al parco, in cima ai grattacieli. Con lui la fashion photography, fino ad allora statica e piuttosto rigida, ha preso vita, diventando più energizzante del Sustenium Plus. «Fino a quel momento tutte modelle che spuntavano sui giornali sembrava avessero le ginocchia imbullonate. Se ti concentravi riuscivi perfino a sentire l’odore dell’olio che brucia. Ho pensato: Non conosco nessuna ragazza così, le mie corrono, si arrampicano e saltano i muri».

Audrey Hepburn scattata da Norman Parkinson per ‘Glamour’, 1955. Copyright: Norman Parkinson
Per capire la portata che un artista del genere ha avuto nel mondo dell’arte basta pensare che, senza di lui, molto probabilmente non ci sarebbe stato Peter Lindbergh, che in seguito accentuerà, decuplicandola, quell’idea di spontaneità. E nemmeno Mario Testino, famoso per i ritratti glamour intrisi di naturalezza (e purtroppo non solo per quello). Senza Norman Parkinson, vero alchimista nel miscelare moda e natura, anche le foto di Annie Leibovitz, soprattutto quelle immerse in scenari suggestivi e ricchi di narrazione, sarebbero state assai diverse.

Copyright: Norman Parkinson
Ora una mostra allestita a Palazzo Falletti di Barolo di Torino rende a Sir Norman il giusto onore. Norman Parkinson. Always in Fashion dal 21 marzo al 29 giugno ne ripercorre la carriera attraverso un’ottantina di opere, selezionate – una a una – da Terence Pepper, che per oltre 40 anni è stato curatore alla National Portrait Gallery di Londra.
Carismatico, ironico e anticonformista, Parkinson (all’anagrafe Ronald William Parkinson Smith) è nato a Londra nel 1913. Studi alla Westminster School ed esordio nel 1931, come apprendista negli atelier dei fotografi Speaight and Sons Ltd, è stato fotografo di ricognizione per la Royal Air Force durante la Seconda Guerra mondiale. Dalla fine del conflitto in poi è stato solo un crescendo. In tutti questi anni ha vestito abiti eccentrici, portato sempre i baffi all’insù – marchio di fabbrica quasi quanto il suo stile – e, soprattutto, non si è mai preso troppo sul serio.
La mostra torinese testimonia la sua impressionante parabola artistica. Che ha avuto il battesimo di fuoco nel 1939 con l’iconica istantanea realizzata a Pamela Minchin, dove la modella è immortalata per Harper’s Bazaar in un costume da bagno di Fortnum & Mason mentre salta a mezz’aria sulla spiaggia dell’Isola di Wight, in Inghilterra.

Wenda Parkinson scattata da Norman Parkinson per ‘Vogue UK’, 1951. Copyright: Norman Parkinson
L’esposizione, prodotta da Ares, Terra Esplêndida e Iconic Images, segue un ordine cronologico. Ripercorre gli anni ’40 e ’50, quelli che raccontano l’inizio della collaborazione con Vogue, segnata dall’introduzione di elementi narrativi che lasciano intravedere dietro l’immagine storie con cui il pubblico è libero di sognare e in cui immedesimarsi. L’esempio più evidente è Young Velvets del 1949, una delle sue opere più conosciute, dove quattro modelle sorridenti posano sullo sfondo dei grattacieli di Manhattan. Sono gli anni in cui ritrae per la prima volta Wenda Parkinson, una delle modelle più cool dell’epoca, che nel 1947 diventerà sua moglie. Poi arrivano gli anni ’60 e ’70, tutti all’insegna dei ritratti: dai Beatles ai Rolling Stones, da Yves St Laurent a Hubert de Givenchy. Nel 1975 è lui che fa conoscere Jerry Hall al mondo. È in occasione di un servizio di moda realizzato per Vogue in Botswana: quelle immagini, scattate tra elefanti e paesaggi mozzafiato, lanceranno la modella sulle cover dei magazine di mezzo mondo (e poi fra le braccia di Mick Jagger).
Gli anni ’80 sono invece caratterizzati dal giusto riconoscimento internazionale («Sono uno dei fotografi sconosciuti più famosi al mondo», ama ripetere l’artista): la regina lo nomina Comandante dell’Impero britannico nonostante vent’anni prima, tartassato dal fisco di Sua Maestà, il nostro eroe abbia deciso di salutare tutti trasferendo residenza, moglie, macchina fotografica e l’amatissima Rolls Royce a Tobago, nei Caraibi.

‘Young Velvets, Young-Prices’, Vogue US, 1949. Copyright: Norman Parkinson
A proposito di Corona. Se oggi l’immagine della monarchia inglese è considerata più accessibile, parte del merito è proprio di Parkinson che, diventando fotografo ufficiale della famiglia reale, ha realizzato alcuni dei ritratti più iconici della Regina Elisabetta II, della Principessa Margaret e della Principessa Diana attraverso un approccio meno formale, decisamente più lieve. «La fotocamera», diceva, «può essere l’arma più mortale di un proiettile. Ma può contemporaneamente essere anche una lozione d’amore».