Sortez couverts, la performance del giovane artista belga Maxime Matthys realizzata a fine marzo, speriamo possa presto rappresentare la fine del ridicolo e confuso sistema di aggrovigliamento mentale e burocratico che ci costringe a “uscire coperti” di documenti che giustificano tutti i nostri spostamenti per la città. La performance è un pretesto, insomma, per raccontare l’assurdità di ciò che è stato richiesto ai cittadini italiani ed europei in questi ultimi due mesi: essere invisibili, sommersi di burocrazia per limitare uscite ritenute pericolose per la salute, nostra e della comunità frequentata.
Le amministrazioni, però, non ci hanno dato nessuno strumento, se non quello della paura e della limitazione tout-court, del non esistere e del non poter fare. Un limitare castrante e restrittivo, che non sa per nulla di civico e di edificante. Per non sentirci abbandonati e affrontare la situazione abbiamo bisogno di strumenti e di spiegazioni chiare, non di caos e confusione. Forse è per questo che il nome dato alla performance eseguita a Rennes – ”Uscite coperti!” – ha fatto il giro del web, perché ironizza sugli infiniti permessi da compilare per uscire dalla propria abitazione. Il progetto evoca e dichiara la palese confusione che vige sulle autorizzazioni concesse e sulle motivazioni che le sostengono.
Il giovane artista belga, dopo aver passato un paio di giorni a confezionare un vestito composto di 150 autocertificazioni, tutte ben manoscritte con data e motivazione, è uscito cosi vestito. Attenendosi rigorosamente alle regole che anche lì vigono uguali alle nostre – la distanza tra persone, il numero limitato di metri e di tempo da passare lontano da casa – si è concesso cosi una passeggiata di sfogo. Una prova personale a dimostrare come questo confinamento abbia ripercussioni forti sulla nostra percezione di libertà.
Subissato come tutti dalle tante regole precauzionali e governative, Matthys ha messo in scena un urlo silenzioso, una metafora di come tutto questo possa risultare surreale ed esasperare le persone comuni e non, costringendo tutti ad accettarne il senso. «Non è una provocazione, né un’azione contro il confinamento. Ma una riflessione sul fatto che siamo obbligati a vivere come nel Medioevo quando c’erano le epidemie, cioè rinchiusi ognuno nelle proprie abitazioni. Malgrado la tecnologia e il nostro sapere, le soluzioni non sono state trovate per tempo» afferma Matthys, intervistato dopo un fermo che almeno a lui non è costato caro.
Chissà che la mistificazione dell’auto-dichiarazione non abbia fatto il miracolo e che la fase iniziata il 4 maggio sia di buon auspicio, e che nessuno debba più “vestirsi” cosi. In fondo il Medioevo è passato.