Refik Anadol, chi è l’artista che vuole farci ripensare l’Intelligenza Artificiale | Rolling Stone Italia
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Refik Anadol, chi è l’artista che vuole farci ripensare l’Intelligenza Artificiale

Classe '85, formatosi tra Turchia a Stati Uniti, l'arte di Anadol vuole emozionare e aprire finestre su futuri (e presenti) possibili. Tra big data e un'attesa personale, 'In Situ', da oggi al Guggenheim di Bilbao

Refik Anadol Guggenheim Bilbao

'Living Architecture' di Refik Anadol

Foto: press Guggenheim Bibao

Refik Anadol sta all’arte digitale come Andy Warhol sta alla Pop Art e i Blur al Brit Pop. L’artista turco è un pioniere della media art, capace di ridefinire i confini tra tecnologia, memoria e percezione sensoriale. Nessuno oggi meglio di lui può disquisire di algoritmi e flussi di dati applicati alla creatività umana. Esiste qualcosa di più contemporaneo? Probabilmente, no. L’umanesimo digitale propugnato da questo occhialuto creativo d’origine turca – che da anni intreccia big data e Open AI, firmando “data painting” capaci di sorprendere gli spettatori di mezzo mondo – è la risposta a chi pensa che l’evoluzione artistica degli ultimi decenni si sia inesorabilmente fermata.

L’universo di Anadol ora atterra al Guggenheim di Bilbao, teatro dell’attesissima personale In Situ. Dal 7 marzo al 19 ottobre, infatti, gli spazi progettati da Frank O. Gehry diventano teatro di Living Architecture, un’opera immersiva, architettonica e multisensoriale attraverso cui l’artista reinventa le immagini e il materiale d’archivio dei progetti di Gehry per trasformarli in storie visive dinamiche generate dall’AI. «Voglio trasformare gli spazi pubblici in esperienze viventi, dando forma ai dati attraverso la poesia visiva», aveva detto tempo fa Refik durante un’intervista. Detto, fatto.

Formatosi tra Istanbul e Los Angeles (dove tutt’ora vive), Anadol ha fatto dell’Intelligenza Artificiale il cuore pulsante della sua poetica, trasformando i dati in materia viva. I suoi lavori si situano esattamente all’incrocio tra architettura, sofisticate scritture di programmazione e arte immersiva, proponendo esperienze sensoriali che sfidano la nostra comprensione dello spazio e del tempo. 

L’esibizione in terra basca, curata da Lekha Hileman Waitoller, sfrutta l’Intelligenza Artificiale per sintetizzare i dati architettonici e generare composizioni visive. Il tutto accompagnato da un paesaggio sonoro, composto da Kerim Karaoglu, che incorpora registrazioni ottenute nelle varie sale del museo, rafforzando ancor di più l’esperienza immersiva. 

Al centro di questa filosofia, perché di questo si parla, c’è l’idea che i dati siano una nuova forma di memoria collettiva. Utilizzando algoritmi di machine learning l’artista, classe 1985, trasforma i flussi di informazioni in paesaggi digitali fluidi in costante metamorfosi. Il pubblico è così invitato a interagire con installazioni dove la distinzione tra realtà e virtualità si dissolve di continuo. 

«I dati non sono solo numeri», spiega Anadol, «ma pigmenti di una nuova tavolozza con cui possiamo dipingere il futuro». Se quindi avete sempre creduto che l’Intelligenza Artificiale fosse solo un mezzo tecnico, avete sbagliato. Si tratta di una nuova forma di espressione artistica. Alla faccia di chi ha sempre visto nella tecnologia una minaccia per la creatività umana. Anadol al contrario la considera una compagna di viaggio da portare sempre con sé, alla scoperta di nuovi territori estetici. 

Le sue installazioni, compresa quella del Guggenheim, dimostrano come i dati possano diventare emozione pura, seducenti esperienze visive e sensoriali capaci di toccare corde profonde della nostra percezione e perfino del nostro spirito. Anadol, che quest’anno inaugurerà a Los Angeles DATALAND, il museo rivolto all’Intelligenza Artificiale e agli ecosistemi digitali, non si limita a raccontare il visibile ma va oltre, immaginando una realtà che esiste solo nei dati. Il risultato della sua ricerca sono lavori che, spaziando dai ledwall alle proiezioni su facciate architettoniche, propongono una narrazione dove il digitale si intreccia con il fisico, superando la tradizionale distinzione tra materia e informazione.

Nel dibattito sull’arte contemporanea l’artista turco, che in passato ha collaborato anche con Bulgari realizzando l’installazione multimediale Serpenti Metamorphosis allestita davanti al Duomo di Milano, occupa  un ruolo chiave. Perché ci pone davanti a interrogativi fondamentali sulla natura della creatività nell’era dell’AI. Un’era in cui siamo completamente immersi. 

Cosa significa essere artisti in un mondo ormai letteralmente dominato dai dati? Come la tecnologia può amplificare, anziché soffocare, l’immaginazione umana? Anadol non offre mai risposte, ma attraverso i suoi algoritmi lascia sempre intendere qual è il suo pensiero. Più in dettaglio: l’arte di domani non dovrà essere più solo un mezzo di rappresentazione ma un’esperienza totale, capace di coinvolgere lo spettatore a livello sinestetico ed emotivo.

Il digitale non sarà mai nemico della creatività, ma il suo nuovo orizzonte. Una finestra aperta verso il domani, un invito a esplorare mondi che fino a poco tempo fa appartenevano solo a certi film e libri di  fantascienza. E in un’epoca in cui la tecnologia ridefinisce costantemente i confini dell’esperienza umana, Anadol ci ricorda che, in fondo, ogni dato è una storia che aspetta di essere raccontata.

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